martedì 27 aprile 2010

Novità editoriale


Riceviamo e pubblichiamo:

FINALMENTE DISPONIBILE IL “LIBRO-VERITA’” SULLO SBARCO DI NETTUNIA

Il nuovo lavoro di Cappellari è a disposizione degli studiosi della Seconda Guerra Mondiale

Dopo mesi di attesa è uscito per i tipi della Herald Editore il monumentale volume su Lo sbarco di Nettunia e la battaglia per Roma (22 gennaio - 4 giugno 1944), uno studio politicamente scorretto, che infrange certezze consolidate da anni, spaziando dalla politica internazionale, fino ad arrivare a singoli episodi rimossi dalla memoria collettiva. Un’opera che si pone al centro del dibattito storiografico, frutto di uno studio pionieristico del Dott. Pietro Cappellari, ricercatore della Fondazione della RSI – Istituto Storico di Terranuova Bracciolini (AR).
In totale 570 pagine, un “mattone con copertina” per stomaci forti, un’arma impropria da lanciare contro le vetrine delle “immacolate vergini concezioni” della vulgata antifascista e anti-italiana. Un’opera che non può mancare nelle biblioteche di chi ama la storia e di chi vuole conoscere cosa è stato occultato per 65 anni dalla storiografia ufficiale.
Ha scritto il Prof. Alberto B. Mariantoni, che ha curato la quarta di copertina:
“Tempo di Storia, con la ‘S’ maiuscola. Tempo di immancabile e doverosa rimessa in discussione degli innumerevoli miti e delle vanagloriose leggende di guerra dei soliti ‘liberatori’. Tempo, in fine, di una oggettiva e salutare rivalutazione di tutti quegli Italiani che, per libera scelta e piena determinazione, rifiutando l’armistizio e il tradimento regio dell’8 settembre 1943, ebbero il coraggio di lanciare intrepidamente il loro cuore oltre l’ostacolo, e di contrastare valorosamente metro per metro, con il loro volontario ed esemplare sacrificio, il rullo compressore dell’incontenibile invasione militare angloamericana, fino dentro le mura di Roma.
In una frase: tempo di ritorno alla realtà dei fatti.
In particolare, in questo suo ultimo (last but not least…) lavoro, Cappellari ci permette di penetrare negli anfratti nascosti e fino ad ora proibiti della genuina ricerca storica e di scoprire, meravigliati e sorpresi, una serie di fatti e di situazioni che smentiscono, in larga misura, la vulgata a proposito del celebre sbarco angloamericano di Nettunia.
Scopriamo, al momento dello sbarco alleato sulle spiagge di Nettunia, l’eroismo dei soldati germanici, dei Paracadutisti del ‘Folgore’, dei Marò del ‘Barbarigo’, degli uomini delle SS italiane, degli equipaggi dei barchini esplosivi della X MAS, nel tentativo di contrastare e respingere le forze di invasione angloamericane. L’abnegazione e il coraggio di 40 studenti italiani dei Gruppi Universitari Fascisti, volontari nella Luftwaffe, che furono in grado, nella zona di Cisterna, di ostacolare i reiterati assalti dei Paracadutisti statunitensi. L’eroica morte di Carlo Faggioni dei reparti Aerosiluranti italiani. L’epopea dei cecchini fascisti di Roma che, per ben tre giorni, combatterono contro gli Statunitensi una guerra dimenticata da tutti.
Scopriamo parimenti la fandonia di ‘Angelita di Anzio’ (Angelita non è mai esistita!) e la Resistenza immaginaria… sui Colli Albani e i Monti Lepini (salvo casi di violenza personale ad Ariccia e a Palestrina…).
Pietro Cappellari, in questa sua istruttiva ed accattivante opera, ci parla di moltissimi altri episodi che, fino ad oggi, sono stati volutamente celati e colpevolmente ‘coperti’, agli ignari cittadini, dall’antifascismo italiano del secondo dopoguerra.
Ci parla, in particolare, dei territori laziali ‘liberati’; del mercato nero organizzato dai soldati USA con la collaborazione di delinquenti comuni e di incalliti imbroglioni italiani. Ci racconta di Am-Lire e di prostituzione (le famose ‘signorine’… così care ai GI’s statunitensi).
Insomma – il va sans dire… – è un libro assolutamente da leggere e da fare leggere, da meditare e da fare meditare”.
Il testo è disponibile presso la sede della Delegazione Romana della fondazione istituto storico RSI.

Lemmonio Boreo

lunedì 26 aprile 2010

La ”resistenza” sul banco degli imputati

Riceviamo e pubblichiamo:


Di Fernando Riccardi, tratto da www.rinascita.eu

E così anche quest’anno l’italica Penisola celebra in pompa magna l’ennesima e anomala festa della liberazione. Anzi, ricorrendo quest’anno il 60esimo anniversario, ecco anche il tripudio svolazzante di bandiere con tanto di falce e martello, simboli che, pur costituendo un vero residuato bellico, in occasioni di tal guisa tornano sempre prepotentemente alla ribalta. Accompagnate dell’altrettanto solita parata giuliva degli invitti sodali dell’Anpi. Manipoli sgangherati di irriducibili giovanotti con il pugno chiuso rivolto verso il cielo i quali, pur non avendo conosciuto per ragioni eminentemente anagrafiche le vicende della guerra, tengono ben alto il gagliardetto del mito partigiano. Non fosse altro che per continuare ad incassare senza colpo ferire i contributi che lo Stato continua generosamente ad elargire a queste inutili conventicole. Quest’anno, però, anche chi si è sempre tenuto distante dalle vuote celebrazioni che inneggiano ad accadimenti storici per lo più inesistenti (se non ci fossero state le truppe dei cosiddetti “alleati” i nostri baldi e “coraggiosi” partigiani sarebbero stati in grado di combinare ben poco o, al massimo, avrebbero fatto come il “partigiano” Cariglia una razzia di pollame e verdura in Umbria) ha in certo qual modo un motivo, se non per esultare, almeno per essere moderatamente soddisfatto. La notizia è passata inosservata o quasi. E, del resto, a pensarci bene, non poteva che essere così, considerata la natura della nostra informazione. Sta di fatto, però, che qualche settimana fa, la corte penale internazionale dell’Aja, con il procuratore capo Luis Moreno Ocampo, ha accolto la domanda di Giuseppe Tiramani, figlio di Lodovico, milite scelto della Gnr, la Guardia Nazionale Repubblicana, che ha chiesto l’apertura di una inchiesta per la morte del padre assassinato brutalmente dai partigiani nell’estate del 1944 e per la morte di altri 400 appartenenti alla Repubblica Sociale che hanno fatto la stessa fine sempre per mano delle criminali bande comuniste. La tragica sorte del milite Tiramani è emblematica di ciò che accadde in quei drammatici mesi durante i quali, con la connivenza dei cosiddetti “alleati”, i criminali di rosso bardati imperversarono senza ritegno alcuno nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale. Lodovico fu prelevato nel luglio del 1944 a Rustigazzo, nel piacentino, dove abitava assieme alla famiglia, da un gruppo di partigiani della brigata “Stella Rossa”.
Quindi, in rapida successione, fu processato, condannato a morte e giustiziato senza pietà nei pressi del monte Moria. La sua unica colpa quella di militare nel versante “sbagliato”. Qualche giorno dopo la moglie rinvenne il suo corpo crivellato di colpi e provvide a dargli sepoltura. Quella che i “partigiani” gli avevano negato. Il figlio Giuseppe è deciso ad andare fino in fondo: “Chiedo che sia fatta giustizia per mio padre e per tutti gli altri combattenti della Repubblica Sociale uccisi in quegli anni nel piacentino”. Riuscirà nel suo intento? Riuscirà, soprattutto, l’International Criminal Court a dimostrare che si trattò di un vero e proprio genocidio che per anni è stato artatamente coperto, occultato e negato dalla imbarazzata storiografia ufficiale? Detto francamente non c’è da essere granché ottimisti. Però, il solo fatto che se ne cominci a parlare in maniera sempre più diffusa (si ricordino, sull’argomento, i tanti “libracci” revisionisti di Giampaolo Pansa, che infinite e rancorose fibrillazioni hanno provocato e continuano a suscitare tra le vestali dell’ortodossia partigiana, presidente “emerito” Scalfaro incluso) e che un organo di giustizia internazionale prenda in considerazione uno dei tanti episodi scabrosi che hanno contraddistinto il dopoguerra in Italia e l’atroce mattanza di vinti è sicuramente un segnale incoraggiante. La strada da percorrere è ancora lunga ma qualcosa finalmente inizia a muoversi.
Ah, una distensiva passeggiata al mare o in montagna non potrà che ritemprare alla grande sia il corpo che lo spirito.

domenica 25 aprile 2010

ONORE A CHI HA COMBATTUTO PER LA PATRIA

Riceviamo e pubblichiamo:

Commemorati i 100.000 Italiani caduti nell’adempimento del proprio dovere

Anche quest’anno, l’ultima domenica di aprile, in occasione del LXV anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale (2 maggio 1945), al Campo della Memoria si è svolta una solenne cerimonia in onore dei caduti della Repubblica Sociale Italiana.

Circa quattrocento persone, giunte da tutta la regione, si sono ritrovate in una straordinaria e assolata domenica: “Sole che sorgi, libero e giocondo, sui nostri colli i tuoi cavalli doma”, sembrerebbe ispirare questa giornata, parafrasando Puccini.

La cerimonia ha avuto inizio con la sfilata dei labari delle associazioni combattentistiche e d’arma, tra cui spiccava la fiamma di combattimento della Decima Mas e il labaro, decorato di decine di medaglie d’oro, della Sezione romana dei Volontari di Guerra.

Il Sindaco di Anzio e il Senatore Candido De Angelis, presenti come sempre alla cerimonia, hanno depositato, a nome del Comune, un cuscino di fiori sul sarcofago in marmo che racchiude le spoglie di sette combattenti ignoti della Decima MAS.

Poi, la Santa Messa, solennemente officiata al campo in rito tridentino pre-conciliare da un Sacerdote della Fraternità San Pio X di Albano. La stessa Santa Messa che i combattenti italiani della Seconda Guerra Mondiale ascoltavano sui fronti di battaglia d’Europa e d’Africa. Con la stessa unione di spirito, i quattrocento partecipanti hanno ascoltato la celebrazione.

Sono passati 65 anni da quei giorni in cui il cannone tuonava sul Vecchio Continente. Eppure, quattrocento Italiani, in maggioranza giovani, si sono ritrovati in silenzio, in una domenica di aprile, a ricordare chi si è sacrificato per la Patria, immolandosi per un’Idea, vincendo la morte, sublimandosi nella vittoria dello spirito. Quella eterna, che nessuno potrà mai cancellare.

Strani fenomeni si registrano qui. Dove la vita e la morte si fondono in un nastro tricolore con su scritto “amor di Patria”.

E pare vederli qui, al Campo della Memoria, quei ragazzi di meno vent’anni che, nella primavera di guerra del 1944, corsero a Nettunia per difendere “l’onore d’Italia”. Pare vederli negli occhi dei ragazzi qui presenti 65 anni dopo che, sull’attenti, ascoltano – e cantano! – l’inno nazionale.

Non v’è stata frattura. Si è vinto l’oblio. Il testimone è passato di mano. Nei cuori puri dei giovani accorsi al Campo della Memoria, chiamati dal dolce richiamo della Patria, v’è lo stesso ideale che spinse i giovani della Repubblica Sociale Italiana a scagliarsi contro i carri armati angloamericani con un pugnale nella mano e un fiore nella bocca. Perché la morte in battaglia, per quei ragazzi, era una cosa dolce e profumata: «I nomi di chi muore per la Patria sono impressi in oro nel cuore di Dio», ha detto il Sacerdote commuovendo la folla intervenuta.

Poi, è stato letto dai giovani presenti il lungo elenco dei Marò del Battaglione “Barbarigo” caduti che riposano in questo cimitero di guerra.

Particolare emozione ha suscitato il breve ricordo nella preghiera di chi, in questo ultimo anno, ci ha lasciato precedendoci nella Patria del Signore: Raffaella Duelli Ausiliaria della Decima MAS, Bartolo Gallitto Agente Speciale del Battaglione “Nuotatori Paracadutisti” e il Prof. Pio Filippani Ronconi Ufficiale delle SS italiane ferito sul fronte di Nettunia.

Infine, è stata letta La preghiera del Legionario, che i soldati erano soliti recitare prima di andare in battaglia: «…Oh Signore, fa della tua croce l’insegna, che precede il labaro della mia Legione e salva l’Italia, l’Italia, l’Italia, sempre e nell’ora di nostra bella morte…».

Tre volte è risuonato il “Presente!” per tutti i combattenti della Repubblica Sociale Italiana, caduti per l’onore d’Italia.

La solenne cerimonia si è così conclusa e un senso di pace si è diffuso tra i numerosi intervenuti. Il sole baciava ancora la grande croce in marmo, simbolo della Decima, che regna al centro del Campo quando, una giovane ragazza, ultima ad andar via, ha deposto sul sarcofago dei caduti repubblicani una rosa rossa. Pegno d’amore. L’amore per l’Italia.

Pietro Cappellari

Ricercatore Fondazione RSI – Istituto Storico

sabato 24 aprile 2010

25 Aprile

Riceviamo e pubblichiamo:

PER COLORO CHE SI CREDONO DI FESTEGGIARE LA LIBERAZIONE, MENTRE IN REALTA' FU' UNA VERA OCCUPAZIONE:



Perdonatemi della foto che state visionando. E' presa dal cimitero Americano di Nettuno e in alto si legge una parola che molti italioti la confondono con liberazione. Si e' vero, state leggendo la parola "capture" che tradotta significa "cattura". Stesso discorso vale anche quando usano la parola "liberazione" che ancora questi individui si ostinano a definire, mentre sui libri di storia Anglo-Americani si legge la parola "occupazione". Non si rendono conto che non vennero per liberarci, ma per catturare citta' e occuparle come desideravano loro. Il manifesto celebrativo della provincia di Salerno, afferma che dobbiamo dare atto ai liberatori, Che, a costo di tante perdite ci liberarono. Belle parole per chi non conosce la realta'; per chi non conosce i massacri in Sicilia degli uomini di Patton, l'umiliazione delle citta' come Napoli e Bari che si vendettero a coloro che avevano ucciso i loro figli su vari fronti. L'altrettanta umiliazione delle monete d'occupazione che, rovinarono da quel momento l'Economia Italiana del dopoguerra. "Le marocchinate" del frusinate, i bombardamenti di paesi e citta' non militarmente in rilievo. Bombardamenti di strutture secolari come quella di Montecassino, senza dimenticare i bambini della scuola di Milano che trovarono morte tra le macerie per colpa delle fortezze volanti dei vostri liberatori. E per concludere la pulizia etnica che gente della Venezia Giulia subì dai titini, rei di essere italiani. Non mi dimentico dei partigiani: gente che come i comunisti, volevano liberare l'italia dal fascismo, ma allo stesso tempo introdurre la loro ideologia. Di partigiani che rimasero dietro alla finestra o in montagna in attesa che il nemico si dissolvesse non per merito loro, ma dalla potenza Anglo-Americana. Non mi dimentico della guerra civile che i partigiani rossi introdussero come strategia di tensione, consapevoli delle future ferocie rappresaglie a gente e antifascisti piu' tiepidi.
Di partigiani che illudono lo sciocco di turno di aver liberato questo e quello e di Associazioni di parte che per anni hanno preteso la loro storia e che subito bacchettano chi non si allinea alle loro storielle. Non sono Fascista, ma non sono un fesso in ambito storico e quindi non festeggio un bel niente.
Vi saluto e vi faccio riflettere con un estratto preso nel libro di Caduana-Assante dal titolo "Dal Regno del sud al vento del nord":

"Gli esponenti politici si fanno fiduciosamente incontro ai Comandanti Britannici, ma, con aperta diffidenza, rimangono delusi. Essi sembrano considerare la resa come la ratifica di un alleanza naturale; non si rendono conto che gli inglesi possono nutrire, nei nostri confronti, sentimenti privi di amicizia, o avere dei parenti uccisi dai nostri proiettili.
-Siamo alleati- proclama un Dirigente degli azionisti, porgendo la mano a un Maggiore.-Ora marceremo assieme contro la germania.....
La risposta e' agghiacciante, e la riferisce il corrispondente del Times:
-Avete marciato contro di noi per tre anni e mezzo, fino a oggi!
A un altro ufficiale gli viene presentato, con un compiacimento misto ad orgoglio, un giovane qualificato come un perseguitato politico. L'inglese, dal quale ci si attendeva ammirazione e simpatia, si limita a rispondere:
-Vedo: un perseguitato politico
Poi, comprendendo come si pretenda da lui qualcosa di piu', spiega, giustificando la sua ironica meraviglia:
-Mi scusi, e' la prima volta che vedo un perseguitato politico. Credo che il popolo Inglese non ne produca da circa due secoli...
E ancora, in un albergo appena requisito, dove alcune autorita' cittadine sono accorse a presentarsi e si affannano a spiegare che gli italiani non volevano la guerra, un Colonnello risponde seccamente:
-Questo avreste dovuto dirlo a Mussolini...."
A voi le conclusioni....

tratto da libridecimarsi.blogspot.com

venerdì 23 aprile 2010

CONFUSIONE SULLA COSIDETTA “RESISTENZA CONLE STELLETTE”

Riceviamo e pubblichiamo:



Lettera aperta al Dott. Bruno Vespa

Sono rimasto colpito dalla puntata del 22 aprile 2010 di “Porta a Porta”, dedicata ai militari delle Regie Forze Armate che, dopo l’8 settembre 1943, combatterono contro i Germanici.

Colpito da fatto che l’intera trasmissione mi è sembrata più una chiacchierata tra amici, che un serio dibattito storiografico. E gli “svarioni” che sono emersi durante gli interventi lo sottolineano.

Non entro nel merito di come condurre una trasmissione televisiva – ci mancherebbe altro! – ma mi si permettano delle precisazioni.

Per prima cosa, errato è pensare che l’8 settembre – il giorno successivo, casomai! – nacque la Resistenza. Erano giorni di confusione, di grande confusione. Tutti cercarono di difendere la propria vita, prima della propria dignità e dell’onore. Ciò comportò essenzialmente lo squagliamento di un intero Esercito, anche se alcuni – di fronte agli ordini perentori di disarmo dei Germanici – tentarono di opporsi, come uomini e come militari. La politica, la democrazia, la “libertà”, non c’entrarono davvero nulla. Tant’è vero che furono proprio gli Ufficiali di sentimenti fascisti a comportarsi meglio in quelle tristi giornate, come ha ben rilevato il Prof. Renzo De Felice. Quale antifascismo? Quale Resistenza?

Stupisce il fatto che si sia parlato ancora di Cefalonia, riproponendo le stesse “storielle” senza nessuna base di verità, senza interpellare il più importante studioso di quella tragedia, Massimo Filippini, che, naturalmente, non era stato invitato. Avrebbe smontato passo dopo passo quella ricostruzione, gettando nel panico più di qualche ospite gallonato.

Vogliamo, infine, parlare della lunga discussione sugli Internati Militari Italiani?

Come al solito, non si precisano le condizioni giuridiche in cui si trovarono i militari italiani dopo la proclamazione dell’armistizio, con il Re e Badoglio che li incitavano alla guerriglia, senza aver dichiarato guerra alla Germania. I Generali alleati, stupiti dal comportamento del Regio Governo, fecero presente che così procedendo tutti i soldati italiani erano passibili di fucilazione, in quanto considerati “franchi tiratori”. Il Governo Badoglio fece orecchie da mercante…

Una discussione storiografica dovrebbe partire da dati storici inconfutabili, invece si è assistito al valzer delle cifre: oltre 9.000 morti a Cefalonia; gli IMI che diventano un milione, poi 600 mila e poi 700 mila; gli IMI morti che sono prima indicati in 50 mila, poi addirittura in 80 mila; e così via.

Qualcosa non va, decisamente. C’è voluto Arrigo Petacco – l’antifascista e partigiano “alexandrino” Petacco – per riportare la questione in ambito storico, arrivando addirittura a difendere Mussolini accusato di aver abbandonato gli Internati italiani!

In realtà, i circa 700 mila IMI in Germania non furono affatto dei resistenti come si è voluto far credere. Con tutto rispetto per le loro sofferenze, falso è dire che i Tedeschi li avessero posti davanti alla scelta di arruolarsi nella RSI o restare nei Lager, e loro per spirito di sacrificio, per fedeltà al giuramento, per antifascismo, scelsero di morire come “schiavi”.

I Germanici non volevano più aver nulla a che fare coi soldati italiani, considerati tutti dei “perdenti”, degli “sconfitti” – prima nell’animo che militarmente – delle Badogliotruppen. Riportare al combattimento gli Italiani, per i Tedeschi era un non senso. Sarebbero stati pericolosi per se stessi e per gli altri, meglio mandarli a “zappare” o a fare gli operai. Lì avrebbero contribuito allo sforzo bellico del Reich e non avrebbero creato problemi. La guerra l’avrebbe fatta solo chi avrebbe avuto la volontà di farla. E i reduci del Regio Esercito, ormai, erano solo degli “sconfitti”, per giunta bollati di essere dei traditori. Quali arruolamenti, quali lusinghe?

Fu Mussolini, impegnato a far rientrare gli IMI, a chiedere di arruolare più prigionieri possibili nelle costituende Forze Armate Repubblicane.

Fu allestita un’importante Missione militare al comando del Gen. Umberto Morera per tutelare gli Internati. Una Missione che collaborò con il Servizio Assistenza Internati, con la Croce Rossa Italiana e con l’Associazione Nazionale Combattenti della RSI, visto che proprio la Repubblica Sociale Italiana era stata riconosciuta de iure come Schutzmacht – “potenza protettrice” – degli Italiani in Germania.

Le disastrose condizioni di lavoro e di vitto – che provocavano il diffondersi delle malattie come la tubercolosi – convinsero la RSI a tentare di giocare con il Governo del Reich la carta dell’arruolamento degli IMI nelle costituende Forze Armate Repubblicane.

Gli aderenti alla RSI – con le più svariate motivazioni – furono ben 200.000 (dato che, naturalmente, nessuno ha fornito), ma solo 40 mila di essi ottennero il “nulla osta” dai Tedeschi per l’arruolamento. Tutti gli altri rimasero nei campi. Si trattò, certamente, di una scelta importante, se si pensa alle voci che giravano sul prossimo invio in Russia dei volontari. Importante, anche perché tornare al combattimento in prima linea era pur sempre un rischio che pochi volevano correre. Probabilmente, meglio il Lager.

La RSI, comunque, non abbandonò chi non chiese l’arruolamento, anzi continuò la sua difficile opera per il miglioramento delle condizioni degli IMI ottenendo un inaspettato successo: dall’agosto 1944, gli Internati divennero Freiarbaiter, ossia “Lavoratori civili”. “Vennero trasferiti nei campi di lavoro e lì sottoposti alla vigilanza di forze civili. In effetti, la trasformazione in lavoratori civili significò per gli sventurati una maggior libertà personale ed un miglioramento materiale e il merito di ciò va attribuito senz’altro alla forte pressione esercitata dai diplomatici e dai funzionari fascisti”.

Per questa attività a sostegno dello sforzo bellico del Reich i Freiarbaiter italiani venivano pagati 4,5 Marchi al giorno; 6,5 Marchi se si trattava di operai specializzati.

Tutto questo, naturalmente, non è stato detto. Comunque sia, dov’è in tutto ciò la Resistenza?

Se di Resistenza si deve parlare, si può, forse, solo nel caso di quel 10% degli IMI che vollero restare tali, rifiutando di diventare “Lavoratori civili” al servizio dello sforzo bellico del Reich. Cosa che, tra l’altro, garantiva alle famiglie rimaste in Italia – nel territorio della Repubblica Sociale Italiana – di continuare a percepire i “sussidi” che il Governo di Mussolini dava ai famigliari degli Internati.

Infatti, le famiglie degli IMI ricevevano dalla RSI degli assegni famigliari più un terzo dello stipendio, che cessarono solo quando gli Internati scelsero di diventare “Lavoratori civili”, perdendo lo status di militari. Chi si negò al lavoro, conservò i “sussidi” alle proprie famiglie…

Alla fine, i morti tra gli ex-IMI furono 33.000 (non 50, né 80 mila come affermato). Molti di questi 33.000 caddero sotto i bombardamenti degli Angloamericani…

Per un termine di paragone: dei 100 mila Italiani che caddero in mano ai Rumeni, agli Ungheresi, agli Albanesi e agli Iugoslavi, ben 70 mila non fecero ritorno.

Mi si permetta un’ultima battuta. Si è affermato solennemente che, finalmente, oggi il “25 aprile” è la festa di tutti gli Italiani. Non ne sono convinto, assolutamente. Non solo perché per milioni e milioni di Italiani – probabilmente la maggioranza – il “25 aprile” è solo un giorno di vacanza, ma anche perché la cosiddetta “Festa della Liberazione” poggia su fragilissime basi storiche che certo non riescono a mascherare la panzana – rilevata, anche questa!, da Petacco – del “popolo insorto vittoriosamente contro i barbari tedeschi”. La guerra, in Italia, finì solo il 2 maggio 1945 e le strade si riempirono di un fiume di sangue come mai la storia del nostro Paese ha conosciuto. Per le vittime di quei giorni e di quelle settimane, per gli Istriani, per i Dalmati, per tanti Italiani, il “25 aprile” non può essere una “festa”. E se tanto bisogno si sente di “unione nazionale”, allora perché non pensare al “4 novembre”, che tutti i veri Italiani, senza distinzione di partito, unirebbe?

Ah! dimenticavo: la Resistenza, i partigiani, Cefalonia, gli IMI…

Pietro Cappellari

Ricercatore della Fondazione RSI – Istituto Storico

File:Heuberg 17 luglio 1944 con i bersaglieri divisione Italia Bandiera in primo piano.jpg

Bersaglieri della Divisione “Italia” della RSI in addestramento in Germania

mercoledì 21 aprile 2010

Campo di Formazione 2010

Programma

FONDAZIONE RSI - Istituto Storico


Tre Giorni di Lavoro Studio Formazione
Custodia del Bosco, dello Stabile e della Memoria

Venerdì
Pomeriggio, Arrivo e Sistemazioni

Sabato
Durante il giorno lavori
Ore 19.00 - Conferenza di Maurizio Rossi
Dalla Scuola di Mistica Fascista alla RSI
Ore 21.30 – Presentazione Attività e Proiezione Video

Domenica
Fino alle 11.00 lavori
Ore 11.30 – Conferenza di Sonia Michelacci
Dal Corporativismo alla Socializzazione

A seguire Rancio Comunitario - Sistemazioni


Venerdì 30 Aprile - Domenica 2 maggio
Loc. Cicogna, Terranova Bracciolini - AR

Assemblea soci 18 aprile

Si è tenuta domenica 18 Aprile scorso, l'assemblea generale di tutti i soci della fondazione.
La mattina della domenica ha visto sul palco dei relatori, oltre al presidente Ing Conti, i segretari delle Delegazioni di Roma e di Genova; dopo un breve cenno di saluto a tutti i convenuti, l'ing Conti ha letto il ricorso in cassazione contro l'archiviazione per la riapertura delle indagini sull'assassinio di Benito Mussolini, in qualità di capo di stato Estero. In base all'articolo 157 del codice civile infatti tale reato non cade in prescrizione; la fondazione ha dato un contributo sostanziale al processo, avedo fornito documenti e testimonianze.

Successivamente, è stato comunicato all'assemblea che la corte suprema dell'Aia si sta interessando delle stragi commesse dai partigiani alla fine del secondo conflitto mondiale.

Dopo l'approvazione del bilancio, vi è stata la nomina ufficiale, di Massimiliano Baldacci, quale vice segretario operativo.
Dopo un breve intervento di quest'ultimo l'assemblea ha portato i suoi contributi alla riunione.

La giornata si è conclusa con il consueto e cameratesco pranzo-

Campo della Memoria

Riceviamo e pubblichiamo:




http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/0/05/StemmaXMAS.jpg

Associazione Combattenti X a Flottiglia MAS-RSI

SEDE SOCIALE-37122 VERONA-LARGO DON CHIOT 27A

Segreteria Operativa: Xa Flott MAS – 37122 VERONA – Largo Don Chiot 27/A Tel 333/9535879 Fax 045/8302533

Mail: segreteria@xflottigliamas.it

ASSOCIAZIONE CAMPO DELLA MEMORIA

ARMATA SILENTE- SANT’ANGELO IN FORMIS

_______________________________________________________________

CERIMONIA AL CAMPO DELLA MEMORIA

Nettuno, 25 APRILE 2010

Domenica 25 aprile alle ore 9,30, in occasione del LXV Anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale (2 maggio 1945), come sempre da 12 anni saremo al Campo

della Memoria per commemorare i Combattenti della Decima Flottiglia MAS e dei

reparti combattenti della RSI nella difesa di Roma. Vi aspettiamo numerosi come

sempre in quella che sarà la prima cerimonia senza Raffaella Duelli e Bartolo Gallitto,

presenti nei cuori di ognuno di noi.

Decima Sempre!

PROGRAMMA DELLA CERIMONIA

Ore 9,30 – Adunata ed ingresso al Campo con labari e bandiere

Ore 10,00 – S.Messa in latino celebrata da Don Fausto della Fraternità S. Pio X,

Cappellano dell’Ass. Campo della Memoria

Ore 10,20 – Saluto del Com. Amelio Boreani, Btg. Fulmine, Vice Presidente Vicario

Ass. Combattenti X^ Flottiglia MAS - RSI

Ore 10,30 – Interventi :

Dott. Giuseppe Ciarrapico, Senatore della Repubblica

Dott. Roberto Rosseti, Vice Direttore TG1

Prof. Augusto Sinagra, Professore Ordinario Univ. “La Sapienza”

Ore 11,00 – Appello ai Caduti

Ore 11,45 – Ritrovo al Cippo di Campoverde, testimonianze di Combattenti e familiari

sabato 17 aprile 2010

65° anniversario della strage di Rovetta

Riceviamo e pubblichiamo:

la commemorazione si terrà il 22/23 Maggio, per maggiori informazioni comitatorovetta@tiscali.it

Presentazione editoriale

Logo Istituto Storico RSI - Terranuova Bracciolini

Terranuova Bracciolini

(AR)

Accademia Delia

Regione Etruria

http://www.heraldeditore.it/img/logo_herald_nuovo2.jpg

www.heraldeditore.it

Roma

http://idata.over-blog.com/2/99/01/18/etichette.jpg

Centro Studi Militari RSI di Latina







SALA DEGLI SPECCHI – PARADISO SUL MARE

ANZIO

La S.V. è invitata

Domenica 25 aprile 2010 alle ore 18:00

alla presentazione del libro

LO SBARCO DI NETTUNIA E LA BATTALGIA PER ROMA

22 GENNAIO –- 4 GIUGNO 1944

di Pietro Cappellari

Introdurrà Marco Silvestri con il brano “10 marzo 1944”

Interverranno:

Prof. Alberto Sulpizi – storico nettunese

Dott. Cav. Marcello Armocida

Dott. Pietro Cappellari – autore del libro

Organizzazione:

ares753@tele2.it

cell. 339.33.28.550

Gruppo Facebook: http://www.facebook.com/?sk=2361831622#!/event.php?eid=103609649674628&ref=mf

Pag. 570 (formato 17x24) – Euro 30

NULLA SARA COME PRIMA

QUELLO CHE A SCUOLA I VOSTRI PROFESSORI NON VI HANNO MAI DETTO

QUELLO CHE I VOSTRI POLITICI HANNO SEMPRE NEGATO


Il testo è disponibile presso la sede della Delegazione Romana, per ordinalo siete pregati di contattarla allo 06/86217334

venerdì 16 aprile 2010

Secondo campo di Formazione


Presso la sede centrale della Fondazione isituto storico RSI si stà organizzando il secondo campo di formazione.

La data è il finesettimana del 1/2 Maggio

Preghiamo gli interessati a comunicare la loro disponibilità quanto prima.

Per maggiori informazioni fondazionersiroma@gmail.com

in ricordo

Riceviamo e pubblichiamo:


ADDIO VIANELLO....UNO CHE NON RINNEGO' MAI LA SUA ADESIONE ALLA REPUBBLICA SOCIALE:



Tutti se ricorderanno come uno straordinario personaggio della tv nostrana ed anche io mi associo a loro, ma a modo mio. A modo mio per ricordarlo come uno che all'otto di settembre del 1943 scelse l'onore di prestare giuramento alla Repubblica Sociale Italiana. Scelse l'onore come una risposta di ribellione che ebbe verso il suo Colonnello che, nell'intento di salire nella macchina carica di roba, gli esclamo' un "si salvi chi puo'". Scelse l'onore divenendo Ufficiale dei Bersaglieri nella G.N.R. e subendo il campo di prigionia di Coltano. Insieme a lui, anche il fratello scelse la Decima Mas che, nel corso degli anni diceva con orgoglio di non rinnegare niente sulla loro scelta di aver servito la Patria nella R.S.I.
Addio Vianello...il girone dell'Onore ti aspetta.

mercoledì 14 aprile 2010

Prossimo appuntamento

Riceviamo a pubblichiamo:
Quella visita di Hitler e Mussolini...

CIVITAVECCHIA

Il Gruppo Archeologico Romano ha organizzato per domani, mercoledì 14 aprile una Lezione speciale nella Sede dell'Università Unitre di Civitavecchia in via Frangipane 8, alle ore 17.00, in occasione della ricorrenza della visita di Hitler e Mussolini nel nostro comprensorio avvenuta il 7 maggio 1938.

Sarà una occasione per trarre un bilancio di quegli eventi alla luce dei nuovi documenti ormai declassificati che man mano vengono resi di dominio pubblico. La lezione sarà tenuta dal Prof. Livio Spinelli che farà una carrellata storica di quella giornata iniziata di buon mattino nello specchio d'acqua antistante Ladispoli e Furbara con una gigantesca esercitazione aeronavale, alla quale seguì una poderosa esercitazione tattica terrestre a Santa Marinella in località Prato Cipolloso presenti il Re Imperatore Vittorio Emanuele III, Himmler, Gobbels, Ribbentrob, Ciano, Graziani.
Al termine dell'esercitazione - racconta il Prof. Spinelli - i partecipanti, accolti dal Podestà di Civitavecchia Ernesto del Greco si trasferirono a Civitavecchia nella villa e tenuta del Ministro Alberto de Stefani (da lui donata nel 1947 alla Repubblica dei Ragazzi) e successivamente si recarono a pranzo al Castello Odescalchi di Santa Marinella, come ricorda oggi una lapide. A Santa Marinella la famiglia Petacci aveva villetta a Capolinaro dove Claretta trascorreva le vacanze estive dai suoi zii. Si farà luce su alcuni episodi poco noti fra quello di Hitler che a Santa Marinella venuto a sapere che sui Monti della Tolfa c'erano i discendenti dell'Imperatore Federico Barbarossa, diede ordine di cercarli, riuscì a trovarli, ma l'aquila sveva del loro casato si era un po' troppo "spelacchiata"; infatti gli ultimissimi discendenti del Barbarossa facevano i carrettieri. Si parlerà inoltre della Sezione Ebraica della Scuola Marittima di Civitavecchia dove dal 1934 al 1938 furono formati circa 200 Cadetti che costituirono il primo nucleo dell'attuale Marina Militare e Mercantile di Israele. I primi cadetti dormivano a Santa Marinella nella villa del Generale Guido Mendes nella zona di Cacciariserva,
quest'ultimo era stato compagno di classe di Eugenio Pacelli al Liceo Visconti di Roma, nella Villa del Gen. Mendes c'era anche il suo nipotino Franco Modigliani,futuro Premio Nobel per l'Economia. Altri episodi riguardano infine Santa Severa dove oltre alla Sarfatti era solita trascorrere le giornate al mare anche donna Rachele. Infine nel 1948 a S.Severa si registra un curioso episodio: quando venne qui ad abitare dalla Germania la Regista di Hitler, Leni Riefenstahl, la "signora" fu però "cortesemente" invitata dalle Forze dell'ordine ad abbandonare l'Italia

martedì 13 aprile 2010

In memoriam


La delegazione Romana è partecipe alle condoglianze per la scomparsa di Gregorio Misciattelli Bernardini, pubblichiamo una lettera pervenutaci:
Con profondo cordoglio, ma anche con grande Fede nella divina volontà, annunciamo la scomparsa di Gregorio Misciattelli Bernardini, Legionario della 1^ Legione ‘M’ d’Assalto Tagliamento, Presidente del Comitato Onoranze Caduti di Rovetta, Volontario Combattente per l’Onore d’Italia.
Ci porremo sull’attenti rispondendo ‘Presente!’ al suo Nome nelle nostre Manifestazioni a venire ricordando la sua Figura esemplare indimenticabile ai nostri futuri giovani.

ringraziamo il comitato onoranze caduti di Rovetta

venerdì 9 aprile 2010

Celebrazione della vittoria nella Cruzada 1936-1939

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO









CELEBRAZIONE del LXXI ANNIVERSARIO
della
V I T T O R I A nella C R U Z A D A 1936 - 1939

Programma delle CERIMONIE

SABATO 10 aprile 2010, in ROMA: ore 11:30, deposizione della rituale corona d’alloro al Sacello del Milite Ignoto. Alle ore 12:00, nella Chiesa di San Marco, Piazza San Marco, a fianco di Pa-lazzo Venezia, lato Altare della Patria, sarà celebrata la Messa Solenne in memoria dei Caduti Italiani e Spagnoli nel corso della CRUZADA.
Presenzieranno una delegazione spagnola di Ex Combattenti, rappresentanze delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, al fianco di Autorità militari, civili, diplomatiche e politiche.

Le Associazioni d’Arma e Storiche sono invitate a partecipare con Bandiere e Labari; alfieri, scorte e associati con copricapo di Arma e Specialità, e decorazioni gli aventi diritto. Militari in servizio con l’uniforme, come naturale.

Terminata la cerimonia all’Altare della Patria, sarà offerto ai partecipanti un “vino italiano”.
Indi, una corriera "Gran Turismo" sarà a disposizione per recarsi a Ponti sul Mincio / Peschiera del Garda, ove, giunti in serata, si cenerà e pernotterà in albergo, secondo le disponibilità alloggiative della zona.

DOMENICA 11 aprile, “PICCOLA CAPRERA” (Ponti sul Mincio): ore 10.00 incontro dei partecipanti, Legionari, familiari di Caduti e Scomparsi, Combattenti spagnoli, simpatizzanti con i “Ragazzi di Bir el Gobi”, le Ausiliarie, gli Alpini della “Monterosa” - R.S.I e tanti reduci delle nostre battaglie; ore 11.00, Alzabandiera, Santa Messa al Campo e successiva deposizione di corona sul cippo che ricorda le nostre imprese e i nostri Caduti; ore 13.00, rancio presso il Ristorante “Mara”, a Valeg-gio sul Mincio, località Casa Mara n. 4 (tel. 045.7950252), con discorsi di circostanza, canti patriottici e d’arme, in cameratesca e goliardica fraternità. Viaggio di rientro e possibile sosta e pernottamento a Colli del Tronto per visitare, il lunedì 12, la struttura della Fondazione Hispano Latina – filiazione mora-le dell’A.N.C.I.S. – e delle attività culturali e museali ad essa relative; rancio cameratesco nella birreria Parsifal connessa alla Fondazione.
Nel pomeriggio, rientro a Roma.

Per ulteriori informazioni e per le prenotazioni, i recapiti sono:
ANCIS, Viale XXI Aprile n. 34 - 00162 ROMA, tel. / fax: 06.86322594; 0736.890747; 0736.892720; cell: 349.5706302; 338.6953132; 349.0850258;
elettroposta: jhispanicus@yahoo.es; associazione.ancis@libero.it

D’ordine del Presidente Nazionale
Capitano di Vascello Prof, Aldo MELE
Il segretario nazionale
Juan Carlos Gentile

giovedì 1 aprile 2010

Un testo molto interessante...

Riceviamo e pubblichiamo:



ULTIMA NOVITA' SUL FASCISMO CLANDESTINO DEL MEZZOGIORNO:



LA STAGIONE DELL’IRA
di Nando Giardini
Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2009
La storia d’Italia nella seconda guerra mondiale continua ad interessare gli studiosi e il pubblico. Si comincia a capire che «fu la lotta dei popoli giovani, portatori di una nuova superiore morale, contro quelli vecchi, cioè delle nazioni proletarie, contro le plutocrazie, espressione dei beati possidenti», come aveva scritto Renzo De Felice; fu la “lotta del sangue contro l’oro”.
Nando Giardini, subì dal 1944 al 1946 una dura carcerazione per aver tentato di opporsi agli invasori angloamericani insieme ad altri giovani e meno giovani, avanti negli anni questi ultimi, ma giovani nel cuore. Il Giardini, calabrese, ma girovago per il mondo, curioso osservatore, ha inviato articoli dal Cile, Perù, Argentina, Cecoslovacchia, Uruguay, Brasile, Australia, USA, Venezuela, Cuba, Canada, Singapore. ha pure scritto quest’anno il libro testimonianza, ma non solo, La stagione dell’Ira, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2009, in cui riferisce la storia del processo degli ottantotto fascisti di Calabria, che si tenne a Catanzaro dal 1944 al 1945. Nando Giardini aveva raccontato già la vicenda dei fascisti clandestini del Sud nel suo appassionato libro Bocca di lupo, di cui ha curato in seguito diverse edizioni, arricchendole di citazioni, riflessioni e descrizioni. Quest’ultima versione riesce completamente nuova per il sapore intimistico e introspettivo, per le analisi sociologiche del regime carcerario che traspaiono dagli episodi scolpiti a tutto tondo con una prosa e uno stile spontaneo che si cala nell’intimo più profondo alla ricerca di elementi poetici, ma non per questo disdegnando di indagare nella psiche sotterranea e sconosciuta di detenuti comuni, autori di feroci delitti, uno di essi ergastolano.
Già allo sbarco degli angloamericani in Sicilia si ebbero episodi di resistenza di fascisti clandestini che affiancarono le truppe regolari nei combattimenti e che poi si dedicarono alla lotta clandestina, come risulta anche dall’Archivio dello Stato ( segnalazioni dei Carabinieri Reali, della Polizia e dei prefetti).
In Calabria il movimento di resistenza fu in parte organizzato dal principe Valerio Pignatelli che riuscì a collegare nuclei di fascisti clandestini sparsi in diverse città e paesi della Calabria; ma in molti altri paesi, specialmente della provincia di Reggio Calabria le attività dei fascisti clandestini restarono spontanee e slegate. I carabinieri riuscirono a scoprire soltanto i nuclei organizzati di Cosenza, con Luigi Filosa, di Catanzaro, con il tenente Pietro Capocasale e l’universitario Aldo Paparo, di Crotone con il marchese Gaetano Morelli, maggiore di fanteria in congedo e con Giuseppe scola e i suoi due figli, di Nicastro-Sanbiase con Lionello Fiore Melacrinis, studente liceale. Fu così imbastito il cosiddetto “processo degli ottantotto”.
Qualche anno fa il professor Giuseppe Parlato, rettore dell’università San Pio V, di Roma, ha scritto l’ottimo libro Fascisti senza Mussolini, scientificamente obiettivo e valido, ma ormai non sono pochi i docenti universitari che indirizzano ricerche e approfondimenti su questa fase della storia nazionale ancora tra le più controverse per i tirannici veti d’oltreatlantico che tengono prigioniera la nostra cultura e in particolare la nostra storiografia. A conferma voglio citare alcune tesi di laurea che hanno affrontato ufficialmente la ricerca storica del periodo cruciale dell’invasione “alleata”. Già nel 2002 Angelo Abis nella sua tesi di specializzazione per la Scuola di specializzazione di studi sardi della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari svolgeva un ampio e documentato studio: I sardi nella Repubblica Sociale Italiana e il fascismo clandestino in Sardegna. Qualche anno dopoGaetano Fatuzzo nella sua tesi di laurea per l’Università di Catania affrontava il tema: L’invasione alleata del luglio 1943: sommovimenti sociali, il Fascismo epurato e clandestino; il “Non si parte”. È poi recente la dettagliata e ben documentata tesi di laurea presentata nel 2009 alla facoltà di Sociologia dell’Università “La Sapienza” di Roma da Valentina Castanò su: L’attività clandestina dei militanti di Salò nel Regno del Sud: il processo degli ottantotto a Catanzaro, tesi citata nel sito dell’Istituto di studi storici economici e sociali (Isses) di Napoli e di prossima pubblicazione da una perspicace casa editrice d’avanguardia.
Tornando all’ultimo bel libro di Nando Giardini, si deve notare che, contrariamente a quanto ancora traspare dalla faziosità e l’improbabilità delle vicende e pure della realizzazione della fotografia, con cui la Rai ci ha ammannito la cosiddetta “fiction” Il sangue dei Vinti, la penna serena e pacata di Giardini ci trasporta in una realtà vissuta con grande rispetto della vita, in cui le bombe che i fascisti facevano esplodere nel Nicastrese alle porte degli antifascisti più fanatici o sulle finestre di una caserma dei Carabinieri Reali, o addossate alle serrande di qualche tipografia comunista non hanno mai fatto scorrere una goccia di sangue. Nel Regno del Sud non ci fu guerra civile; eppure sarebbe stato peraltro facile imbastire un attentato per ottenere una strage peggiore di quella delle Fosse Ardeatine, come ci insegna l’ottimo Giorgio Bocca: « Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. E’ una pedagogia impietosa, una lezione feroce ».
I fascisti del Sud no; non vollero provocare rappresaglie. Non era nel loro dna. D’altro canto anche Mussolini dalla Rsi si preoccupava di raccomandare di non provocare la guerra civile, di risparmiarla almeno al Sud.
Da Radio Bari e poi da Radio Napoli, invece, si incitavano gli antifascisti del Nord a uccidere alle spalle, a scavare il fosso dell’odio: si davano gli indirizzi delle persone da ammazzare, precisando abitudini e dati utili per gli agguati. Si paracadutavano armi, munizioni, esplosivi e denaro.
Forse tanti storici distratti dovrebbero ricordare quel che ha scritto Giorgio Bocca per ammettere finalmente con serena obiettività, con il tanto decantato metodo tacitiano, sine ira et studio, la responsabilità del solco di odio che ancora divide gli italiani. Serena obiettività, sine ira et studio, riesce, invece, a conservare, con grande pulizia morale, Nando Giardini, quando testimonia le vicende dei cospiratori calabresi in contatto col leggendario principe Valerio Pignatelli e con la principessa Maria, guidati da una personalità carismatica, volitiva e indipendente come Luigi Filosa, singolare figura di fascista dissidente che ebbe l’ardire di opporsi a Mussolini quando questi rinunziò alla pregiudiziale repubblicana nella storica riunione del 24 ottobre 1922 a Napoli, in preparazione della fatidica “Marcia” del successivo incombente 28.
Giudicando a posteriori, potrebbe sembrare velleitaria tanta animosità di giovani, male e poco armati, al Sud e di anziani nostalgici di passati trionfi nella lotta contro la tirannia mondiale della cosiddetta “alta finanza” (che preferirei chiamare “grosso capitale apolide”), annidato perfino nei corridoi della Società delle nazioni. Ma dovrebbe bastare, per intuirne la prospettiva, quel che Filosa ha poi rivelato, prendendo spunto dagli attentati del gruppo di Nicastro:«Questa specie di azioni intimidatorie non erano da me approvate. Servivano soltanto ad allarmare e a rendere difficoltosa la vita dell’organizzazione che si andava formando. Secondo me bisognava aspettare la tanto strombazzata offensiva di Graziani e quindi far saltare i tralicci che dalla Sila portavano l’energia elettrica alle ferrovie meridionali. Si sarebbe messo lo scompiglio nelle retrovie dei cosiddetti alleati. Di questo gli alleati stessi erano convinti […..] e avevano dislocato dei loro reparti in Sila per presidiare i laghi [dov’erano le centrali idroelettriche]. I tralicci erano però indifesi”».
Il libro di Nando Giardini, come traspare dal titolo, è una rivisitazione dell’epoca, appassionata e suggestiva, ma fedele e obiettiva, senza rancore e con distaccata serenità anche quando ricorda lo strazio delle celle di punizione o tratta delle traduzioni con i pesanti “ferri da campagna” stretti ai polsi, dapprima per essere messi a disposizione dell’OSS (Servizio segreto americano) nel carcere napoletano di Poggioreale. Per alcuni, poi, fu ritenuto necessario tradurli ancora nel carcere romano di Regina Coeli. Quindi furono riportati tutti nel carcere di Catanzaro per il processo imbastito dal Tribunale Militare Territoriale di Guerra, durato fino all’aprile del 1945, e dopo la condanna, dispersi in parte nel carcere di Melfi (PZ) e in parte nel penitenziario di Procida.
Di queste vicende carcerarie, opportunamente integrate con contemporanei, incantati ricordi della vita in libertà, con citazioni letterarie, con l’introspezione delle reazioni alle situazioni drammatiche in cui fu coinvolto, Nando Giardini riesce a darci un corale cantico lirico, avvincendo il lettore fino all’ultima pagina.
Nando scriveva i suoi pensieri in carcere in quaderni pieni di ardore e di qualche comprensibile “sdolcinatura”; Luigi Filosa, avendo letto uno dei suoi quaderni, gli consigliò di non ricorrere alle sdolcinature. Più tardi gli dettò con qualche enfasi di curiale retorica (era avvocato penalista) questi consigli, che Nando scrupolosamente scrisse nel suo quadernetto, poggiato sul ripiano in cemento della finestra, e che ora ha riprodotto affettuosamente, quasi religiosamente nel libro: «Quando una cosa è vissuta, la si esprime e la si può esprimere con grande senso artistico. A questo sei riuscito. La penna, se la affila il dolore, diventa tagliente.
La tua diventa spesso d’una mordacità tagliente fino alla forza dello sfregio, proprio perché quasi scherza con madama Disperazione e monsignor Disprezzo.
Io che sono nato amaro, ti auguro che sulla pietra affilatrice del disprezzo tu possa continuare a temprare la tua penna, facendo cadere su di essa, affinché ne sia attutito l’attrito, le gocce ardenti della tua fede».
Tempi retorici. Nando Giardini se ne è emendato. Oltre il più famoso Bocca di Lupo, ha scritto: Lettere d’una vita; Racconti d’oggi; Quasi un romanzo; e di prossima pubblicazione: Quel villaggio sulla collina.
Nell’Antologia di scrittori del 900 di Massimo Donato e Giuseppe Serio si legge: «C’è nel mondo lirico del Giardini “quella pena di viver così” di cui parla il Momigliano a proposito di Pirandello ».
Nando Giardini, La stagione dell’ira, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2009.

Il testo si può richiedere presso la sede della Delegazione Romana Istituto storico RSI, si ringrazia per la segnalazione il sito www.libridecimarsi.blogspot.com