sabato 31 ottobre 2009

Prossimo appuntamento

Riceviamo e pubblichiamo:

Il 2 novembre alle ore 10,30 il Sindaco di Anzio con autorità civili e militari renderà omaggio al Sacrario del Campo della Memoria a Nettuno, sarà presente una delegazione della Associazione Campo della memoria.
DECIMA !
ASSOCIAZIONE CAMPO DELLA MEMORIA
Alberto Indri

mercoledì 28 ottobre 2009

In occasione del 28 Ottobre

In occasione della ricorrenza del 28 Ottobre, tra tanti inviti per cene ed abbuffate varie, riteniamo doveroso pubblicare il seguente intervento:


DIES IRAE
I GIORNI DELL’IRA
di Filippo Giannini

I “Giorni dell’Ira” furono quelli del febbraio 1947, quando gli “Angeli del Bene” (così amavano appellarsi i liberatori) ci imposero un Diktat di una spietatezza tale da renderci ancora oggi schiavi di un Paese che è tutt’ora capofila di una coalizione di Stati canaglia.
Pochi italiani conoscono il testo del Trattato di Pace (Diktat, appunto) che ci fu imposto a Parigi nel febbraio 1947, da quei Paesi vincitori della guerra 1939-1945 i quali dopo averci costretto al conflitto (“Ci sono Paesi che costringono alla guerra e Paesi che la subiscono” – Benito Mussolini) ci hanno umiliato oltre ogni dire. Pochi italiani sanno, fra gli altri argomenti, che in quei giorni – Dies Irae, appunto – i vincitori si inventarono e ci imposero anche il l’XI Comandamento: oltre all’onora il padre e la madre, o non avrai altro Dio all’infuori di me, concepirono, per salvaguardarsi da ulteriori pericoli, anche “Ricordati di maledire, almeno una volta al giorno, Mussolini e il fascismo”. Dopo queste premesse passo all’argomento.
Leggo sul periodico “Cinquanta e più” una lettera di una Signora di Genova, lettera esaltante il Governo Mussolini; contenente anche la risposta a firma di R.B. (che dovrebbe essere, se non erro, della giornalista Rosella Bennati), la quale, fedele osservante dell’XI Comandamento si avventura in una disquisizione, che dovrebbe essere storica, dei danni arrecati dal Fascismo a questo povero Paese. Dopo aver riconosciuto, bontà sua :. Dopo questo fin troppo limitato riconoscimento, la brava giornalista elenca tutta una serie di malefatte, di cattiverie commesse dal Capo del fascismo nel corso del suo Governo. Eccole: (1); (2); (3); (4); (5); (6); < (7); e finalmente: (9).
Sin qui l’analisi “storica” di R.B.. Riconosco che il contestare quanto dalla giornalista scritto mi costringe ad una lunga dissertazione, prego il lettore di aver pazienza. Quindi iniziamo avvalendoci di testimonianze al di sopra di ogni sospetto (come il lettore potrà constatare) e, soprattutto di documenti, la maggior parte dei quali di provenienza dagli Archivi dei Ministeri e dall’Archivio Centrale dello Stato.
Paragrafo 1) - Il Fascismo nacque a marzo del 1919. Chiunque può andare a leggere nelle Biblioteche nazionali giornali immediatamente precedenti a quella data e potrà prendere atto degli atti di violenza commessi dalle squadracce rosse che operavano principalmente nella bassa padana per costringere gli agricoltori ad aderire ai sindacati di sinistra. Ha scritto Gaetano Salvemini (Scritti sul Fascismo, 1° Volume), nonostante il suo radicato antifascismo, che tanta violenza poteva aver luogo per l’incapacità delle forze dell’ordine e della magistratura e . Il professor Ardito Desio così rispose ad una domanda di un giornalista: . Il giornalista inglese Percival Phillips, del Daily Mail, che visse molti anni in Italia, così ricorda quegli anni: . Se tutto ciò non bastasse alla Signora R.B., aggiungo il parere di De Gasperi, che su Il Nuovo Trentino del 7 aprile 1921, così ha scritto: . E come conclusione di questo paragrafo, riportiamo l’osservazione di Antonio Falcone: .
Paragrafo 2) – In una intervista rilasciata da Matteo Matteotti (figlio di Giacomo Matteotti) al giornalista Marcello Staglieno e riportata su Storia Illustrata del novembre 1985, il figlio del deputato socialista fra l’altro affermò: . E’ superfluo aggiungere che Matteo Matteotti, a pochi giorni dall’intervista, fu costretto ad una ritrattazione della stessa. Carlo Silvestri, socialista e giornalista del Corriere della Sera, sin dal primo momento attribuì a Mussolini la responsabilità della morte di Giacomo Matteotti. Carlo Silvestri, negli anni che seguirono e a seguito dello studio di alcuni documenti, definì il Duce completamente estraneo alla morte del deputato socialista. I due processi celebrati nel 1947 contro i responsabili del delitto, riconobbero la totale estraneità di Mussolini quale mandante (e si deve ricordare che la vedova di Matteotti, Veglia Ruffo, malgrado fosse osteggiata dai socialisti, volle incontrare Mussolini, dimostrando in questo modo di credere nell’innocenza del Duce). Carlo Silvestri per le sue coraggiose testimonianze fu minacciato e insultato. E’ famosa la risposta che dette al deputato comunista Pajetta: . Ed ora, Signora R.B., perché non ha ricordato il caso di Armando Casalini? Forse la Signora non sa nemmeno chi sia, Vero? I fratelli Rosselli erano antifascisti, liberissimi di entrare ed uscire dall’Italia a loro piacere, tanto che il loro visto veniva rinnovato quando lo desideravano. C’è un volume del giornalista e storico Franco Bandini che documenta la vicenda, “Cono d’Ombra”. E’ un volume di più di 500 pagine, quindi documentatissimo e su questa documentazione Franco Bandini rovescia la responsabilità dell’assassinio. Le Figaro del 14 giugno 1937, quindi a pochi giorni dalla morte dei due fratelli, uscì con due sensazionali titoli: “Carlo Rosselli, amnistiato dal Governo italiano stava rientrando nel suo paese”. “I documenti segreti in suo possesso sono alla base del crimine”. 9 giugno 1937, data del crimine: siamo nel pieno della guerra civile spagnola. Carlo e Nello Rosselli hanno duramente combattuto dalla parte dei rossi. Per quale motivo i due fratelli abbandonano il fronte per “rientrare nel proprio paese”? Cosa contenevano i documenti segreti che portavano con loro e che furono trafugati dagli assassini? Per più di sessant’anni la Storia ha accettato senza discutere che i mandanti del delitto si trovassero a Roma, e più precisamente nel ministero degli Esteri italiano. Franco Bandini documenta, invece, che l’ordine di uccidere i Rosselli proveniva da Oriente e la causa della loro morte va ricercata proprio nel desiderio dei due fratelli di rientrare in Patria con i documenti segreti. Per quanto riguarda don Sturzo il caso è ancora più semplice: don Sturzo era un acceso antifascista e dato che il Vaticano voleva risolvere la Questione romana, Pio XI esercitò su don Sturzo una forte pressione affinché abbandonasse la segreteria del Partito Popolare, pressione così incalzante che ad un certo punto, il prelato temette di subire addirittura una scomunica. Mussolini non aveva alcun interesse a che don Sturzo rimanesse in Italia o se ne andasse in America.
Paragrafo 3) – Scrive il giornalista e studioso Franco Monaco (Quando l’Italia era ITALIA, pag. 128): . Continua Monaco: . Ecco la testimonianza del comunista ex confinato Arturo Colombi: . Sulla stessa linea erano: un altro comunista Amedeo Bordiga, il mafioso Genco Russo, l’artista Luigi Bertolini e tanti altri che in questa sede non è possibile elencare. D’altra parte era ovvio: per legge il confino doveva possedere precise caratteristiche; doveva essere locato in zone salubri, mare, collina o montagna, l’alloggio e il vitto gratuito e i confinati avevano diritto ad un assegno giornaliero. La Signora R.B., scrive: . Sfido la Signora di farci conoscere il nome di un solo confinato fatto morire di malattie e stenti. Vede Signora, io non attesto che Lei mente, è semplicemente ignorante in materia perché, invece di studiarla con obiettività, si è accontentata di seguire quel che attesta l’informazione di questo infelice Paese assoggettata al sistema dell’XI Comandamento da oltre sessant’anni. Se vuol trovare regimi che usavano, o tutt’ora usano i sistemi da Lei descritti, non può che andare a studiare i metodi messi in atto dalla Gran Bretagna con i campi di concentramento del generale Kitchener, dall’Urss con i suoi gulag, dagli americani con i campi di tortura del Texas, per gli italiani prigionieri non collaboratori e, più recentemente con il campo di Guantanamo e potrei continuare, però lasci da parte Benito Mussolini.
Concludo questo paragrafo con il pensiero di uno che di certe cose se ne intendeva, Stalin: .
Paragrafo 4) – Cara Signora R.B., quello che scrive è tutto falso. Benito Mussolini riconobbe il figlio nato a seguito di un rapporto con la signorina Ida Dalser. Infatti ho dinnanzi a me la copia dell’Atto Notarile stilato a Milano l’11 gennaio 1917, nel quale fra l’altro è attestato. . Che la Signorina Dalser fosse non completamente sana di mente è fuor di dubbio, tanto che, fra le altre cause, le tolgono la tutela del figlio con decreto del R. Tribunale di Trento e affidato alla tutela del Signor Dario Verdini il quale in una lettera datata 24/6/1924 nel punto 6° testualmente scrive: . Al sostentamento del piccolo Benito provvedeva sia il Duce che il fratello di questi, Arnaldo. Non solo ma Benito Mussolini riconobbe alla Dalser un sussidio mensile di Lire 200.
Paragrafo 5) – Altra sciocchezza e inesattezza. Nessuna coercizione affinché i giovani indossassero la divisa di Balilla o simili. Ancora oggi posso fare il nome di tanti e tanti ragazzi di allora che, per un motivo o per l’altro, mai hanno indossato la divisa. Una cosa è certa: la divisa del Balilla aveva un valore particolare di onestà, di lealtà, di cavalleria e la droga, o cose simili, erano assolutamente sconosciute.
Paragrafo 6) – La Signora R. B. che è tanto approfondita nella storia patria, conosce certamente i fatti che portarono alla guerra con l’Etiopia. Sa certamente chi furono i primi ad attaccare quel Paese. Se non ricorda, provvederemo con un breve excursus. Il 17 gennaio 1885 (Mussolini aveva meno di due anni) salpava da Napoli, con destinazione Assab, nel Mar Rosso, il corpo di spedizione italiano, che sarà poi l’avanguardia delle nostre imprese coloniali. A febbraio di quell’anno gli italiani occupano Massaua. Ma i politici italiani erano così impegnati alle loro lotte intestine (nulla è cambiato oggi) che dimenticarono le richieste di assistenza che provenivano dall’Africa, tanto che il 26 gennaio 1987 (Mussolini aveva meno di quattro anni) giungeva notizia che la nostra spedizione composta di soli cinquecento uomini venivano annientati a Dogali da migliaia di guerrieri abissini. Il 14 luglio 1894 il generale Oreste Baratieri passato il Tigrè si spingeva sino ad Axum e Adua. Il 3 dicembre 1895, 30mila abissini attaccarono ad Amba Alagi un nostro distaccamento di soli 2500 uomini che, ovviamente, furono interamente massacrati. I nostri politici li avevano dimenticati, impegnati come erano a districarsi in uno dei tanti scandali, questa volta era toccato alla Banca Romana. Nuova disastrosa sconfitta italiana del nostro esercito coloniale: il 1° marzo 1896, presso Adua, 16mila soldati italiani furono massacrati da oltre 70mila abissini. Non dimentichiamo il 1911, l’Italia dichiara guerra alla Turchia per impossessarsi della Libia. Questi molto, ma molto sommariamente gli antefatti. Nel 1934, probabilmente su sollecitazione britannica, il Consolato italiano a Gondar venne assalito da un gruppo di predoni abissini, uccise un nostro ascaro e ne ferì parecchi altri. All’Italia il governo del negus offre delle riparazioni, ma è solo un inganno tanto che gli autori dell’incursione, catturati dalla polizia etiopica, vennero tranquillamente lasciati fuggire. Scrive Rutilio Sermonti che in quel 5 dicembre a Ual_Ual (in quella località c’era un fortino italiano) .
Dimenticavamo una quisquilia: venne costituita una Commissione d’indagine, presieduta dallo specialista greco di Diritto Internazionale, Nicolaos Politis per accertare le responsabilità dell’attacco. La sentenza, emessa il 3 ottobre 1935, attribuiva la responsabilità degli scontri di Ual-Ual alle locali autorità abissine.
Siamo dell’opinione che Londra spinse Mussolini all’impresa in Etiopia, con la convinzione che una probabile sconfitta avrebbe comportato la fine del fascismo. Grande fu lo scorno della Perfida Albione quando dopo solo sette mesi gli italiani entrarono vittoriosi in Addis Abeba.
Paragrafo 7) – Le colpe della guerra? A prescindere da tante altre considerazioni, cosa intendeva lo storico inglese George Trevelyan (Storia d’Inghilterra, pag. 834) con l’osservazione: . Oppure, ancora più esplicitamente Winston Churchill nella sua “La Seconda Guerra Mondiale”, 1° Volume, pag. 209: . Quasi con le stesse parole l’opinione di Renzo De Felice.
Chi cercò di modificare gli infami Trattati di Pace di Versailles del 1919 fautori del Secondo Conflitto mondiale? Chi organizzò il Patto a Quattro e chi la Conferenza di Stresa? Chi sabotò l’uno a l’altra? Chi ricorda la Conferenza Generale per il Disarmo tenuta a Ginevra a giugno del 1932? Ecco le proposte presentate da Mussolini tramite Dino Grandi: . Ho scritto nel mio libro: . Perché, ad esempio non si parla mai della Conferenza Navale di Londra tenuta nell’aprile 1930. Ecco in merito quanto ha scritto Arianna A. Rota (La Diplomazia del Ventennio, pag.78): . Chi non accettò la proposta? Perché non si accenna mai ai così detti Rapporti Luca Pietromarchi? Perché in quei Rapporti c’è la chiave di lettura di uno dei motivi fondamentali dell’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940. In quei Rapporti Luca Pietromarchi evidenzia le provocazioni messe in atto da Francia e Gran Bretagna per costringerci all’entrata in guerra. Il fascismo aveva spaventato il mondo della grande finanza con le sue idee innovatrici. La Carta del Lavoro, lo Stato Corporativo, la Socializzazione dello Stato, la Produzione e il Lavoro avrebbero dato il valore alla moneta e non più l’oro, ecco i motivi principali per i quali, come disse Mussolini: . Era la premessa del Dies Irae!
Paragrafo 8) – Parlare del personaggio Gianfranco Fini mi disgusta. Lascio la voce ad un mio lettore che mi ha inviato recentemente una mail, nella quale ha scritto, rivolgendosi a quel soggetto: .
Paragrafo 9 - Scrive la Signora R.B.: . Fra le tante menzogne (tutte ad onore dell’XI Comandamento) questa è la più infame, stupida, falsa e insultante. Mussolini nutriva un effettivo disprezzo per il denaro. Gentile Signora R.B., senta questa: Mussolini rifiutò ogni appannaggio non solo a titolo personale, ma anche per le spese della sua Segreteria. Il Ministro Pellegrini-Giampietro, in una memoria pubblicata su Il Candido del 1958, ha scritto: . Signora R.B., sembra la storia di uno qualsiasi degli attuali Capi di Stato o di qualsiasi Ministro di cui la Liberazione ci ha fatto dono. Ma la Signora in oggetto, non contenta, sullo stesso argomento ha scritto: <(…) al suo lauto tenore di vita (cose da pazzi, nda) aggiungeva un patrimonio personale che ha costituito il contenuto di quel tesoro sul cui trafugamento tuttora sono in corso le ricerche internazionali>. Stia attenta, Signora, Lei sta toccando un tasto pericoloso e qualcuno da Via delle Botteghe Oscure potrebbe ancora farle del male, nonostante siano passati quasi sessantacinque anni…
Concludo con un interrogativo. Ha scritto l’intellettuale Cesare Musatti nel 1983: . Domanda: .
Lascio la risposta alla Signora R.B..

Nascita di una divisione

Riceviamo il seguente articolo dello storico Massimiliano Afiero, per maggiori informazioni potete contattare direttamente l'autore:

La Legione SS Italiana

di Massimiliano Afiero
Introduzione

Dopo la caduta del Fascismo e la destituzione di Benito Mussolini (25 luglio 1943), malgrado il clima di sfacelo e di disordine che invase tutto il paese, moltissimi soldati italiani, soprattutto quelli di sicura fede fascista, vollero confermare la loro volontà di continuare a combattere al fianco dell'alleato germanico, presentandosi volontariamente presso i comandi militari tedeschi. La maggior parte di essi aveva già intuito le prossime mosse del nuovo governo italiano presieduto dal maresciallo Badoglio, prossimo a tradire la Germania nazionalsocialista e a vendersi agli alleati. Al Reichsfuehrer Himmler, iniziarono a giungere da varie località soprattutto all'estero, segnalazioni di arruolamenti volontari da parte dei soldati italiani. Già il 28 luglio numerosi italiani della Milizia fascista a Zagrabia, si presentarono alle autorità tedesche chiedendo espressamente di essere arruolati nella Waffen SS. Qualche giorno dopo arrivò la notizia che episodi analoghi si erano verificati nel Sud Tirolo, anche qui i miliziani si stavano presentando come volontari ai centri di arruolamento, destinati agli altoatesini di etnia tedesca, che in base agli accordi tra Hitler e Mussolini, potevano scegliere di arruolarsi in formazioni germaniche. Himmler in persona seguì con molto interesse la vicenda, diramando subito disposizioni per accogliere al meglio i volontari italiani e riservare loro un trattamento speciale.
Dopo aver accolto nella sua Waffen SS volontari provenienti da ogni angolo dell'Europa, il Reichsfuehrer accarezzò subito l'idea di costitutire reparti SS italiani. Dopo alcune settimane di confusione assoluta, durante le quali le segnalazioni di reparti che chiedevano di continuare a combattere al fianco dei tedeschi si moltiplicarono, il 31 agosto Himmler inviò ai vari centri di raccolta un messaggio segreto (Felddkommandostelle-SS Tgb.Nr.35/128/43 g.), dove specificò il comportamento da assumere nei riguardi dei volontari italiani: i militari dell’esercito dovevano essere incorporati nella Wermacht, mentre i membri della Milizia fascista nella Waffen SS.

L’8 settembre 1943 con l’annuncio dell’armistizio tra il governo Badoglio e gli alleati, i tedeschi attuarono i piani Alarico (invasione dell'Italia) ed Achse. Quest'ultimo prevedeva il disarmo e la cattura di tutti i militari italiani sul territorio nazionale e all'estero. Le truppe tedesche entrarono in Italia dal nord senza incontrare nessuna resistenza: le nostre divisioni si dissolsero nel nulla. La maggior parte dei soldati venne catturata dai tedeschi e trasportata verso i campi di concentramento in Germania e in Polonia, circa 600.000 uomini. Nel settore balcanico, alcuni reparti non accettarono di consegnare le armi ai tedeschi, e si difesero fino alla morte, mentre altri reparti decisero di collaborare da subito con le forze germaniche. Si comportarono cosi anche i militari italiani, della base atlantica di Bordeaux in Francia, i marinai di Danzica e le unità Mas dislocate sul Mar Nero.

I RIBELLI DELL’8 SETTEMBRE

Dopo il tradimento italiano dell’8 settembre, malgrado l'annuncio dell'armistizio, che dai più fu visto come la fine della guerra indesiderata, molti reparti italiani ed in particolare le camicie nere aggregate alle divisioni del regio esercito, espressero subito la loro volontà di continuare a battersi al fianco dei tedeschi. Molti furono subiti inquadrati nelle formazioni germaniche ed inviati prima linea. Particolare attenzione fu riservata al personale specializzato, utile ai tedeschi per la continuazione della guerra. Il 15 settembre l'OKW diramò un nuovo ordine (Nr.005282/43 g.) dove venne nuovamente specificato il trattamento da riservare ai militari italiani: "…lasciare le armi a coloro che volevano continuare a combattere e riservare loro un buon trattamento in modo da non lederne l'onore di soldati". Circa l'utilizzo dei militari italiani sorsero però alcuni dubbi. In generale l'idea era di utilizzarli come forza di polizia o in formazioni per combattere le bande ribelli all'estero. Altre ipotesi prevedevano il loro impiego esclusivamente nelle formazioni ausiliarie della Wehrmacht o nelle formazioni paramilitari, come la Todt, l'NSKK e altre.

Nasce la Milizia Amata

A risolvere la situazione ci pensò lo stesso Mussolini, che dopo la sua liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso (12 settembre), chiese espressamente ad Hitler la formazione di due divisioni della Milizia inquadrate sotto il comando della Waffen SS e da impegnare contro le forze alleate sul fronte italiano. Il Duce chiese di inquadrare principalmente elementi provenienti dai reparti della Milizia e dalle unità dell'esercito che si erano distinte al fronte. I volontari italiani avrebbero indossato l'uniforme SS con le mostrine con il fascio littorio. Seguendo il desiderio del Duce, dalla metà di settembre, Himmler ordinò di raggruppare in un unico campo di raccolta tutti i militari italiani ancora disposti a combattere al fianco della Germania, sia dell'esercito che della Milizia. Il 24 settembre 1943 Himmler annunciò la nascita della Legione SS italiana (Italienische Waffenverbände der SS),

come unità "Bestandteil" (affiliata) alle Waffen SS. La sua funzione era quella di presiedere alla formazione ed all'addestramento delle nuove unità italiane, sul modello di altre Legioni già formate per altre nazioni, come ad esempio in Lettonia. Il 2 ottobre 1943, lo stesso Himmler emise un ordine speciale (Feldkommandostelle SS Tgb. Nr. 35/143/43 g.) per la formazione delle unità delle Milizia, dove vennero in parte accolte le richieste di Mussolini. Prima della formazione della prima divisione, si sarebbero dovuti formare dei battaglioni, da usare subito nella lotta contro i ribelli nel Nord Italia. Pacificata l'area i Battaglioni sarebbero stati trasferiti nuovamente ai campi di addestramento per formare i Reggimenti. Dopo il loro impiego sul fronte italiano si sarebbe formata la prima divisione da impegnare contro gli alleati. La seconda divisione doveva vedere la luce un anno dopo. Himmler stabilì che i volontari della Milizia avrebbero portato l’uniforme italiana, con le spalline e i gradi delle SS su fondo rosso (invece del normale nero). Per l'identificazione di questi primi reparti venne scelto il nome di Waffen Miliz (Milizia Armata), l'unità combattente della Legione SS italiana. Mentre come sede venne scelto il campo di addestramento di Münsingen nel Württemberg, 40 Km a sud di Stoccarda. Venne subito avviata una vasta campagna di propaganda per arruolare il maggior numero di volontari possibile, tenendo anche conto che nello stesso periodo si stava discutendo circa la nascita di un nuovo esercito per la Repubblica Sociale Italiana. Il 9 ottobre 1943 al campo di Münsingen erano già presenti 13.362 uomini e di lì a poco sarebbero arrivati a circa 15.000. Questo grande afflusso di volontari non preoccupò il Duce, che mai li considerò 'figli persi'. Lui stesso ebbe a dire che: "i reparti SS italiani saranno il centro dello spirito ariano in Italia". L'unico divieto che fu imposto ai volontari italiani della Waffen SS fu l'iscrizione al Partito Fascista Repubblicano.

A capo dell'SS-Ausbildungsstab (unità di formazione e addestramento) venne posto l'SS-Brigadefuehrer Peter Hansen. Nato a Santiago del Cile, Hansen 46 anni, era stato promosso Brigadefuehrer il 30 gennaio 1942. Dal 25 febbraio 1943 fino al maggio dello stesso anno, fu comandante della 15a divisione SS Lettone, occupandosi della sua formazione e del suo addestramento. Per motivi di salute venne sostituito al comando dell'unità italiana temporaneamente dall’SS-Standartenführer Gustav Lombard, proveniente dalla Divisione di cavalleria SS Florian Geyer. Come Capo di Stato Maggiore della Waffen Miliz venne designato l'SS-Obersturmbannfuehrer svizzero Johann Eugen Corrodi von Elfenau, anch'egli proveniente dalla Florian Geyer. Con gli ufficiali italiani, comandanti dei vari battaglioni, venne formato un reparto di collegamento italiano (Verbindungsstab) agli ordini del Tenente Colonello Vittorio De Paolis, che doveva assistere e coordinare il lavoro dell'SS-Ausbildungsstab.

L'unità combattente della Legione SS italiana venne formata oltre che con i volontari già presenti a Münsingen anche con altri nuclei di volontari provenienti da Praga, da Debica, in Polonia, e dalla Grecia. Alcuni di questi reparti non transitarono per il campo di Münsingen ma fecero ritorno direttamente in Italia, dopo l'addestramento.

Miliz Regiment De Maria

Una delle prime unità italiane ad essere integrate al completo nella Waffen Miliz fu il Miliz Regiment De Maria, agli ordini del Console della Milizia Paolo de Maria. Questi, prima dell’8 settembre, comandava a Spalato, l’89a legione Camicie Nere Etrusca. La Legione comprendeva circa 1.500 uomini ripartiti nell'89° Battaglione Camicie Nere di Volterra, nel 97° Battaglione Camicie Nere di Siena ed in una compagnia mitraglieri. Il 97° Battaglione era agli ordini del Primo Seniore della Milizia Carlo Federigo degli Oddi, il futuro comandante dei reparti della Waffen SS italiana sul fronte di Anzio. L'8 settembre la Legione si trovava a Drnis, lungo la costa dalmata, aggregata tatticamente alla divisione di fanteria Bergamo. Il 9 settembre giunse dal comando della Bergamo l'ordine di ripiegare su Sebenico e di resistere ad eventuali attacchi da parte dei tedeschi. Nell'area c'erano i reparti della divisione SS Prinz Eugen e della 114a Jaeger-Division. Dopo aver discusso con i suoi uomini sul da farsi, De Maria decise di passare con tutta la Legione al fianco dei tedeschi. Nella stessa giornata del 9, si incontrò con il Generale Stähl, comandante della 114a Jaeger-Division e trattò i termini del trasferimento del suo reparto nelle forze armate tedesche. Tra le condizioni poste da De Maria l'assicurazione che la sua unità non venisse impiegata contro altre forze italiane e la promessa che i suoi uomini sarebbero stati armati e riequipaggiati adeguatamente per poter continuare la lotta contro i nemici. I tedeschi accettarono e la Legione passò ufficialmente alle dipendenze della 114a Jaeger-Division. Ai miliziani si accodarono anche altri gruppi e reparti italiani della Bergamo e di altre unità presenti nell'area, portando a circa 2.900 il numero di italiani che scelsero volontariamente di continuare la guerra al fianco dei tedeschi. Vennero tutti inquadrati in una Polizei-Freiwilligen-Verbände (Truppa volontaria di Polizia) della Ordnungspolizei tedesca, agli ordini dell'Oberst De Maria. Gli uomini continuarono ad indossare le loro vecchie uniformi, con una fascia bianca sulla manica sinistra della giubba con la scritta "Ordnungspolizei". Nell'attesa di poter fare ritorno in Italia e combattere contro gli alleati, il reparto continuò ad essere impegnato come forza di sicurezza contro le formazioni partigiane. Il 27 settembre i reparti del Miliz Regiment De Maria mossero da Drnis, alcuni su treno altri su camion, verso Knin. Qui la guarnigione italiana si unì al Reggimento. Da Knin la marcia riprese su camion verso Bihac e da Bihac su treno verso Belgrado. Dal capoluogo serbo i reparti, sempre via treno, per una serie di errati ordini di marcia, finirono prima in Austria e poi a Berlino, dove giunsero il 5 ottobre. Qui, malgrado le proteste degli italiani, i membri del Reggimento furono trasferiti in un campo di prigionia, dove vennero schedati e sistemati alla meglio. A nulla valsero le richieste dell'Oberst De Maria di poter contattare l'amabasciata italiana. La situazione era frutto della grande confusione che regnava sovrana in quel periodo ed al generale malcontento dei tedeschi nei confronti degli ex-alleati italiani. Il 12 ottobre i membri del Miliz Regiment De Maria dovettero ancora una volta sottoscrivere la loro volontà a continuare la lotta al fianco dei tedeschi, e visto il brutale trattamento precedente numerose furono le defezioni, anche se alla fine la maggior parte degli uomini preferì ancora seguire il loro comandante. Il 15 ottobre, il Miliz Regiment De Maria partì alla volta di Münsingen, dove giunse due giorni dopo. Causa il sovraffollamento del campo, i circa 2.000 membri del reparto furono acquartierati nel vicino campo di Gensewak. Quando nel novembre del '43, il Reggimento fece ritorno in Italia divenne ufficialmente il 1° Reggimento Milizia Armata con sede a Milano.

Il Battaglione Fedelissimo

Un altro reparto della Milizia che si trasferì a ranghi completi nella Waffen Miliz, fu il XIX° Battaglione Fedelissimo di stanza nei Balcani e composto prevalentemente da volontari della Lombardia. All'inizio di settembre il Battaglione era schierato nell'area di Preveza lungo la costa ionica della Grecia, alle dipendenze della Divisione di Fanteria Acqui. Il comandante, il Primo Seniore della Milizia Gilberto Fabris, alla notizia dell'armistizio, radunò i suoi uomini per comunicare la sua volontà di continuare la lotta al fianco dei tedeschi. Il reparto seguì al completo la sua scelta. Nell'area agiva la 1.Gebirgs-Division del Generale Stettner, il quale venne subito dopo contattato da Fabris per decidere le sorti del suo reparto. Il Battaglione, trasformato per l'occasione in Bataillon Fabris, venne trasferito alle dipendenze del 98° Reggimento GebirgsJaeger ed impegnato lungo la costa come forza di sicurezza contro le bande partigiane e in funzione antisbarco. Il reparto restò alle dipendenze della divisione da montagna tedesca fino all'inizio di novembre, quando iniziò il trasferimento in Italia nella Waffen Miliz, conclusosi solo il 1° dicembre. Ad Aosta il reparto divenne l'XI° Battaglione della Waffen Miliz. Non essendo transitati per Münsingen i membri del Battaglione non prestarono giuramento di fedeltà ad Hitler.

La situazione a Münsingen

I volontari italiani a Münsingen furono organizzati in dodici battaglioni. I primi tre, formarono il 1° Reggimento Milizia Armata, nato dalla trasformazione del Miliz Regiment De Maria. Causa l'alto numero di uffficiali disponibili, venne formato un Battaglione Ufficiali. Gli elementi ritenuti non idonei al combattimento vennero raggruppati in un Battaglione lavoratori. Con ex-carabinieri venne formato anche un reparto di vigilanza per la sicurezza nel campo. Per quanto riguarda l'equipaggiamento e la fornitura di armi, non ci furono novità. I volontari italiani continuarono ad indossare le loro vecchie uniformi. Il Comando tedesco distribuì a tutti i volontari il distintivo in metallo 'Testa di morto', da applicare sul bavero della giubba o sul berretto, unico simbolo di identicazione ufficiale dei membri della Waffen Miliz. Con l'avvicinarsi della stagione invernale iniziarono i primi problemi con il freddo, visto che la maggior parte dei volontari italiani indossava ancora le divise estive. I tedeschi tergiversavano ancora nella fornitura degli equipaggiamenti facendo crescere notevolmente il malcontento tra gli uomini. L'11 novembre i volontari italiani prestarono il giuramento di fedeltà ad Adolf Hitler.

Davanti a Dio presto questo sacro giuramento: che nella lotta per la mia patria italiana contro i suoi nemici sarò in maniera assoluta obbediente ad Adolf Hitler, supremo comandante dell’esercito tedesco, e quale soldato valoroso sarò pronto in ogni momento a dare la mia vita per questo giuramento
Dopo la cerimonia venne comunicata ai volontari la notizia del loro imminente ritorno in Italia. Inoltre venne offerta loro la possibilità di essere trasferiti nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana o in altre formazioni della Waffen SS. Un migliaio di volontari scelse di passare nei reparti della RSI mentre solo un centinaio scelsero di essere trasferiti in altri reparti della Waffen SS. Da ricordare che circa 500 volontari preferirono fare ritorno ai campi di prigionia in seguito alla circolazione di una falsa notizia circa un'imminente trasferimento dei reparti italiani sul fronte dell'est. Prima del ritorno in Italia, il personale specializzato della Waffen Miliz, alcune centinaia di uomini, venne inviato alle scuole di specializzazione di Dachau, Weimar, Dresda e Stettino.

Bibliografia
S.Corbatti, M.Nava, "Sentire-Pensare-Volere: storia della Legione SS italiana", Ritter editrice
M.Afiero, "I volontari stranieri di Hitler", Ritter editrice

sabato 24 ottobre 2009

Prossima presentazione del libro del Dottor Cappellari

Logo Istituto Storico RSI - Terranuova Bracciolini

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www.heraldeditore.it/cappellari.htm

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SALA DEGLI SPECCHI – PARADISO SUL MARE

ANZIO

La S.V. è invitata

Sabato 31 ottobre 2009 alle ore 18:00

alla presentazione del libro

I Legionari di Nettunia.

I caduti della Repubblica Sociale Italiana di Anzio e Nettuno

(1943-1945)

di Pietro Cappellari

Introdurrà Marco Silvestri con il brano “Non ho tradito”

Interverrà:

Prof. Alberto Sulpizi

Organizzazione:

ares753@tele2.it

cell. 339.33.28.550

Per gli utenti di Facebook: http://www.facebook.com/home.php?ref=home#/event.php?eid=158954541860&index=1

La presentazione si terrà nella

SALA DEGLI SPECCHI del PARADISO SUL MARE

sulla Riviera Zanardelli

ad Anzio (Roma)






Il libro sarà presto disponibile presso la sede Romana della Fondazione, per ordinarlo 06/86217334


giovedì 22 ottobre 2009

L'Italia vista da Lontano

Riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo, ritenendo interessante conoscere come vedono la situzione Italiana da molto lontano.

Ci scusiamo della traduzione, in coda riportiamo il testo originale in spagnolo:


L'Italia è un paese occupato dai vincitori. Ci sono molte basi militari statunitensi, con tutto il loro materiale bellico ed il loro personale militare all'interno del territorio della penisola. L'Italia è un paese chiave per la strategia degli Stati Uniti nel Mediterraneo e nei Balcani.


I partigiani che dicono di aver liberato l'Italia dal fascismo per donarle la democrazia, sembrano dimenticare questo fatto troppo spesso.
Nel dopoguerra l'Italia ha preso la strada dell'American Way of Life, non solo militarmente ma culturalmente, e manco a dirlo economicamente e finanziariamente. Il dogma del secondo dopoguerra in Italia è stato l'anti-fascismo, un'ideologia chiusa, imposta ed esclusiva.
Alcuni patrioti italiani, sostengono che sradicare l'occupazione del loro territorio e confrontarsi con il capitalismo internazionale di cui questa si nutre, è una distrazione, una mossa che in nome del pragmatismo politico, si rivela funzionale alla permanenza dello status quo. Di fatto, questi gruppi sfidano la strategia di alleanza portata avanti da altri schieramenti che si dicono anch'essi patrioti come Silvio Berlusconi, un risultato pragmatico della politica postmoderna dei media.
Questa alleanza non sarebbe solo per loro ma ha la finalità di domare lo schieramento più pericoloso del movimento nazionale. Si ripeterebbe la storia del Movimento Sociale Italiano, venduto da leader come Gianfranco Fini alla strategia mondialista. Ma i fatti sono più dinamici e complessi di cosi, e purtroppo in politica, non si ottiene alcun risultato assoluto, in modo che tra uno stratega e un traditore, a volte vi è di solito poca differenza.
Vi è certamente una democrazia plutocratica, partigiana, socialdemocratica, centrista, liberale, progressista. Una democrazia con tutte le componenti del sistema. E i fatti ci dicono che le cose continueranno più o meno cosi, e che le strategie di rottura di gruppi patriottici, spesso cadono in alleanze sgradite e confuse, infine, rinnegando le proprie origini e la propria storia. Fini e Alemanno, sono due chiari esempi di questo.
Ma dietro a tutti questi giochi e atteggiamenti politici che stanno dietro le strutture mentali che non può esistere più di uno schieramento di destra e sinistra, vi è un'altra Italia, che ancora potrebbe essere chiamata Roma. Quei vecchi riflessi Romani, che ha riportato a galla il miglior fascismo, e in qualche misura ancora perdurano.
E' ancora all'interno della struttura borghese delle burocrazie partitiche, che molti italiani, fuori della scena, obbediscono alle direttive internazionali, e perché non dirlo, gli piace dirigere, organizzare ed esercitare il potere. Accenni di antica genetica romana politico e culturale, probabilmente. E questo si proietta a milioni di cittadini italiani residenti all'estero; il fenomeno politico che ha visto chiaramente un giovane irriducibile di Salò, Mirko Tremaglia, che poi si trasformò in prudente e paziente coordinatore delle strutture degli emigranti italiani nel mondo che godono di un ragionevole diritto di cittadinanza per i loro discendenti, secondo la legge antica del jus sanguinis, e possono votare i loro rappresentanti al parlamento italiano.
C'è un'altra Italia, che resiste contro l'Italia ufficiale, che non rimane affidabile per il sistema di dominazione mondiale. Sotto i mucchi di sterco, della Piccola Italia, ancora sopravvive il genio politico di Roma. E questo genio è troppo grande, per svolgere un ruolo subalterno..



Italia es un país ocupado por sus vencedores. Hay como se sabe múltiples bases militares de los Estados Unidos, con su material bélico y todo su personal dentro del territorio de la península. Italia es básica en la estrategia de los Estados Unidos en el Mediterráneo y los Balcanes.
Los partisanos que dicen haber liberado a Italia del fascismo para brindarle democracia, parecen olvidar este hecho a menudo.
La Italia de posguerra tomó el camino del American Way of Life no sólo militarmente sino culturalmente, y ni que decirlo económica y financieramente. El dogma de esa Italia de posguerra, ha sido el antifascismo, una ideología cerrada, impuesta y excluyente.
Algunos patriotas italianos, sostienen que todo lo que no sea erradicar esa ocupación de su territorio y enfrentar el capitalismo internacional que la alimenta, resulta una distracción, una maniobra que en nombre del pragmatismo político, termina siendo funcional a la prolongación del mismo estado de cosas. Por supuesto que estos grupos impugnan la estrategia acuerdista de otros sectores que también se dicen patriotas con Silvio Berlusconi, un pragmático fruto de la política mediática posmoderna.
Esos acuerdos no serían para ellos más que maniobras para domesticar al sector más díscolo del movimiento nacional. Sería la historia eternamente repetida del Movimiento Social Italiano, vendido por dirigentes como Gianfranco Fini a la estrategia mundialista. Pero los hechos son más dinámicos y complejos que eso, y en política lamentablemente, no se obtienen nunca resultados absolutos, de modo que entre un estratega y un traidor, suele haber a veces muy poca distancia.
Hay ciertamente una democracia plutocrática, partisana, socialdemócrata, centrista, democristiana, liberal, progresista. Una democracia con todos los componentes del sistema. Y los hechos nos dicen que las cosas continuarán más o menos así, y que las estrategias de ruptura de los grupos patrióticos, caerán a menudo en alianzas difíciles de aceptar y muchas veces terminarán desdibujados y renegando de sus antecedentes y de su historia. Fini y Allemano, son dos claros ejemplos de eso.
Sin embargo detrás de todos estos juegos y posturas políticas, detrás de las estructuras mentales que no resisten más que un posicionamiento de izquierdas y derechas, está el tema de la otra Italia, la que todavía podría llamarse Roma. Esos viejos reflejos romanos, que resurgieron con lo mejor del fascismo, y que todavía en alguna medida perduran.
Es que aún dentro de la estructura burguesa de las burocracias partidarias, muchos italianos se salen del libreto, les cuesta obedecer las directivas internacionales, y por qué no decirlo, les gusta mandar, organizar y ejercer el poder. Atisbos de la vieja genética política y cultural romana seguramente. Y eso se proyecta a los millones de ciudadanos italianos residentes en el exterior, ese fenómeno político que comprendió claramente un joven irreductible de Salò, Mirko Tremaglia, transformado luego en paciente y prudente coordinador de las estructuras de los inmigrantes italianos en el mundo, que gozan de un razonable otorgamiento de ciudadanía para sus descendientes, según el antiguo derecho del ius sanguinis y pueden votar sus representantes al parlamento italiano.

Di Juan Pablo Vitali (Argentina)





martedì 20 ottobre 2009

Prossimo appuntamento

Logo Istituto Storico RSI - Terranuova Bracciolini

Terranuova Bracciolini (AR)

Unione Nazionale Combattenti della RSI

PERUGIA

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www.heraldeditore.it

ROMA

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Centro Studi Militari della RSI

LATINA

www.heraldeditore.it/cappellari.htm

INAUGURAZIONE DELLA FEDERAZIONE

PROVINCIALE PERUGINA DELL’UNIONE

NAZIONALE COMBATTENTI DELLA RSI

La S.V. è invitata

Sabato 24 ottobre 2009 alle ore 17.30

alla presentazione del libro

I Legionari di Nettunia.

I caduti della Repubblica Sociale Italiana di Anzio e Nettuno

(1943-1945)

di Pietro Cappellari

Interverranno:

Mario TOPINI – Battaglione GNR “Perugia”

Ettore TONNETTI – Battaglione NP – Decima MAS

Cav. Uff. Claudio PITTI – Coordinatore Regionale della Fiamma Tricolore

Cav. Uff. Carlo GIUGLIETTI – Segreteria Regionale della Fiamma Tricolore

Organizzazione:

claudiopitti@libero.it

cell. 377.10.49.312

domenica 18 ottobre 2009

Recensione Film Bastardi senza gloria

Riceviamo e pubblichiamo:



Tratto da Rinascita Di Claudio Asciuti Preceduto dall’enfasi di tutti i critici “democratici”, un volta tanto uniti agli “atlantici” nel tessere le lodi, è approdato agli schermi Bastardi senza gloria (Inglorius Bastards, 2009) film “bellico” sceneggiato e diretto da Quentin Tarantino. Due storie che alla fine si raccordano: la caccia ai nazisti da parte di un commando di ebrei americani, guidato dal capitano Aldo Raine, detto l’Apache (un imbolsito e poco convincente Brad Pitt), e la ricerca della vendetta da parte di Shoshana (l’altrettanto poco convincente Melanie Laurent) la ragazza ebrea sfuggita al massacro della famiglia ad opera del colonnello delle SS Hans Landa (Christopher Waltz, invece bravissimo, vincitore a Cannes del premio per la miglior interpretazione maschile), e in cerca di vendetta. Nel cinema di proprietà della ragazza, ereditato dalla famiglia che l’ha adottata, quando gli stati maggiori del Reich convengono per la “prima” di un film propagandistico voluto da Goebbels, lei e il suo aiutante-amante nero danno fuoco al cinema, mentre i “bastardi senza gloria” per conto loro sparano e fanno esplodere la dinamite. Grazie anche al tradimento di Landa, che scoperti i “bastardi” baratta un futuro “americano” con il silenzio, incendio e attentato riescono…
Film bellico molto sui generis quindi, magari “film bellico di fantascienza ucronica”, che tratta di una realtà parallela in cui le cose non si sono svolte proprio come nel nostro mondo. Ma anche film di gangster, perchè il commando è composto dai peggiori delinquenti possibili, e le poche sparatorie visibili sembrano quelle di un’eliminazione o di uno scontro fra gang (completo anche di “stallo messicano”, il meccanismo in cui tutti si puntano reciprocamente addosso le armi pronti a sparare). E anche riflessione sul cinema, poiché quel che accade è comunque legato all’immagine cinematografica e al suo potere evocativo (e anche distruttivo): da “il sergente York tedesco”, il cecchino (Daniel Brühl) che ha resistito da solo tre giorni uccidendo un gran numero di soldati (il riferimento è al film Il sergente York (1941) di Howard Hawks, sulle vicende di un quacchero nella prima guerra) alle insegne di La tragedia del Pizzo Palù (1929) di Arnold Fanck e George Pabst, interpretato dalla grande Leni Riefensthal (che ha permesso comunque di vedere o ri/vedere il film, assieme a Il trionfo della fede (1933), una sua regia, opportunamente messi in onda a Fuori Orario su Rai Tre da Enrico Ghezzi), fino a Orgoglio della nazione, l’inesistente film voluto da Goebbels che contiene non solo alcune sequenze analoghe a quelle de Salvate il soldato Ryan (1998) di Steven Spielberg, ma inserite quelle di Shoshana che spiegheranno ai morituri la vendetta, per non parlare del rogo ottenuto bruciando le pellicole di allora, altamente infiammabili.
Un film considerato un capolavoro prima ancora che i critici lo visionassero, ora oggetto di un’infinità di commenti che cercano di sezionarlo riproponendo ancora Tarantino come regista impegnato a montare e a smontare il meccanismo cinematografico, pescando a piene mani dalla serie B (sopratutto italiana, a cominciare dall’omaggio al film di Enzo Castellari a cui implicitamnte si richiama, Quel maledetto treno blindato, 1978), affermazione ripetuta dai tempi de Le iene (1992) chissà quante volte. In effetti l’abilità maestra di Tarantino consiste nello scrivere sceneggiature pirotecniche strizzando l’occhio al pubblico, costruendo un cinema di proprio gradimento che è l’epitome del cinema nelle sue varie estensioni, giocando con i codici e i generi ed infrangendoli, e di girarli utilizzando una gran serie di tecniche, magari fuori contesto (split scream, spostamenti di assi temporali, suddivisioni in capitoli, inserti documentari e così via) e in quel continuo fare del cinema sul cinema che piace tanto ai critici (probabilmente perchè nessuno è più in grado di raccontare storie…). Ma va detto che il meccanismo funziona perchè vende: un altro enfant prodige del cinema, il leggendario Orson Welles (questo sì un vero genio) che amava giocare con il cinema, era costretto a recitare per trovare i soldi per finire i suoi film, magari avanzando rulli di pellicola più o meno avariati.
In Bastardi senza gloria comunque c’è qualcosa di più che vale la spesa di un commento. A cominciare dalla sceneggiatura ora in libreria (Inglorius Bastards, Bompiani, pag. 163, euro 15, ), molto furba e ruffiana: che ponendo in scena un commando di soldati ebrei si mette al sicuro da ogni possibile accusa di “terrorismo” o di indebita “violenza”; e poi perché vista la difficoltà di poter girare un film bellico che non sia l’imitazione più o meno pedissequa di Quella sporca dozzina (1967) di Robert Aldrich, la scelta di usare modelli non di genere risulta vincente: pochissima azione, nessun scenario bellico, neanche l’ombra di una battaglia, lunghi dialoghi molto “tarantiniani”, molti interni e primi piani, colonna sonora eccezionale e straripanti citazioni (l’incipit, preso da I magnifici sette (1960) di John Sturges, con Menochet al posto di Bronson è splendido). Il tutto condito con la mano del regista, che, seppur nei limiti del “correttamente politico”, proprio corretto non è.
Certo, le “regole” fondamentali sono rispettate. I soldati tedeschi sono ubriaconi o traditori (l’unico tedesco dignitoso che rifiuta di dare informazioni sulle truppe viene massacrato dai “bastardi” a colpi di mazza da baseball), i francesi praticamente non esistono se non nella forma dei maquis o delle comparse, Shoshana ha una storia d’amore con l’altro “reietto”, il nero; Hitler sembra una parodia dei film comici italiani degli anni settanta, e Goebbels un perfetto idiota (al punto che perfino un critico “democratico” come Mauro Gervasini, su Film Tv n. 39 si è lasciato andare a un perplesso commento a proposito); ma gli americani non sono tutti eroi (cosa che i film bellici invece ci hanno spiegato da sempre). Forse la novità maggiore del film è proprio questa, ma tutta da discutere; come se il regista avesse giocato con le aspettative del pubblico (sopratutto americano) e con la percezione della guerra (e del film bellico). Cioè, come al solito, prendendo in giro tutti.
Infatti, se i killer sono ebrei (e gli attori che li interpretano hanno fattezze simili a quelle in cui la propaganda d’epoca ne disegnava i volti), il capitano afferma di avere sangue indiano nelle vene, comanda di scalpare i nemici abbattuti, e incide la fronte con una croce uncinata ai sopravvissuti. Scelta registica, segno che questo gruppo non è il tradizionale americano bianco e protestante? O aspettativa del pubblico per cui i “bastardi” anziché eroi di guerra americani, sono ebrei e pellirosse che vanno in giro in cerca di vendetta? La misurata riflessione de I giovani Leoni (1967) di Edward Dmytryk, o di Il grande Uno rosso (1980) di Samuel Fuller, in cui gli americani, ebrei o no, uccidono in preda alla furia, ma solo dopo la scoperta dei lager, è ben lontana.
Qui siamo nella bassa macelleria d’effetto, ma i macellai sono gli americani, non come al solito i nazisti. Succede perchè è un film ucronico, e nella realtà “altra” i nazisti non sono cattivi come in questa? In fondo il colonnello Landa, ordinato lo sterminio della famiglia di ebrei agli inizi, e strangolata l’attrice (Diana Kruger) che aveva preso contatto con gli americani alla fine, non compie nulla di particolarmente criminale; e neppure si vedono campi di concentramento, deportazioni di massa, immagini di sterminio, che quasi tutti i film bellici riescono a inserire.
Scelta registica anche questa, magari legata al fatto che non si parlava ancora dei campi? Provocazione di un autore che si diverte ad andare controcorrente nelle sue scelte? O dichiarata intenzione di buttare all’aria tutto? In fondo, nell’incipit di cui abbiamo parlato, Menochet lavora di scure sul ceppo come Bronson, ma non taglia la legna; il ceppo è assolutamente vuoto…

venerdì 16 ottobre 2009

Prossimo appuntamento

Riceviamo e pubblichiamo:

Associazione Culturale Vela Tricolore
Una serata per ricordare Nando Cappelletti
La S.V. è invitata alla presentazione del documentario
D-Day. Lo sbarco in Normandia.
Noi Italiani c'eravamo”
Che si terrà Lunedì, 26 Ottobre 2009, alle ore 18:30 presso la Sale Parroccchiale / Parrocchia di San Francesco in Cisterna di Latina
La serata è organizzata per ricordare l’amico, sempre presente nei nostri cuori Nando Cappelletti
Introdurrà, Daniele Lembo

Disponibile il nuovo numero di Ritterkreuz

E’ uscito in nuovo numero di

RITTERKREUZ


Storia militare della Waffen SS



Uomini – formazioni – battaglie – mezzi – decorazioni – uniformi

(anno I, numero 5, settembre 2009)

diretta da

Massimiliano Afiero

In questo numero:

M. Afiero, Waffen SS in guerra

A. Preuffo, L’ultima battaglia della Frundsberg

E. Norling, Brigata Wallonien

M. Afiero, La 32a Divisione SS “30 Januar”

S. Corbatti, La Reichführer SS sul fronte del Senio

A Lombardi, Paul Hausser

G. Barsotti, Otto Hermann Fegelein

S. Canavassi, Le armi anticarro della Waffen SS


Per ordinazioni rivolgersi presso la sede della Delegazione romana

venerdì 9 ottobre 2009

Novità

Disponibile presso la sede della delegazione Romana:


IL NUOVO NUMERO DI

SGM

SECONDA GUERRA MONDIALE

(a. II, n. 8, settembre-ottobre 2009)

Bimestrale di Storia

Diretto da Massimiliano Afiero

Sommario:

M. Rallo, Italia ed Europa Sud-orientale alla vigilia e nei primi mesi della Seconda Guerra Mondiale

M. Afiero, Leibstandarte Adolf Hitler. La guardia del corpo del Führer e del nazionalsocialismo

G. Lepre e G. De Nobile, L’Ussaro della morte

P. Cappellari, Giuseppe Lucidi, caduto nella difesa di Roma. Il Battaglione “Barbarigo” va alla guerra

A. Montanari, Italiani in Grecia dopo l’8 settembre. Dalle memorie di un reduce

A. Lombardi, Generalleutnant der Reserve Hyazinth Graf Strachwitz

C. Caballero Jurado, Junker Ju.52. Una leggenda in volo

J.P. Sourd, La PPSH. Pistolet Puliemot Shpagina


giovedì 8 ottobre 2009

In ricordo dei Soldati Italiani Prigionieri dei Bolscevichi

Riceviamo e pubblichiamo:

E PENSARE CHE SI CONCEDONO LORO ANCORA TANTI ONORI
Il lungo calvario del “davai”! (“avanti”!)

Sì, e pensare che a “loro” sono ancora intestate strade e strutture. Mi riferisco a due fra i mille e mille criminali del secolo trascorso. In un mare di criminali rossi, almeno due, in particolare, emergono: Palmiro Togliatti e Edoardo D’Onofrio. Scrivo queste righe per ricordare quanto è stato dimenticato da personaggi che ancora oggi, tanti di loro ancora in attività politica, si nascondono dietro una maschera di candida ingenuità, corresponsabili di quanto più avanti scriverò. La responsabilità di questa orrenda pagina di storia non va addebitata solo al Migliore (Palmiro Togliatti) e al suo vice, D’Onofrio, ma anche ai vari D’Alema e Occhetto che non hanno sentito il dovere di denunciare i crimini commessi dai vertici del Pci. Descrivere il peregrinare di Togliatti e di D’Onofrio fra l’Italia e l’Urss ci porterebbe molto lontani e, avvalendomi di un lavoro dell’indimenticabile Franz Maria D’Asaro, voglio iniziare il racconto a partire dal 1941, dopo l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Urss, quando cominciano ad affluire nei campi di concentramento sovietici i soldati italiani fatti prigionieri; campi affidati, dai sovietici, al controllo di D’Onofrio. Raccontare i supplizi ai quali furono sottoposti quegli sventurati sarà mia cura accennarlo più avanti. Cominciamo a ricostruire le vicende del sottocapo del Migliore, Edoardo D’Onofrio, quando questi fu sottoposto a processo nel luglio del 1949, processo che mise in luce la sua spietatezza esercitata sui prigionieri italiani in Russia. Nel frattempo D’Onofrio divenuto senatore del Pci e addirittura Vicepresidente del Senato, ebbe l’impudenza di intentare causa contro cinque reduci dall’Urss, accusandoli di averlo diffamato. Ma il querelante subì uno smacco: i cinque reduci furono clamorosamente assolti. Ecco, sommariamente, quali erano le prove che D’Onofrio esibì.
Nell’aprile del 1948 venne stampato e diffuso, sotto il titolo “Russia”, un numero unico a cura dell’Unione Italiana Reduci di Russia; a pagina sette c’era un articolo dal titolo Edoardo D’Onofrio”, nel quale si poteva leggere: . Scrive ancora Franz Maria D’Asaro che la relazione portava le seguenti firme: Domenico Dal Taso, Luigi Avalli, Ivo Emmett e altri. E ancora a pagina sedici si poteva leggere: .


Nel corso del dibattito processuale emersero testimonianze disastrose per il senatore comunista. Si appresero, infatti, dettagliate conferme delle sevizie morali che il luogotenente di Togliatti infliggeva ai prigionieri, denunciando senza pietà alla polizia politica sovietica tutti coloro che si rifiutavano di cedere ad un vasto repertorio di lusinghe e di minacce. E questi bravi italiani finivano regolarmente nei campi siberiani dove morivano uccisi dagli stenti, dal freddo ed anche dai maltrattamenti. Per tutti valga la testimonianza del bersagliere Santoro il quale, dopo aver respinto le suadenti profferte di D’Onofrio, subito rinnovate con toni minacciosi, si sentì rispondere: .
Appena poterono, i sopravvissuti rilasciarono questo documento: . Il documento, firmato da centinaia di prigionieri, porta la data del 27 luglio 1946.
La testimonia diretta di coloro che vissero quel dramma è riportata di seguito.

*****
Il 7 dicembre 1998 la televisione italiana trasmise un documentario sulle vicende dei prigionieri italiani in Russia. Il filmato ha proposto un “Reportage cinematografico dai fronti della guerra patriottica”, è il titolo di un cinegiornale dell’Armata Rossa con l’intento – propagandistico e a scusante delle atrocità commesse – di presentare al mondo la vita quotidiana dei prigionieri italiani falsando macroscopicamente la verità.
Il film mostra i nostri prigionieri avviarsi, quasi con allegria, armati di forconi alla raccolta del grano, sotto un sole meraviglioso e circondati da belle contadine russe con le quali scambiano sorrisi e cenni come generalmente si usa fare fra giovani spensierati.
Alla fine della giornata di lavoro questi nostri (ex) giovanotti come è mostrato nel documentario, siedono in circolo nel kolkotz rifocillati abbondantemente e serviti da soldati e donne russe sorridenti
Questo – e molto di più – quanto mostrato nel documentario da poco rinvenuto negli archivi russi, come attestato dal commentatore.

E’ questa la verità?
Certamente no! Le sofferenze sopportate dai nostri infelici soldati caduti prigionieri e appartenenti prima al CSIR (Corpo Spedizione Italiano in Russia), poi all’ARMIR (Armata Militare Italiana in Russia), hanno dell’infernale.
Per anni, nell’immediato dopoguerra, ci si interrogò su quanti del CSIR e dell’ARMIR fossero i caduti, quanti i dispersi e, di questi, quanti caduti prigionieri.
Le pressioni dei parenti dei “dispersi” sul nostro Governo per avere notizie dei congiunti non trovarono che annoiata risposta essendo i responsabili dei vari dicasteri occupati a gestire i propri traffici personali o di partito e, quindi, non venivano esercitate sul Governo sovietico quelle sollecitazioni necessarie per ottenere risposte chiare s
ulla fine dei nostri soldati. Si giunse al punto (era la fine degli anni ’80) che il Presidente di una nostra Commissione, esattamente l’On. Flaminio Piccoli, proprio al cospetto di personalità sovietiche dichiarò che i nostri caduti in Russia non meritavano alcuna sepoltura cristiana perché colpevoli di aver condotto in quella terra una guerra fascista.

Ci fu, qualche anno dopo, una nuova fiammata che richiamò alla memoria i nostri Caduti dell’ARMIR, quando fu scoperta una lettera, nella quale, l’allora componente del Komintern, Palmiro Togliatti, sollecitava i guardiani dei lager sovietici a non preoccuparsi troppo se i nostri “alpini”, lì “ospitati” morivano di stenti perché più erano i caduti, più l’odio per il fascismo in Italia si sarebbe moltiplicato. Poi tutto si spense sulla bizantinistica interpretazione di un verbo o aggettivo contenuto in quella lettera autografa di Togliatti, che nulla toglieva al senso effettivo che il capo del PCI voleva dare e cioè: “far morire gli alpini” per danneggiare il fascismo.

********
Le leggi internazionali stabiliscono precise norme riguardo al trattamento da riservare ai prigionieri di guerra, tali che a questi possa esser garantita la vita, la salute e l’onore.
Troppo spesso l’iniquo trattamento riservato ai nostri soldati caduti prigionieri degli inglesi, dei francesi, degli stessi americani, andava ben al di là di quanto prevedevano le su citate Convenzioni Internazionali.
Infatti nei campi di concentramento degli Alleati,
i casi di prigionieri italiani bastonati, incatenati, fucilati o tenuti a regime di fame era, se non la norma, perlomeno frequente. Non è mancato il perverso sistema, anch’esso in contrasto alle già citate norme, di suddividere i prigionieri fra “cooperatori” e “ non cooperatori”, cosa che comportava per questi ultimi ulteriori gravi pene e persecuzioni nel tentativo di spezzarne la resistenza morale e, quindi, la volontà. Vi furono numerosi casi di morti violente, arbitrarie fucilazioni e malattie dovute a un sistematico e programmato cattivo trattamento.
Ma tutto ciò, se pur grave non trova nessuna analogia con le scelleratezze cui andarono incontro i nostri soldati prigionieri dell’Armata Rossa.
Quanti furono i morti?
Ancora oggi non se ne conosce il numero esatto!
Come non evidenziare, a questo punto, lo scarso impegno (se non addirittura l’indifferenza) del Governo italiano nel pretendere dall’URSS un responsabile contegno nei confronti di un così tragico problema? Molto ottenne, al contrario, il vecchio Cancelliere tedesco, Adenauer che, prima di firmare gli accordi commerciali con quel Paese, pretese come condizione primaria, la risoluzione della questione dei prigionieri di guerra. In un sol colpo vennero restituiti alle loro famiglie ben novemila “criminali di guerra”.
Nel 1958, per sollecitare un più incisivo impegno del Governo italiano verso quello sovietico, una delegazione dell’Associazione Congiunti Dispersi in Russia fu ricevuta dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi il quale così rispose ai rappresentanti dell’Associazione: “Purtroppo il Vostro problema è stato sacrificato per ragioni di Stato”.

******
Durante le furiose battaglie e il tragico ripiegamento del dicembre 1942 e gennaio 1943, la radio russa comunicò che erano stati catturati circa 80 mila soldati dell’ARMIR. Certamente è una cifra gonfiata in eccesso per ovvi motivi di propaganda. In proposito Aldo Valori, nel volume “La Campagna di Russia; CSIR-ARMIR, 1941-1943”, a pagina 739 scrive: .
Effettivamente la furia della battaglia che divampò fra il 15 dicembre 1942 e il 31 gennaio 1943 divorò interi reparti. A questo proposito è sintomatico il tributo di sangue del reparto lanciafiamme del Comando Corpo d’Armata che lasciò sul campo il 91% della sua forza; infatti su 310 effettivi se ne salvarono 29.
E’ interessante quanto riportato in merito nella seconda edizione della “Grande Enciclopedia Sovietica”, pubblicata nel 1953 – Volume XIX, pagina 85, dove si stabilisce che le perdite complessive degli italiani nella campagna di Russia assommano a 150 mila unità. I prigionieri sarebbero stati solo 21 mila.
In questo tragico balletto di cifre, scandalosamente reticente, s’introdusse anche Palmiro Togliatti che, in una trasmissione da Radio Mosca, chiamata “La Voce della Verità”, esasperato perché in Italia si dubitava dell’esattezza delle notizie che venivano dall’URSSS, ribadiva che i prigionieri italiani erano 115 mila.

Consideriamo come più veritiera la cifra, come sopra indicata di 60 mila prigionieri italiani, dato che di 40 mila se ne è perduta la traccia, si evince che i due terzi risultano “dispersi”; perdite di gran lunga superiore a quelle fornite sui decessi che avvenivano nei famigerati lager tedeschi che raggiungevano il 40% degli internati.
L’agonia dei nostri soldati iniziava sin dal momento della loro cattura, sospinti e brutalmente malmenati al grido di “davai”.
Scrive Aldo Valori a pagina 742 del già citato volume: .
Un’agghiacciante testimonianza su queste brutalità ci è fornita da Gabriele Gherardini nel suo volume “La vita si ferma”, dal quale riportiamo ampi stralci: . Poi avvenivano le perquisizioni che erano, in effetti, vere e proprie spoliazioni non solo di oggetti, ma addirittura di quel vestiario che, bene o male, riparava i corpi dal terribile inverno russo.
Una volta giunti al campo, così Gherardini continua: . E iniziò la rapina di quegli indumenti che erano sfuggiti alle prime persecuzioni, furono sottratti perfino i pantaloni. .
E la fame, la fame era il supplizio peggiore alla quale erano sottoposti i nostri soldati; si pensi, ricorda Aldo Valori, che durante una marcia di dodici giorni il cibo venne distribuito due sole volte!
La testimonianza più viva viene fornita da chi quelle vicende le visse di persona; riporta Gherardini a pag. 201: .
Finalmente (!) si giunse a destinazione, nei lager russi, in quei luoghi dove le sofferenze e le umiliazioni toccarono il loro apice. Ma dove l’orrore raggiunse il massimo fu nei due campi di Oranski e di Krinovaja.
Ci è dato citare di nuovo la testimonianza di Gherardini. A questo punto dobbiamo scusarci con il lettore di quanto più avanti dovrà prendere atto. La Storia, ma soprattutto la memoria non può, non deve fermarsi davanti al buon gusto, al ribrezzo, all’orrore. Sono fatti realmente avvenuti e quindi vissuti che hanno reso i carnefici mostri e mostri le stesse vittime.
Ciò premesso, ecco quanto scrive Gherardini a pag. 221:S.
In questo quadro infernale, a causa dell’assoluta mancanza delle più elementari norme igieniche, si scatenò nei campi una violenta dissenteria sanguigna che in pochi giorni si sviluppò in forma violentissima i cui effetti furono letali.
Il contagio della pestilenza era favorita dalla mancanza d’acqua. Ricorda sempre Gherardini che nel campo di Krinovaja c’era un pozzo sempre affollato che alla fine, per la ressa selvaggia, inghiottì un prigioniero che morì all’istante congelato. Non per questo gli uomini assetati si dissuasero dall’attingere acqua nel luogo dove galleggiava il cadavere. Dopo pochi giorni altri uomini precipitarono nel pozzo e nuovi cadaveri ne ostruivano la bocca. Si attingeva acqua scostando i corpi. Alla fine, quando i prigionieri lasciarono il campo, il pozzo era colmo di cadaveri.
Queste brevi note non sono che una sintesi di quanto i nostri compatrioti soffrirono in quegli anni e la cui memoria tende ad offuscarsi, oltre che per il tempo anche per la manigolda politica tendente a “che certe storie è bene non ricordarle per non dispiacere a qualcuno”.

Per Gentile concessione di Filippo Giannini