sabato 27 marzo 2010

L'ultima Bandiera

Riceviamo e pubblichiamo:


Milano 25 Aprile 1945: La citta’ sta avendo una specie di “passaggio di consegne” tra la RSI che sta per morire e i liberatori, soprattutto formazioni ciellenistiche. Il Duce e’ gia’ partito per il suo amaro destino e nella citta’ ci sono ancora tanti soldati repubblicani -come tanti fascisti- che a momenti si sfalderanno. Tra le formazioni repubblicane, la Decima -davanti a rappresentanti del CLN- non si scioglie ma si smobilita addirittura il 26. Molti avranno la prigionia e molti ancora saranno preda ambita di gente partigiana dell’ultima ora. In quelle tormentate ore quando tutto e’ finito, c’e’ una radio ufficiale del periodo repubblicano che continua ancora a parlare. Nella Repubblica era la famosa “Radio Fante”, in quegl’ultimi istanti divenne “Radio Decima Mas” grazie all’impegno di Bruno Spampanato che aveva la direzione della radio e del giornale della Decima “L’orizzonte” e il giornalista, Tenente Marcello Zanfagna anch’egli appartenente all’Ufficio Stampa e Propaganda della Decima. Prima di citare le sue affermazioni, c’e’ da dire che il palazzo della Radio di Via Rovani fu tenuto da un manipolo di uomini comandato da un’aspirante Ufficiale di cognome Genta che lo tenne in custodia fino al passaggio con un reparto regolare della Guardia di Finanza il giorno successivo. Spampanato ne parla nel suo “Contromemoriale” ed anche nell’altro libro dal titolo “L’italia liberata”. La storia della radio e’ descritta anche nelle memorie del Tenente Zanfagna che nel 1956 li pubblico’ pur non avendo,una buona notorieta’ sin dall’inizio e rimanendo sconosciuto ai tanti, fino alla scoperta di Ciccio Fatica dell’Istituto Studi Storici Economici e Sociali di Napoli, che riuscì ad avere la fotocopia del volume e a chiedere l’autorizzazione alla famiglia Zanfagna per la realizzazione della ristampa per i lettori di oggi. Riporto i momenti dell’ingresso alla Radio dove ebbero un incontro con un gruppo di tedeschi comandati dal Capitano Staben. Sono momenti di sfogo ma anche drammatici per la morte del Capitano tedesco che prima vorra’ attivare le mine per far saltare la Radio e poi -dopo che lo convinsero a non farlo- si uccise con un colpo di pistola al cuore davanti al cancello d’ingresso.
E’ all’interno cosa successe? Ecco la testimonianza di Zanfagna:

“Dopo qualche minuto, ”Radio Fante” trasmette come “Radio Decima Mas”: E’ una trasmissione di fortuna. Sono le 18:30 del 25 Aprile del 1945, e’ l’unica voce repubblicana che ancora parli.
La canzone della Decima apre la trasmissione
(Qua,l’autore cita una parte della canzone) “qui,la Radio della Decima Mas”. Spampanato parla ai soldati, dice di non sbandarsi, ricorda loro che anche perdendo si conserva l’onore militare. Da il saluto a Trieste, e poi, dice ai soldati di non sbandarsi, di aspettare il nemico, gli angloamericani, con le armi al piede.”

Titolo: L’ultima bandiera
Autore: Marcello Zanfagna
Anno: Prima edizione 1956 mentre la ristampa e del 2002 grazie alla casa editrice Settimo Sigillo
Pagine della ristampa: 192

Il testo è disponibile presso la sede della delegazioneroma della Fondazione Istituto STorico RSI
Per oradinazioni: 06/86217334

tratto da: www.libridecimarsi.blogspot.com

sabato 20 marzo 2010

Incontro presso il Centro di Sudi militari di Latina

Presso la prestigiosa sede del Centro Studi Militari di Latina sita nell'edificio dell' ex Opera Nazionale Balilla, ora sede del museo D. Cambellotti, si è tenuta oggi la presentazione del lavoro del ricercatore Pietro Cappellari, "I legionari di Nettunia".

La presentazione del lavoro è stata preceduta dagli interventi dello Storico Cesare Bruni e dai ringraziamenti del Senatore A. Finestra, testimone in prima linea dei combattimenti per l'Italianità di Zara nel 1943. In particolare il Senatore ha ringraziato per la presenza il presidente ed il vicepresidente dell'associazione profughi Giuliano/Dalmati e gli ufficiali dell'Arma Aeronautica convenuti per l'occasione.
La presentazione è stata seguita da numerose domande del folto pubblico intervenuto.
Alla fine dell'incontro Il dottor Cappellari ha annuncianto l'imminente uscita del suo nuovo libro sullo sbarco di Nettuno.


giovedì 18 marzo 2010

Eccidio di Rovetta

Riceviamo e pubblichiamo:

Chiunque fosse interessato può chiedere informazioni visitando il sito:
www.comitatoonoranzecadutidirovetta.blogspot.com

lunedì 15 marzo 2010

QUEI “VOLONTARI”… DI LEVA

Precisazioni a margine di un articolo sull’Esercito della RSI


Ho letto molto attentamente la “tardiva” testimonianza di Nello Camporesi, Vicepresidente dell’Associazione Artiglieri di Aprilia, sulla sua esperienza tra le fila dell’Esercito Nazionale Repubblicano, comparsa sul periodico “Il Caffè” n. 188 (25 febbraio – 10 marzo 2010).

Non posso non evidenziare come nell’articolo vi siano delle forzature che rischiano di falsare la stessa testimonianza.

Infatti, che Camporesi denunci di essere stato “rapito” insieme ad altri tre apriliani, nel 1944, mentre era nei pressi della Casa del Fascio di Aprilia, costituisce una “licenza” che non inquadra bene il periodo storico.

Camporesi non fu precisamente “rapito”, in quanto era un ragazzo soggetto agli obblighi di leva e, in particolare, alla presentazione alle armi decretata dal Governo della Repubblica Sociale Italiana nel novembre 1943.

Il fatto che non si fosse presentato al Distretto Militare – come molti altri giovani – non lo esentava dai “rischi” che si incorrevano facendo questa scelta. Coloro che non avevano risposto al bando Graziani erano considerati renitenti alla leva in tempo di guerra, reato molto grave, punibile anche con la pena di morte. Certamente, rare furono le esecuzioni, ma ciò non toglie che vi fossero un reato e una punizione contemplati dai Codici militari in vigore.

Quindi, semplicemente, Camporesi – e gli altri tre apriliani – furono “accompagnati” alle armi coattivamente, evitando sia il processo, sia la conseguente sanzione.

Non si trattò di falsi “volontari” come si sostiene nell’articolo, ma esclusivamente di giovani di leva avviati alle armi. Nessuno mai, durante la RSI, li chiamò volontari e sempre fu chiara la loro provenienza dai bandi Graziani. Certo, essendo facile la renitenza, come la diserzione, si può ipotizzare che questi ragazzi una scelta la fecero pure, non mischiandosi a coloro che – renitenti o disertori – vivevano sulle montagne. Ma questo è tutto un altro discorso.

Si parla dell’addestramento in Germania, evidenziando le numerose perdite tra le reclute. In realtà, le perdite – dati alla mano – non furono assolutamente numerose, anzi, “irrisorie” se ci è permesso usare questo termine.

Dove, però, si giunge al ridicolo è quando si afferma che Mussolini visitò le truppe in addestramento in Germania accompagnato dall’amante Claretta Petacci. Cosa mai verificatasi e che sembra un “quadretto” che richiama più il modo d’agire dei politici di oggi.

Sarebbe stato molto interessante cercare di comprendere il perché il Duce venne accolto dalle reclute di leva con un entusiasmo fuori dal normale e, soprattutto, cosa avvenne a Castelnuovo di Garfagnana dopo il rimpatrio del Camporesi.

L’intervista, purtroppo, non ha aggiunto nulla alla storia conosciuta, anzi alle “storielle” conosciute. Si è persa solamente un’occasione di ricostruire nei dettagli un’importante – seppur personale – vicenda della storia della nostra Italia.

Pietro Cappellari

Ricercatore Fondazione RSI – Istituto Storico

domenica 14 marzo 2010

Incontro Sabato 20 Marzo


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Centro Studi Militari e Testimonianze RSI

SABATO 20 MARZO 2010

INCONTRO SOCIO-CULTURALE

Si comunica che il Centro Studi Militari e Testimonianze 1943-1945 R.S.I., sito in Latina, presso il Museo Cambellotti, in Piazza San Marco n.1, nel quadro delle iniziative ed eventi per il corrente anno, propone per il giorno 20 marzo 2010 un incontro socio-culturale a Latina, secondo il seguente programma:

Ore 08,15 ... Partenza da Roma, via Marsala (dinanzi Hotel Santina) con pullman G.t. per Borgo Faiti (Latina)

Ore 09,45 ... Arrivo a Borgo Faiti (Latina)

Ore 10,00 ... Visita guidata al Museo di Piana delle Orme

Ore 13,00 ... Pranzo presso l'Azienda agrituristica Piana delle Orme

Ore 14,45 ... Partenza per il Centro Studi R.S.I. (P.zza S.Marco, Latina centro)

Ore 15,30 ... Visita al Centro Studi Militari e Testimonianze R.S.I.

Ore 16,30 ... Conferenza: interventi di rito e presentazione del libro

I Legionari di Nettunia” di Pietro Cappellari

Ore 18,30 ... Partenza per Roma

Ore 20,00 ... Arrivo a Roma

La quota di partecipazione è fissata in Euro 40,00 e comprende: ingresso al Museo di Piana delle Orme con visita guidata, pranzo comprensivo di bevande, pullman G.t. per trasferimenti.

Per favorire la partecipazione dei giovanissimi (minori di anni 18), la quota per questi ultimi è ridotta ad Euro 25,00.

Le prenotazioni sono raccolte dalla Segreteria - sig. Vincenzo Bianchi - al numero 06 80.80.679.

Si fa presente che la prenotazione è IMPEGNATIVA, perchè collegata a costi fissi.

E' possibile, naturalmente, raggiungere il Museo di Piana delle Orme con i propri mezzi e partecipare alla visita guidata e al pranzo, pagando di conseguenza una quota di importo ridotto.

La visita al Centro Studi Militari e Testimonianze 1943-1945 R.S.I. di Latina e la relativa partecipazione alla Conferenza è invece assolutamente libera e gratuita.

Attesa la rilevanza culturale dell'incontro, a cui parteciperanno molti veterani della R.S.I., si confida nella più ampia partecipazione.

Il Responsabile Naz. Comunicazione ed Eventi

Giorgio Sala

venerdì 12 marzo 2010

Ricorso alla corte internazionale dell'Aja.

Riceviamo e pubblichiamo:

PIACENZA- Accolto il ricorso all'Aja di un piacentino il cui padre venne fucilato 66 anni fa dai partigiani.

Luis Moreno Ocampo, procuratore capo della corte internazionale dell'Aia ha aperto un fascicolo che riporta l'ipotesi di reato di genocidio.

Il promotore è l'architetto piacentino Giuseppe Tiramani che, attraverso la consulenza del suo legale Michele Morenghi.

Racconta il Figlio: "Mio padre fu prelevato nei pressi di casa sua a Rustigazzo nel piacentino nel luglio del '44 da un gruppo partigiano della brigata Stella Rossa - spiega Tiramani - fu processato e condannato a morte senza un giudice, senza un comandante partigiano e senza una sentenza a verbale. Fu fucilato poche ore dopo nei pressi del Monte Moria. Mia madre lo trovo' crivellato di colpi. Ho già perdonato tutti coloro che uccisero mio padre, che abitavano nel mio paese e li ho conosciuti personalmente dopo la guerra. Chiedo sia fatta giustizia per il suo caso e per tutti gli altri combattenti della repubblica sociale uccisi in quegli anni nel piacentino".

Il padre di Giuseppe Tiramani, si chiamava Lodovico Tiramani, era un milite scelto della Guardia nazionale repubblicana. Durante la guerra civile fu catturato dai partigiani e scambiato con altri prigionieri, tornato in libertà rientrò nelle file della Rsi e di nuovo cadde prigioniero ma questa volta, finì davanti ad un plotone d'esecuzione. Quando fu ucciso aveva 33 anni.

tratto da: www.xflottigliamas.forumfree.it

TRIGESIMO DELLA SCOMPARSA DI PIO FILIPPANI RONCONI: UN ' ESISTENZA LUMINOSA IN COMUNIONE CON GLI DEI


Riceviamo e pubblichiamo:

Domenica 14 Marzo dalle 10:00 in poi presso il campo della memoria a Nettuno Via Rocca Priora si svolgerà la cerimonia per il Trigesimo della scomparsa del Conte Pio Filppani Ronconi












Nel trigesimo della scomparsa del Professor Pio Filippani Ronconi ci si sente in dovere di rendere Onore ed Omaggio ad un Grande Italiano, esempio immortale di chi anche nelle condizioni peggiori MAI vacilla.
Come raggiungere il Campo della Memoria

Il Campo della Memoria è situato in via Rocca Priora traversa di via dei Frati a Nettuno.

In auto da Roma: dal GRA (Gran Raccordo Anulare) prendere l’uscita 26 (SS 148 Pontina). Dopo la città di Aprila prendere l’uscita Campoverde nord-Nettuno e quindi seguire le indicazioni per Nettuno. L’uscita Campoverde nord-Nettuno vi immette direttamente sulla SP 87/bis conosciuta come via Velletri-Nettuno. Dopo 5,6 km si giunge al semaforo della località Piscina Cadolino. Continuare sempre dritto. Dopo 3,1 km sulla vostra destra compare un grande ristorante-pizzeria “da Baffo”-Fort Apache, girare a sinistra in via dei Frati. Dopo circa 500 metri sulla vostra sinistra trovate via Rocca Priora (la terza a sinistra di via dei Frati), una strada che costeggia una grande villa munita di mulino a vento. Dopo 100 metri sulla destra si apre il Campo della Memoria.

In auto da Nettuno: arrivati al piazzale John Fitzgerald Kennedy, di fronte al Cimitero Militare Americano, prendere via Santa Maria direzione Cimitero Civile di Nettuno. Dopo il cimitero la strada cambia nome in SP 87/bis conosciuta con il nome di via Nettuno- Velletri. Partiti dal Cimitero Americano dopo 1,7 Km girare sulla destra in via dei Frati. Dopo circa 500 metri sulla vostra sinistra trovate via Rocca Priora (la terza a sinistra di via dei Frati), una strada che costeggia una grande villa munita di mulino a vento. Dopo 100 metri sulla destra

giovedì 11 marzo 2010

L'ITALIA "LIBERATA":dopo la capitolazione, di Bruno Spampanato

Riceviamo e pubblichiamo:

Questa volta è il momento di uno che nel fascismo fece molte cose: dall’adesione ai fasci con la conseguente marcia su Roma, al Fascismo repubblicano e i suoi svariati ruoli che lo videro protagonista assoluto nella preparazione della bozza della costituzione della R.S.I. ma anche come editore e conduttore di alcuni programmi radio. Sfuggito miracolosamente alla persecuzione antifascista e catturato al sud nella provincia di Napoli, si busco’ l’arresto tra i titoloni dei giornali nazionali, la galera prima a Poggioreale e successivamente al carcere di Regina Coeli a Roma. Durante il processo, malgrado la sua tenace difesa e per aver risposto punto su punto a giudici ed accusatori, lo condannarono a 12 anni e due mesi che successivamente la famosa amnistia donera’ la liberta’ anche a lui. di lui, un giornale dell’epoca “saluto’” lo Spampanato con un eloquente e alquanto beffarda filastrocca:
“Torna bruno Spampanato - come nel passato - ancora non s’e’ firmato – ma un giorno o l’altro – prima o poi si firmera’….”
Infatti nel 1952 sara’ autore di una collana di tre volumi dal titolo e contenuto davvero curioso per quei tempi, che sara’ una specie di “contro storia” di quel tragico epilogo fascista, vista dalla parte dei “vinti”. il volume dal titolo “Contromemoriale” e dai sottotitoli volume 1. “Da Monaco all'armistizio”,volume 2 “L'ultimo Mussolini” e volume 3 “Il segreto del Nord”, sara’ la prima vera opera di Spampanato su fatti noti e poco noti al lettore di quel tempo.
Nel 1958 dara’ alla luce un altro contromemoriale che riguardera’ direttamente l’Italia occupata dalla parte degli Anglo Americani. Lo Spampanato in queste pagine sara’ un fiume in piena, raccontando i retroscena del 25 luglio, il doppio giochismo di Badoglio, Re e cricca politico-militare, l’otto settembre e i primi passi del piccolo regno del sud, con la conseguente espansione alleata verso il nord. Egli raccontera’ i fatti politici e territoriali,cercando di non essere troppo di parte. Prendera’ spunto nelle citazioni fornitegli attraverso le notizie di giornali del regno, giornali stranieri, memorie di personaggi che furono vicino alle alte cariche istituzionali e memorie di comandanti alleati e nazionali. Sempre in questo libro, si raccontano le origini del comitato di liberazione nazionale, i gruppi clandestini operanti nel territorio della R.S.I. e si raccontano le vicende dei giorni vicino al 25 aprile con l’imminente fine della Repubblica. Forse mi sbaglio, ma si tratta uno dei primi libri completi uscito nel decennio del dopoguerra. Completo per aver fornito ed aver cercato di dare una mappatura delle foibe Istro-Dalmate, di essere stato uno dei primi ad aver descritto l’altra faccia della resistenza, con i noti episodi di caccia al fascista o presunto. In maniera sintetica si parla anche delle carceri pieni di fascisti, come dei campi di prigionia e i soprusi dei liberatori, compreso le famose marocchinate nel basso Lazio. Oggi che siamo nel 2010 abbiamo bisogno di libri del genere e il lettore di oggi, leggendolo deve comprendere che il contenuto di questo libro a quell’epoca era ancora pericoloso esporlo, dando ammirazione per lo Spampanato che, malgrado quel clima irrespirabile riuscì -prima con i tre volumi del 52 e poi questo volume- a fornire versioni che sicuramente avranno dato fastidio a molti antifascisti, come davano fastidio il Tamaro e il Trizzino. Proprio quest’ultimo non viene dimenticato in questo libro: Le sue indagini fecero tremare l’alto ammiragliato e in queste pagine troverete anche la vicenda dell’ammiraglio Maugeri che, da incarico importante all’interno della marina, svolgeva anche il suo doppio gioco facendo la spia al nemico. Per concludere la recensione, all’interno del libro troverete la documentazione fotografica e vignette di giornali dei territori sotto occupazione alleata e nel territorio della R.S.I.. Vi saluto con una piccola parte di una lettera che Spampanato scisse all’alto Commissario Nenni. Frase che racconta di quale scorza dura fosse fatto il campano Spampanato e di come fossero stati tutti coloro che fecero la scelta d’onore:
“Se la sfortuna ci ha colpito, non per questo abbiamo meno diritto al rispetto di chi ci guardi in faccia e in buona fede.”

Titolo : l’Italia “liberata”
Autore : Bruno Spampanato
Edizioni : Di illustrato 1952
Pagine : 400
Capitoli che troverete all’interno:
SULLA VIA DI BRINDISI
I PARTITI AL POTERE
NEL NOME DEL LUOGOTENENTE
IL CLN SI CHIAMA “MAURIZIO”
IL RE DI MAGGIO
Inoltre appendice storica con i seguenti episodi:
LA DENUNZIA DEL TRADIMENTO
ELEMENTI SULLA CRISI MILITARE
IL DOPPIO GIUOCO DELLA CORONA
SENZA LA MASCHERA
LA “LORO” LIBERTA’
LA PARABOLA DEL CLNAI
TERRORE AL NORD
LE FRONTIERE IN PERICOLO
L’ALTRA PARTE: LA RSI
LA FINE DEL REGNO
UN RETROSCENA DELLA DIARCHIA
ALTRI DOCUMENTI
PROCESSI DEL DOPOGUERRA

Oggi lo potete trovare soltanto in mercatini dell’usato o tramite siti specializzati nella vendita del genere. Questo libro ha come costo attorno ai 40 euro, ma con il tempo potrebbe aumentare per la semplicita’ e incisivita’ di questo libro.
Alla prossima

mercoledì 10 marzo 2010

incontro presso la sede della Delegazione Romana


La sera del 10 Marzo, presso la delegazione romana della Fondazione Istituto Storico RSI, si è tenuta una riunione organizzativa, che ha visto partecipanti i membri più attivi della stessa.
Durante l'incontro si sono posti le basi per l'organizzazione del campo di Maggio, stilando una programma di massima, che verrà discusso ed approvato nella prossima riunione del 18 Aprile.
Si sono illustrati gli ultimi appuntamenti nei quali membri della delegazione Romana sono stati presenti: la conferenza sulla socializzazione e la presentazione del libro di Buscaroli "Dalla Parte dei Vinti" , entrambe a Bologna, con intervento del presidente della Fondazione.
A breve, inizierà la lavorazione della fascicolo sulla RSI, che verrà presto pubblicizzato su facebook nel gruppo amici della fondazione della RSI.

Recensione Presentazione editoriale del libro: "Dalla Parte dei vinti"

Riceviamo e pubblichiamo:

Bologna, 9 marzo 2010.
Oggi si è tenuta, presso l’hotel I Portici di Bologna, la presentazione del libro “Dalla parte dei vinti – Memorie del mio Novecento” di Piero Buscaroli edito da Mondadori.
La conferenza si è aperta con una presentazione dell’autore, che tra le altre cose ha voluto leggere ai presenti una parte di una lettera scritta da Soffici a Prezzolini del ’46 contenente alcune riflessioni sul periodo appena successivo alla fine della seconda Guerra Mondiale.
In seguito ha preso la parola il poeta e scrittore Davide Rondoni, che con buona oratoria ha descritto le emozioni provate nella lettura del volume e ha concluso definendolo un “libro surrealista”.
Dopo di lui la parola è toccata all’avvocato Alessandro Pellegrini, il cui discorso ha fatto leva sulle grandi sofferenze delle verità taciute riguardanti le violenze avvenute in Italia a guerra conclusa, con un occhio di riguardo per l’Emilia Romagna. Il suo discorso ha toccato anche un punto dolente e spesso trascurato, ovvero di come il primo sistema politico instauratosi in Italia nel secondo dopoguerra nasce con le mani sporche del sangue dei vinti e sulla scia delle violenze perpetrate dagli squadroni della morte comunisti.
Questo libro, per stessa ammissione dell’autore, è destinato ai posteri con lo scopo di mostrar loro la perversa meccanica del partito comunista italiano e per far luce su alcuni tra i più controversi momenti della storia italiana degli ultimi sessant’anni.

lunedì 8 marzo 2010

L’IMPROBABILE GIUSTIFICAZIONE DELLE FOIBE

Quando l'ideologia distorce la realtà dei fatti



Quest’anno non avevo ritenuto opportuno soffermarmi sul “Giorno del ricordo”, la giornata che questa smemorata Repubblichetta democratica dedica all’olocausto del popolo italiano d’Istria e Dalmazia. Tuttavia, un “improvviso” articolo comparso sul settimanale “Il Granchio” del 5 marzo 2010, a firma del Sig. Fiorenzo Testa dell’Associazione culturale “Acquadolce”, mi ha convinto a intervenire direttamente sulla questione del “giustificazionismo” delle foibe.

L’articolo su citato inizia con un attacco, davvero campato in aria, alla redazione de “Il Granchio”, colpevole di non dare una “vera informazione”, dando spazio, invece, alle testimonianze di “ex-repubblichini” (?), “ignorando completamente le ricerche provenienti dal mondo accademico”, ecc.

Tutta questa indignazione è stata provocata dalle pagine – di semplice cronaca – che il giornale ha dato alle celebrazioni della “Giornata del ricordo”, in cui si asseriva che erano stati diecimila gli Italiani infoibati dai partizan slavo-comunisti. Effettivamente, gli infoibati erano stati circa cinquemila e il dato diecimila era forse più da riferirsi al totale degli Italiani “scomparsi” durante una delle più feroci opere di pulizia etnica che la storia ricordi. Un refuso che, però, è servito per impiantare il solito discorso “giustificazionista” delle foibe.

Molto strano che il Sig. Testa non sia intervenuto con un articolo di protesta dopo i più gravi svarioni che si sono dovuti registrare durante i giorni dedicati al ricordo dell’Olocausto degli ebrei. Come mai lo zelo è scattato solamente quando si è parlato delle foibe? Quando le vittime erano gli Italiani e i carnefici i comunisti?

Il dramma che colpì il popolo italiano d’Istria e Dalmazia sul finire della Seconda Guerra Mondiale è stato espulso dalla storia del nostro Paese. Per decenni, sul più grave lutto che ha colpito la nostra comunità nazionale, nessuno ha mai proferito una parola. Solo negli ultimi anni, si è aperta quell’immensa fossa comune della memoria in cui era stata gettata la nostra storia. E ciò ha dato, comprensibilmente, fastidio a più di qualcuno che complice morale con quegli eccidi era.

Quegli studi di “illustri” accademici e storici che vengono astrattamente chiamati in causa, sono forse gli studi di coloro che per anni hanno ignorato le foibe, magari preferendo scrivere liriche al Maresciallo Tito? Oppure sono gli studi degli istituti della Resistenza? O sono gli studi degli “illustri accademici” slavi come Joze Pirievic, cui ha risposto il Prof. Giuseppe Parlato evidenziando la partigianeria del “collega” sloveno?

Bella storia. Davvero bella, quella partorita dalla fantasia.

Si sostiene che le celebrazioni del 10 febbraio sono state volute dal Governo Berlusconi per utilizzarle politicamente in chiave anticomunista. Nel 2010, ancora si parla di anticomunismo? Ma dove è il comunismo? La “Giornata del ricordo” ha ben altre radici, è il classico contentino “soporifero” dato agli esuli per non protestare più e, nel contempo, permettere ai Governi di centro-destra di rinunciare vilmente ai legittimi interessi italiani nell’Adriatico nord-orientale.

Probabilmente sono ben altre le “ricorrenze” che in Italia vengono utilizzate per fini politici, vero?

Dove si giunge al paradosso è quando si afferma che l’olocausto del popolo istriano-dalmata è “una diretta eredità del Ventennio fascista, dell’occupazione italiana dei Balcani, della Seconda Guerra Mondiale”. Ma certo! Nessuno ci aveva pensato.

Questa affermazione è il tipico “scudo difensivo” usato dagli apologeti del movimento di resistenza per giustificare un crimine senza precedenti. E’ il “giustificazionismo” che molti usano quando si sentono piccati nel proprio intimo. Perché deve essere chiaro, anche il PCI fu responsabile diretto di quella tragedia.

La discussione si dovrebbe allora chiudere qui. I “Gendarmi della memoria” hanno prima condiviso quelle scelte, poi le hanno nascoste, adesso le giustificano. E’ il solito “filo rosso” dell’egemonia culturale di gramsciana memoria. Per costoro un massacro di Italiani è un massacro sempre giustificato.

Tuttavia, nell’articolo si citano “dati storici” e allora ci è parso giusto fare delle precisazioni.

Si comprende benissimo come l’autore non abbia mai studiato attentamente il problema del confine orientale italiano, molto più complesso di quello che si accenna e, comunque, di molto antecedente al 1918 e, soprattutto, della costituzione del Regime fascista.

Secondo quanto si vuol far credere, con la vittoria nella Prima Guerra Mondiale, il Regno d’Italia si trovò ad amministrare “territorio sloveno”. Quale?

Certo, si ignora palesemente la composizione etnica dell’Istria riunita all’Italia. Basterebbe citare il censimento del 1921 per aver un quadro esatto di ciò, ma si salta ad altro, cercando di dipingere come “forzata e brutale” l’italianizzazione delle comunità slovene e croate che vivevano, dopo un processo migratorio, in quelle regioni.

Avremmo preferito dati concreti più che dichiarazioni di principio. Basterebbe pensare a quello che accadeva alla comunità italiana prima della scomparsa dell’Impero austro-ungarico. Ma anche ciò non viene detto.

Si accenna, immancabilmente, come da manuale, al famoso incendio del 1920 del “Darodni Dom” (?) di Trieste, indignandosi contro quel “criminale” attacco fascista e solidarizzando con i poveri amici sloveni perseguitati.

Come al solito, il fatto viene decontestualizzato e usato per sostenere argomenti che non stanno in piedi.

Il “Darodni Dom” – in realtà, era il Narodni dom, la “Casa del popolo (sloveno)” – rappresentava, nell’italianissma Trieste, la crescente pressione immigratoria slovena. Costoro, abbandonando le loro terre, si stavano riversando sui centri urbani italiani entrando, naturalmente, in conflitto con le preesistenti – da secoli! – comunità italiane.

La situazione era al limite del collasso e forti tensioni si registravano tra Italiani e Sloveni. La miccia che fece divampare l’incendio s’accese quando a Spalato, durante una manifestazione anti-italiana, vennero uccisi due militari del Regno d’Italia: il Comandante Tommaso Gulli – decorato poi di Medaglia d’Oro – e il motorista Rossi. Lo sdegno fu enorme e in tutte le città d’Istria vennero organizzati dei comizi di protesta. Durante uno di questi, a Trieste fu accoltellato mortalmente dagli Sloveni il cuoco Giovanni Nini. Un altro Italiano.

I fascisti reagirono attaccando i negozi sloveni in città e le sedi delle organizzazioni socialiste che, come loro tradizione, patteggiavano per tutti i popoli, tranne che per il loro.

Gli squadristi arrivarono di fronte al Narodni dom, difeso da circa quattrocento soldati del Regio Esercito contro i quali i fascisti non avrebbero mai iniziato le ostilità. Ci pensarono gli Slavi, che lanciarono dalle finestre della loro “Casa del popolo” due bombe a mano, iniziando a sparare non solo sugli squadristi, ma anche sui soldati italiani. Fu così che venne ucciso l’Ufficiale dei Carabinieri Reali Luigi Casciana. Di fronte a tutto ciò, i soldati del Regio Esercito risposero al fuoco e, poco dopo, fu incendiato l’edifico che esplose, in quanto i “pacifici e perseguitati” Sloveni lo avevano trasformato in un arsenale… Morì un solo Slavo, perché si gettò da una finestra per evitare le fiamme.

Come mai si è “sparlato” dell’incendio del Narodni dom e non si è mai accennato ai precedenti incendi degli edifici della Lega Nazionale (italiana) e delle altre associazioni culturali o sportive italiane a opera dei “poveri” Slavi?

Come mai si difende con tanto cuore l’identità nazionale dei Croati e degli Sloveni (che mai avevano avuto una loro nazione!) e non si spende una sola parola sull’identità nazionale italiana?

Dove si giunge al paradosso è quando si citano i crimini commessi dalle truppe del Regio Esercito durante la guerra nei Balcani, ignorando – anche questa volta! – i ben più gravi massacri dei partizan contro i nostri soldati. Ricordiamo che la guerriglia era una forma di lotta vietata da tutte le convenzioni internazionali, tant’è vero che la rappresaglia era una legittima forma di ritorsione usata da uno Stato belligerante costretto a confrontarsi con questa forma di guerra irregolare. I nostri Bersaglieri a cui erano strappati gli occhi dai partigiani slavo-comunisti, del resto, non hanno mai fatto pietà a nessuno.

Ci si lamenta anche del fatto che i Comandanti italiani accusati di crimini di guerra nei Balcani non sono stati estradati come chiedeva il Maresciallo Tito. Certo. Si sarebbe garantito loro un equo processo? O sarebbero finiti impiccati come prevedeva la prassi – e non la legge! – dei regimi comunisti? Si parla tanto di garantismo, di diritti umani, ma si sarebbero mandati al macello i nostri connazionali per crimini di guerra che non era neanche necessario provare. !

Che diritto avevano i comunisti slavi di condannare i Generali italiani – tra cui anche gli “eroi” della “Guerra di liberazione” – avendo nello stesso tempo le mani lorde di sangue di decine di migliaia di innocenti? Dov’è la tanto sbandierata “superiorità morale” della Resistenza?

Si citano i campi di concentramento italiani, senza nessun riferimento ai peggiori campi iugoslavi allestiti dopo la guerra – ripetiamo: dopo la guerra! – dal Maresciallo Tito, così amante della giustizia, della pace e della libertà dei popoli, da far scomparire nel nulla – senza nessun tipo di processo – migliaia di Italiani colpevoli solo di essere tali. Ma, si precisa, il 90% erano fascisti. Davvero sconfortante è dover rispondere ancora a queste affermazioni, dopo anni di studi e ricerche che hanno ben evidenziato i caratteri della pulizia etnica effettuata in Istria e Dalmazia dagli Slavo-comunisti con la complicità del PCI.

Del resto, questo è quello che sempre è stato sostenuto dalla vulgata: “Erano tutti fascisti e, in fondo, se la erano cercata”. E così, a Bologna, quando arrivò uno dei tanti treni merci che trasportava gli Italiani d’Istria e Dalmazia in fuga dall’inferno comunista iugoslavo, affamati, abbandonati a stessi, i bolscevichi bolognesi impedirono che fosse dato loro da mangiare e gettarono il latte destinato ai bambini sui binari. Bell’esempio di solidarietà operaia-internazionalista!

Non credo che sia necessario andare oltre.

In democrazia, mi dicono, il confronto e lo scambio di idee è una prassi. Allora invito il Sig. Testa a un pubblico confronto davanti a un giornalista de “Il Granchio”, dove sarò felice di visionare i suoi studi e suoi documenti. So bene la risposta, visto che questi inviti cadono sempre nel vuoto. Per i democratici, la democrazia serve solo quando fa comodo a loro.

Alla fine di questo articolo una cosa deve essere affermata. La più importante. Che l’Istria e la Dalmazia sono terre italiane contro cui, sul finire della Seconda Guerra Mondiale, si abbatté la pulizia etnica dei partigiani comunisti avente il fine di cancellare la millenaria civiltà italiana nell’Adriatico nord-orientale. Chi nega tutto ciò, preferisce ignorare la storia dell’Istria e della Dalmazia. Ma si difetta anche in geografia e architettura. Sarebbe bastato solamente visitare Capodistria, Rovigno, Pola, Fiume, Traù, Zara, Ragusa “la bella”, ecc. e non parrebbe strano che lì “anche le pietre parlano italiano”. Con buona pace di chi, una volta l’anno, il 10 febbraio, dovrà convivere con il mal di pancia.

Pietro Cappellari


Ricercatore della Fondazione Istituto storico RSI

Conferenza e presentazione libro sul tema della socializzazione – Bologna

Sabato 6 marzo 2010 si è tenuta a Bologna la conferenza dal titolo “Basta col liberal capitalismo: economia partecipata!”, organizzata dalla Fondazione della RSI e dall’Associazione Culturale Edera.

L’incontro ha proposto la presentazione del libro “Il comunismo gerarchico”, scritto dall’avvocato Sonia Michelacci per le Edizioni di Ar e verteva sull’idea della socializzazione. La conferenza è stata preceduta da un’introduzione da parte dell’ingegner Conti, Presidente della Fondazione RSI – Istituto Storico che oltre ad introdurre gli argomenti che sarebbero stati sviluppati dall’autrice ha posto l’accento su come essi siano taciuti dai canali d’informazione ufficiali, la scuola, i grandi media, le istituzioni culturali. L’avvocato Sonia Michelacci si è concentrata sulla condizione del lavoratore odierno e su i suoi diritti, in contrapposizione a quella tipica di un sistema socializzato, ponendo l’accento sul fatto che la socializzazione è in primis una rivoluzione del ruolo del lavoratore.

Tenendo conto della complessità degli argomenti trattati la conferenza ha visto un’affluenza di pubblico piuttosto ampia, tra cui la partecipazione di alcuni membri della Delegazione Romana della Fondazione della RSI ed ha costituito un momento di incontro tra persone appartenenti a diverse realtà. Si ringrazia l’associazione culturale Edera per la buona organizzazione e per aver reso possibile a Bologna lo svolgimento di questo importante evento.

venerdì 5 marzo 2010

Prossimo appuntamento

Informiamo tutti gli interessati che presso l'Hotel Portici a Bologna,
Martedì 9 Marzo 2010 dalle ore 18.00, verrà presentato il libro di Pietro Buscaroli: "Dalla Parte dei Vinti" Memorie e verità del mio novecento.
Interverranno, oltre all'autore, l'avvocato Alessandro Pellegrini e lo scrittore Davide Rondoni.

mercoledì 3 marzo 2010

Appunti sulla Conferenza su Berto Ricci 28 Febbraio 2010 presso la sede di Terranuova Bracciolini

Domenica 28 febbraio 2010 si è svolta, presso la sede dell’istituto storico della Repubblica Sociale Italiana di Cicogna, la conferenza su Berto Ricci – l’ortodossia nella trasgressione – tenuta da Maurizio Rossi.
La conferenza è stata preceduta da una lunga introduzione da parte dell’ingegnere Conti rivolta ai giovani che da poco si sono avvicinati all’istituto, riguardante la storia a grandi linee della RSI nei suoi punti chiave di carattere costitutivo. In seguito l’ingegnere ha proceduto con il tracciare un profilo storico dell’istituto, dalla sua nascita nel 1986 come associazione culturale fino alla trasformazione in fondazione e ai giorni nostri, oltre che nella lettura, commentata da lui stesso, di alcuni punti fondamentali dello statuto della fondazione.
Dopo questa parte iniziale ha preso la parola Maurizio Rossi, che con brillante oratoria ha tracciato un quadro generale ma nel contempo completo ed esauriente della figura di Berto Ricci.
Prima di cominciare però egli ha voluto rivolgere un pensiero alla figura del camerata Pio Filippani Ronconi, recentemente scomparso, al quale è stato negato il funerale secondo i suoi voleri; questo testimonia come certi uomini, col loro esempio espresso tramite il verbo dell’azione, hanno la capacità di restare minacciosi e temuti anche da morti.
Rossi inizia riconoscendo in Berto Ricci un grande teorico del fascismo nonché uno dei maggiori pensatori della cultura fascista. Quest’ultima però non fu mai univoca, ma piuttosto frammentata in una molteplicità di filoni differenti e talvolta contrapposti; infatti Ricci, pur essendo riconosciuto come teorizzatore influente del fascismo, non ricoprì mai il ruolo di figura vertice del regime (come ad esempio avvenne invece per Gentile) e operava al di fuori dei canali ufficiali rappresentati dall’istituto di cultura fascista. Il suo avvicinamento al fascismo non è stato immediato: negli anni che vanno dal ’21 al ’26 fu un giovane anarchico il cui rapporto con il regime appena installatosi in Italia era quello di oppositore. In seguito disse che secondo lui si può facilmente traghettare dall’anarchismo al fascismo senza complicazioni; a conferma di questa sua brillante intuizione possiamo ricordare il grosso contributo degli anarchici allo squadrismo e alla mentalità dell’epoca. Da una certa sinistra antifascista e non solo, Berto Ricci viene spesso definito come un eretico e il suo un fascismo impossibile, questo perché definirlo un fascismo diverso, un’altra possibilità di applicazione dell’idea fascista, sconvolge il quadro di chi vorrebbe rinchiudere il fascismo all’interno di un recinto fatto di stereotipi ormai radicatisi nel tempo. In realtà lui non fu un libertario, bensì un grande intransigente. Attaccò tutti quelli che secondo lui erano dei gretti “voltabandiera” all’interno delle università e che aderivano al fascismo unicamente per convenienza, oltre che ad esprimersi riguardo alla mancanza di univocità del Duce. Criticò quella che secondo lui fu la mancanza di un’anima veramente totalitaria del regime, di una rivoluzione fatta a parole ma che non portò i cambiamenti conseguenti e inizialmente auspicati. Infatti considerando il fascismo come un’alternativa di civiltà, in special modo dal punto di vista economico-produttivo con la cosiddetta “terza via”, Berto Ricci partecipò attivamente al discorso sul corporativismo cercando effettivamente di costruire una linea guida e una teoria realistica ed applicabile del corporativismo fascista. Egli fu un rivoluzionario integrale e non un eretico; odiato da tutte quelle “mele marce” che vivevano alle spalle e alle spese del Duce e del regime, rallentando e sfavorendo notevolmente quel processo rivoluzionario al quale Ricci auspicava.
Quando a partire dal ’38 il regime ripiega su se stesso e tutto l’apparato istituzionale comincia a mostrarsi obsoleto e inefficace, Mussolini intuisce che per rinnovare e svecchiare il fascismo, nonché allontanare i malumori crescenti, è necessario affidarsi a quella base fascista ortodossa che non perse questa caratteristica col passare del tempo, optando per una svolta che sia davvero rivoluzionaria e di sborghesizzazione dell’Italia. Chiaramente Berto Ricci venne inserito all’interno di questo progetto e come già detto prima, continuò nel cercare di rendere il corporativismo realmente funzionale e funzionante. Quest’opera di rinnovamento, almeno per quel che riguarda Ricci, fu bruscamente interrotta col la sua partenza per il fronte e con la sua morte nel ’41 in Africa. Egli partì per la guerra perché, come tanti fascisti puri come i ragazzi del GUF, credette che anche la guerra potesse essere uno strumento funzionale, talvolta ben più di altri, per portare la rivoluzione fascista fino in fondo. Se non fosse morto al fronte, Berto Ricci avrebbe sicuramente aderito alla Repubblica Sociale Italiana, in quanto il suo pensiero aveva già in se quegli elementi intransigenti e fortemente rivoluzionari che, nonostante le condizioni tutt’altro che favorevoli, si cercò di attuare durante la RSI.
In ultima analisi possiamo dire che Berto Ricci è stato un uomo che, dopo aver scritto e teorizzato molto, ha dimostrato con il suo esempio la coerenza intrinseca alla sua persona, scegliendo l’azione e il coraggio di portare fino in fondo le proprie idee.
Tra le varie figure presenti, trovo sia importante sottolineare la presenza del figlio di Berto Ricci, in quanto non sempre purtroppo è possibile constatare la partecipazione entusiastica ed orgogliosa dei figli nei confronti di un padre che, come molti, decise di farsi portavoce di quella che poi venne - e purtroppo viene - considerata la “barricata sbagliata”.

Alla conferenza è seguito il pranzo comunitario, ben organizzato e buona la cucina, per il quale si ringrazia lo staff della fondazione RSI.

lunedì 1 marzo 2010

Appuntamento del 27/28 a Terranuova Bracciolini

Si è svolto questo finesettimana il consueto appuntamento, che ogni due mesi riunisce tutte le delegazioni operative della Fondazione Istituto storico RSI ed i simpatizzanti, presso la sede centrale a Terranuova Bracciolini; presenti, oltre la delegazione romana, quella della Emilia Romagna, quella Ligure ed anche i giovani di Casa D'Italia.

Il sabato è stato il giorno dedicato ai lavori organizzativi e di manutenzione dell'Istituto che ha visto la delegazione romana operativa fino dalla mattina. Con l'arrivo della delegazione Ligure si è proceduto alla organizzazione del museo della sede, con la sistemazione dei preziosi cimeli ivi conservati, in particolar modo si è studiato il metodo di conservazione delle divise e si è data una sistemazione definitiva al materiale donato alla Fondazione da parte del signor Lodi, squadrista della prima ora e partecipante alla marcia su Roma.
Verso sera, con l'arrivo di tutti i partecipanti all'incontro si è svolta una riunione organizzativa, che ha toccato svariati temi, partendo dalla necessità di formare dei nuovi ricercatori, per poi affrontare il tema delle nuove pubblicazioni che la Fondazione produrrà nei prossimi mesi.
La Domenica, dopo le comunicazioni formali e le direttive operative fornite dall'Ingenier Conti, presidente della Fondazione, Maurizio Rossi ha illustrato la figura storica di Berto Ricci, la conferenza ha avuto l'attenzione dei presenti e ne è seguito un proficuo dibattito.
Il pranzo comunitario ha concluso ottimamente il seminario

La consegna del Testimone

Riceviamo e pubblichiamo:

Ascoltatemi, carissimi amici e compagni di fede. Questo non è un addio. L'addio, sarete voi a darmelo, quando io non potrò più farlo, dato che, fino all'ultimo respiro, intendo adempiere al giuramento che prestai il 28 ottobre 1939 allo Stadio dei Marmi, al Duce presente.
E' un testamento e una consegna, e, come tale, va redatto presso alla conclusione della vita, ma ancora nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, come il destino ha voluto conservarmi tuttora.
Mi rivolgo a voi, che mi siete più vicini nei ranghi, ma vi faccio carico di serbare in cuore le mie parole e di divulgarle al massimo e con ogni possibile mezzo a tutti coloro che giudicate pronti a riceverle, il giorno in cui mi porrò in congedo illimitato.
Per tutta la vita, ho cercato di servire il nostro comune ideale.Come tutti, ho certo commesso errori ed ingenuità, ma posso orgogliosamente affermare, sfidando chiunque a contraddirmi, di non aver mai accettato il più insignificante compromesso con la laida baldracca cui si usa dare il nome di Libertà, nè con i suoi logorroici manutengoli. Ora che il fardello del legionario comincia a premere sulle mie dolenti spalle, e che il mio passo malfermo necessita dell'appoggio affettuoso dei giovani fedeli, credo quindi di potere, senza mancarvi di rispetto, rivolgermi a voi in tono quasi paterno.
La prima verità da intendere è questa: che il compito che ci siamo assunti non è da uomini, ma da eroi. Non è affermazione retorica, questa, ma rigorosamente realistica. E, se così numerosi tentativi di riunione delle nostre forze sono falliti, è stato perchè si è voluto affrontarli da uomini e non da eroi. E gli uomini, anche di buon livello, hanno una pletora di debolezze, di vanità, di fisime, di opportunismi, che solo gli eroi sanno gettarsi dietro le spalle.
Come tante altre parole, anche "eroe" ha bisogno di una definizione. Non intendo, con essa, riferirmi a un comportamento eccezionale dettato da un attimo di esaltazione, di suggestione e di sacro furore, che può portare fino a "gettare la vita oltre l'ostacolo". Intendo definire quel fatto esistenziale e permanente, detto "concezione eroica della vita", che accompagna il soggetto in tutte le sue azioni e pensieri, anche apparentemente più tranquilli. Eroe, è quindi chi riesce a spezzare i vincoli condizionanti che lo legano, ora ad ora, alla grigia materialità del quotidiano, per seguire ad ogni costo la suprema armonia del cosmo, il sentiero della super-vita e della partecipazione al Grande Spirito. L'eroe è quindi portato a fare il proprio dovere, senza bisogno di alcuna costrizione, ed ha nella propria coscienza un giudice ben più acuto e inesorabile che un pubblico impiegato seduto dietro a un bancone. Libero, non è chi non ha padrone, ma chi è padrone di se stesso, e quindi l'eroe è il solo tipo umano veramente libero.
Non è che l'eroe non si allacci anche lui le scarpe, non paghi il telefono, non incassi lo stipendio o non partecipi magari a una compravendita. Solo che, per lui, quelle sono incombenze necessarie ma accessorie, secondarie: non sono "la realtà della vita", come per l'uomo qualunque. Servono a campare, ma vivere per campare gli toglierebbe il respiro.
Per questo, il nostro primo imperativo dev'essere. "tutti eroi !".
Il mio testamento spirituale potrebbe finire quì, perchè tutto quel che ho fatto, detto e abbondantemente scritto in tanti anni, non è che la conseguenza di quell'impostazione.
Voglio però aggiungervi un paio di consigli, che ritengo possano essere utili per la vostra continuazione della lotta.
Il primo è di adottare un ordinamento (e una formazione) fondato sui doveri e non sui diritti.
Sul piano meramente logico, sembrerebbe la stassa cosa. Se Tizio ha un diritto, ci dev'essere un Caio che ha il corrispondente dovere verso di lui. Se quindi io dico. "Tizio ha diritto di avere X da Caio", è sinonimo del dire " Caio ha il dovere di dare X a Tizio". Che differenza c'è ?
C'è, la differenza. E sta nel fatto che, mentre il proprio dovere si può FARE, il proprio diritto si può soltanto RECLAMARE. Ne consegue che, se tutti fanno il loro dovere, e tale è la maggior cura dello Stato, automaticamente anche tutti i diritti vengono soddisfatti, mentre, se si proclamano diritti a piene mani, e tutti li reclamano, si fanno solo cortei con cartelli e una gran confusione e intralcio al traffico (protetto da stuoli di vigili urbani), ma il popolo resta a bocca asciutta, eccettuati i sindacalisti.
La seconda esortazione ha carattere operativo. Un uomo solo, un Capo, può impugnare la barra delle massime decisioni, ma deve possedere qualità eccezionali, che ben raramente si riscontrano. In sua mancanza, un gruppo di tre, quattro, cinque persone accuratamente selezionate, possono svolgere la funzione decisionale con sufficiente prontezza e saggezza. Un organo più numeroso, può funzionare solo a patto che vi sia una rigorosa divisione di funzioni e relative competenze, tra cui quella di sintesi, svolta da pochissimi. Ma soprattutto , deve dominare in esso l'assoluta unità di intenti, al difuori di qualsiasi carattere agonistico ( tipo maggioranza e opposizione). In mancanza di tali requisiti, l'organo numeroso è del tutto inutile, anzi gravemente dannoso, perchè vengono a dominare poteri "di fatto" fuori di ogni controllo. Vi dico questo, sia in vista degli organi dello Stato organico che intendiamo istaurare, sia per quanto riguarda agli organi interni di "nostre" formazioni. Per queste ultime, anzi, il pericolo delle vaste "collegialità" (vedasi il pessimo esempio del MSI-DN) è ancor più grave, perchè fattore della degenerazione demagogica e incapacitante delle compagini stesse. Lasciate quindi al belante gregge democratico la ridicola allucinazione di comandare tutti, e coltivate la nobile, virile e feconda virtù dell'obbedienza.
Nessuno nega che il temperamento ambizioso sia uno stimolo per l'azione, ma ognuno stia in guardia: al minimo accenno che esso tenda a prevaricare in lui sulla dedizione alla Causa, sappia mortificarlo con orrore. La vittoria nella "grande guerra santa" è quella.
Se potrò costatare l'accoglienza da parte vostra di queste mie esortazioni, saprò di non aver vissuto inutilmente.
Ed ora, non avendo più la forza di stare al remo, torno a darmi da fare al timone.
Enos, Lases, iuvate !

Rutilio