lunedì 22 febbraio 2010

Incontro a Casa d'Italia

Domenica 21 Febbraio la Delegazione Romana della Fondazione ha organizzato un incontro con i ragazzi di Casa D'Italia a Colleverde.
Per prima cosa vogliamo sottolineare la splendida accoglienza riservata ai membri della delegazione presenti e soprattuto ai combattenti che sono stati tutti omaggiati di una targa ricordo; l'incontro si è svolto in una sala appositamente predisposta ed ha visto dietro il tavolo dei relatori i combattenti Rutilio Sermonti, Stelvio Dal Piaz e la S.A.F. Nadia Sala, nonchè il ricercatore Pietro Cappellari.
Nell'ottica di dare un inquadramento storico il più preciso possibile, ai molti giovani presenti, la conferenza è inziata con la presentazione del libro di Pietro Cappellari i Legionari di Nettunia, dove l'attenzione si è focalizzata sul fenomento del Volontarismo nella RSI. Successivamente la S.A.F. Nadia ci ha, con la consueta verve, raccontato brevemente alcuni passi del suo arruolamento nel Servizio Ausiliario Femminile e con una cerca commozione il combattente Stelvio Dal Piaz, ex Fiamma Bianca, ha illustrato le motivazioni della sua scelta.
Ha concluso poi l'avvocato Sermonti, ricordando la figura del Conte Pio Filippani Ronconi, recentemente scomparso, ma vivo e presente tra di noi.
Dopo i ringraziamenti doverosi da parte della delegazione romana per l'ottima organizzazione e le molte domande, la giornata è terminata con un pranzo comunitario, che ha consentito una reciproca conoscenza.

mercoledì 17 febbraio 2010

in ricordo degli eroi del gruppo Vega

Riproponiamo il filmato della fucilazione dei combattenti del Gruppo Vega, a ricordo del loro sacrificio e della loro fierezza nell'affrontare la morte.




Riteniamo molto toccante e significativa la testimonianza del sacerdote Don Giuseppe Ferrieri che li portò i conforti religiosi prima della fucilazione:

«Li trovai che cantavano. Appena mi videro stettero zitti, e quando il cancello di ferro si aprì, mi si strinsero intorno. Io stavo in mezzo ad essi col solito sorriso. E sono quattro: un milanese, un romano, un napoletano, uno di Aquila. Il milanese e il romano erano biondi, quello di Aquila bruno, robusto, con un'aquila sul petto; il napoletano bassotto con i calzoni da ufficiale. Mi dissero che si erano già confessati. Feci recitare l'atto di dolore e dopo poche e semplici parole li comunicai. Stavano a mani giunte, guardando fissi l'Ostia Santa, che si posò viatico per l'estremo viaggio. Un breve ringraziamento. Due pose per fotografia, io in mezzo a loro nella prima, Gesù crocifisso tra loro e me nella seconda. Un militare della M.P. mi disse che avevo altri due minuti di tempo. - Siamo già pronti! - fu la risposta. Li volli accompagnare sul luogo del supplizio. Uscii con due di loro fra quattro M.P. americani armati. Il pianto dei carcerati ci accolse alla uscita del corridoio: Figli miei, figli miei! Erano le undici antimeridiane. Fuori del portone del carcere ci accolse un grido di dolore. Un po' di gente venuta ad assistere al macabro spettacolo. I due, il romano Tapoli Giorgio studente in medicina, e il napoletano Tedesco Vincenzo, risposero inneggiando all'Italia fascista. salii con loro sulla Gip, tra il napoletano e un M.P., facemmo un buon tratto allegramente in quella macchina da ridolini, come disse il romano, il quale mi descrisse tutte le fasi della sua morte. Alcuni credettero e dissero che anch'io ero stato condannato. Arrivammo. Due pali in una partita di grano verde, dietro una cava di pozzolana. Parecchi ufficiali erano commossi, così pure il colonnello che, dopo la prima esecuzione, si disse increscioso di dover agire in tale modo. Eccoli vicino al palo, il romano si toglie la camicia. Mi dice che non vuol farsela bucare. Gli legano le mani: io lo conforto ricordandogli Gesù morto in croce. E’ sorridente. Gli dico che pregherò per lui e che lui deve pregare per i miei giovani. Due altre funi, una sul petto, l'altra sul ventre. Passo al napoletano, sorridente, bruno. Ha sul capo una bustina bianca con l'aquila hitleriana. Mi raccomandano le lettere che hanno scritto ai loro cari; io prometto di parlare agli ufficiali, i quali mi dicono che li accontenteranno. Altri pochi istanti; bacio il napoletano, bacio il romano, incoraggio ambedue, i quali rifiutano di essere bendati. Due soldati caricano i dodici moschetti. Quel chiudere ed aprirsi mi fa il cuore a pezzi. I due eroi hanno ancora delle parole: "Il tenente di Aversa (un certo Tonini, oriundo italiano che li aveva giudicati) sa che noi siamo innocenti". In lontananza una terrazza è affollata di gente che guarda piangendo. Un comando secco: sei dei dodici poliziotti si inginocchiano; un altro comando: puntano il fucile; un terzo comando ancora... una detonazione. Abbasso gli occhi, un colpo solo. Vidi cadere i cari giovani, mi avvicinai a loro recitando tre Requiem e un De Profundis per ciascuno. Mi raccomandai alla loro intercessione. Quattro soldati americani e due cantonieri fanno da becchini. Fotografie a non finire durante tutta l'esecuzione ed il primo atto tragico termina. Si vanno a rilevare gli altri due, che arrivano alle 11,45. Appena mi vedono mi sorridono; hanno trovato una faccia, un viso amico che è lì per confortarli. Quello di Aquila si toglie anche lui la camicia. Lo legano, desidera una sigaretta. Un capitano gliela da', accendendola; lo stesso fa per l'altro, il milanese, simpatica figura di giovane buono. Fo' loro coraggio. Mentre lo legano, il milanese grida tre volte: "Heil Hitler", e l'altro risponde: "Heil". "Noi siamo innocenti. Dio stramaledica gli inglesi!". Io lo guardo, mi capisce: avevo detto loro di non odiare il nemico. Mi guarda e canta: "Vivere sempre vivere, senza malinconia!" Li bacio sorridente tra i sorridenti, mi scosto pochi metri; i tre soliti comandi secchi... Vi vidi abbassare pian piano, o giovani. Ascoltai il vostro rantolo: i colpi non furono precisi come la prima volta; l'anima vostra stentava ad uscire dal vostro corpo. Che strazio al mio cuore! Vi assolsi l'ultima volta "Sub conditione" , Tre requiem e un De profundis per ciascuno. Una macchina di corsa mi condusse a celebrare la Santa Messa. Il popolo mi aspettava da pochi minuti impaziente. Là si ignorava tutto. Era una bella giornata primaverile si pensava a goderla. Celebrai la Santa Messa ancora commosso e pregai per le Vostre anime benedette, per le Vostre mamme adorate. Anche Voi dal cielo pregate per me, per i miei giovani, per il mio apostolato, per l'Italia divisa in tanti partiti che la rovineranno.

Sacerdote Ferrieri Giuseppe tratto da "Lettere dei condannati a morte della RSI, Edizioni B&C, 1976, seconda edizione, pagina 54-55




tratto da www.italia-rsi.org

NOVITA' EDITORIALE


Riccardo Maculan e Maurizio Gamberini ripercorrono le vicende belliche del Battaglione Fulmine della Decima Flottiglia MAS, cosi chiamato in onore di un cacciatorpediniere della Regia Marina, affondato il 13 giugno 1941. L’opera,corredata da un notevole apparato fotografico,ricostruisce struttura, organici ed armamenti del Battaglione nato nella Caserma San Bartolomeo di La Spezia nella primavera del 1944.

Il testo è disponibile presso la sede della delegazione romana; per ordinarlo potete inviarci una mail oppure telefonare allo 06/86217334

INDICE DELL'OPERA - PRESENTAZIONE - LE ORIGINI DEL BATTAGLIONE (Per l’onore dopo l’8 settembre - Nasce il Fulmine - Inizia l’addestramento) - SULLE MONTAGNE DEL PIEMONTE (Alle porte di Torino - I primi scontri con i partigiani - Arrivano i Volontari di Francia - Le operazioni nella valle dell’Orco: prima fase - Le operazioni nella valle dell’Orco: seconda fase - L’imboscata al passo della Crocetta - Pattugliamenti, scambi di prigionieri, avvicendamenti al vertice - La riconquista di Alba) - FRA VENETO E FRIULI (Il trasferimento nel Trevigiano - Le operazioni a ridosso della Carnia - Partigiani italiani, titini, cosacchi - Il rientro a Conegliano) - IN DIFESA DEI CONFINI ORIENTALI (L’offensiva contro il IX Korpus - I combattimenti di Slappe e Tribussa: prima parte - I combattimenti di Slappe e Tribussa: seconda parte - La relazione ufficiale sull’operazione) - TARNOVA DELLA SELVA (La quiete prima della tempesta - La battaglia di Tarnova: le forze in campo - La battaglia di Tarnova: l’assalto - Il resoconto ufficiale - Il ritorno a Gorizia) - ANCORA A CONEGLIANO (Gli onori del comandante Borghese - I funerali dei caduti di Tarnova) - DI STANZA NEL VICENTINO (Tra Carrè, Chiuppano e Caltrano - L’attentato al sergente Tommasi - La consegna delle medaglie - L’ordine di raccolta) - I GIORNI DELL’INCERTEZZA (Iniziano i colloqui - Il consiglio degli ufficiali - Il destino dei Volontari di Francia - Un accordo che divide) - IL FULMINE NON MOLLA (Comincia l’ultima marcia - Trattative a Schio - Bloccati in Val Leogra - L’incidente al comandante Franchi - L’onore delle armi - Capolinea in Caserma Cella) - VERSO LA PRIGIONIA (In viaggio per Vicenza - Stralci di diario: gli ultimi giorni del Fulmine - Nel campo di Coltano) - I GRADI DELLA FANTERIA DI MARINA (La gerarchia tra gli ufficiali - Riepilogo generale dei gradi e corrispondenti nell’Esercito) - ORGANICO DEL BATTAGLIONE FULMINE (Compagnia Comando - 1ª Compagnia - 2ª Compagnia - 3ª Compagnia (primo periodo) - 3ª Compagnia Volontari di Francia - 4ª Compagnia - Altri effettivi - Caduti e dispersi) - IL DISTINTIVO - DOCUMENTI - FONTI DELL’OPERA - Documentazione - Bibliografia

domenica 14 febbraio 2010

Prossimo incontro presso la sede dell'Istituto 27/28 Febbraio

In attesa dell'incontro del 28 febbraio su Berto Ricci tenuto da Maurizio Rossi, riportiamo una breve intervista sul tema:

Berto Ricci – l’ortodossia della trasgressione

Alla scoperta di un personaggio scomodo ed esemplare

Prima di essere un fascista oltranzista, Berto Ricci è stato, in gioventù, un anarchico. Quali sono stati i punti cardine del suo pensiero, i suoi punti di riferimento? Chi è stato, in sostanza, Berto Ricci?
Berto Ricci è stato, per usare una definizione molto moderna, ma usata anche all’epoca, un intellettuale militante, un intellettuale organico al movimento fascista. I cardini del suo pensiero si riassumono in un binomio, per lui imprescindibile. Una formidabile e forte concezione mistica del fascismo - che ritrovava nella dottrina del fascismo e nell’esempio di Benito Mussolini - legata a un’esigenza rivoluzionaria di socialità. Per Berto Ricci il fascismo rappresentava l’unione definitiva fra una visione spirituale dell’esistenza e la visione di avanzata socialità che creasse l’Italia fascista e l’uomo nuovo.

Dove risiede l’importanza dell’esempio di Berto Ricci per la destra radicale italiana?
Innanzitutto nella intransigente coerenza: fece dell’intransigenza la sua virtù, il suo punto cardinale, la sua adesione al fascismo fu completa e totale, fu una scelta voluta e consapevole. Possiamo ben dire che Berto Ricci fece del fascismo uno stile di vita che caratterizzò la sua intera esistenza. Fu un uomo estremamente coraggioso e coerente nelle sue affermazioni, ebbe uno stile di vita severo, fu intransigente con se stesso, e di riflesso anche con gli altri. Spesso con gli altri era molto più indulgente che con se stesso e con i suoi più stretti sodali.

Tra le varie anime che hanno composto il fascismo, dove è collocabile Berto Ricci, e quali sono stati i suoi rapporti con il regime?
E’ collocabile in quella vasta area del movimento fascista definita rivoluzionaria e sociale, e quindi con fortissimi agganci col movimento sindacale. Si considerava erede del sindacalismo corridoniano e pertanto del sindacalismo rivoluzionario; rappresenta una cerniera con le nuove avanguardie giovanili che emergevano nei Gruppi Universitari Fascisti. Soprattutto Berto Ricci è espressione dell’universo squadrista. Lo squadrismo inteso come momento ribellistico e rivoluzionario anti-sistemico del fascismo: l’anima del fascismo, come lui stesso la definiva.

Titolo della conferenza è stato “Berto Ricci – l’ortodossia della trasgressione”. Dov’è possiamo scorgere l’ortodossia, e dove la trasgressione?
L’ortodossia era la totale aderenza alla dottrina fascista e al pensiero di Mussolini, la sua fedeltà integerrima, incrollabile, nelle virtù della rivoluzione fascista e nella capacità di Mussolini di essere il capo di questa grande trasformazione. La trasgressione fu interpretata come tale da coloro che lui stigmatizzava come non-fascisti. Per cui i suoi attacchi erano diretti a quegli ambienti che si erano accodati all’indomani della Marcia su Roma al movimento fascista, per trarne dei vantaggi. Lui fu riconosciuto come ortodosso non solo dall’ambiente fascista, che proveniva dallo squadrismo, ma anche dagli ambienti del sindacalismo fascista e da quelli della gioventù fascista che si ritrovava nei GUF. La sua trasgressione fu definita tale da coloro che lui denunciava come la “retroguardia borghese” del regime fascista, coloro che volevano trarre beneficio da questo, senza però condividerne l’anima rivoluzionaria.

Berto Ricci e la Scuola di Mistica Fascista
Un legame profondo. All’inizio non organico, ma che si ritrova poi nella comune condivisione delle stesse esigenze: mistica e socialità. Quest’ultima era elemento cardine anche della Scuola di Mistica Fascista. Non ultimo troviamo Berto Ricci tra i quadri della Scuola di Mistica nel 1940, pochi mesi prima che lui partisse per il fronte di guerra. C’è un profondo legame che lega Berto Ricci e la sua intransigenza rivoluzionaria, con quella mistica e rivoluzionaria della Scuola di Mistica. Penso che Niccolò Giani, esponente della Scuola di Mistica, e Berto Ricci, esponente dell’universalismo fascista, abbiano tantissimi punti in comune, e sono convinto, e i fatti lo dimostrano, che l’obiettivo era comune: la nuova rivoluzione totale che il fascismo doveva compiere in Italia.

Alla luce di quanto detto, dall’approfondimento nella conferenza di oggi, e dall’esempio di Berto Ricci, vuoi lasciarci con una tua indicazione?
E’ molto semplice: io penso che figure come Berto Ricci, come Niccolò Giani, come Arnaldo Mussolini e come tanti altri, abbiano rappresentato per noi dei veicoli per la nostra crescita. Ci è stato insegnato fin da ragazzi a seguire gli esempi per essere esempio. Siamo cresciuti in giovane età leggendo “Il Capo di Cuib”, esaltandoci sulle gesta e sul pensiero del Capitano, e non c’è molto di diverso con quello che portavano avanti uomini come Berto Ricci. L’esempio rimane tale, ci aiuta a crescere, a maturare, a creare in noi una coscienza rivoluzionaria. Berto Ricci diceva che non si può creare l’uomo nuovo se non vi è una forte tensione idealistica e una forte maturazione di coscienza rivoluzionaria. Questo è un grande esempio. Il fatto che lo abbia dimostrato andando a morire in guerra per palesare la sua totale fedeltà alla rivoluzione fascista e ai suoi ideali, ritengo che sia uno straordinario esempio da tenere sempre in considerazione.

Tratto da www.azionetradizionale.com

Ricordiamo la possibilità di pernottare presso l'istituto, previa prenotazione.

venerdì 12 febbraio 2010

In ricordo del Combattente Pio FIlippani Ronconi

Ha raggiunto ieri i campi Elisi il Conte Pio Filippani Ronconi, nel ricordarlo riportiamo una intervista inserita nel documentario di Marco Dolcetta: "SS Italia il volto oscuro della liberazione", riportiamo una breve biografia tratta dalla pagina di Facebook a lui dedicata, che ringraziamo per la cortesia:

Pio Alessandro Carlo Fulvio Filippani Ronconi (nato a Barcellona il 10 marzo 1920 da Fulvio e Anita Tamagno, e deceduto l'11 febbraio 2010 a Roma) è stato il più grande orientalista italiano.

Professore ordinario di Religioni e Filosofie dell’India, professore incaricato di Lingua e Letteratura Sanscrita, già professore straordinario di Dialettologia Iranica, e precedentemente incaricato di Filosofie dell’Estremo Oriente presso l’Istituto Orientale di Napoli.
Fu anche dottore Honoris Causa di teologia e Scienze dell’Islam presso l’Università di Teheran (unico occidentale insignito di tale riconoscimento); dottore sempre h.c. in Filosofia della Storia presso l’Università di Trieste; è altresì membro della Real Academia de Cordoba-Istituto de Estudios Califales; membro dell’Accademia Pontaniana di Napoli e membro dell’Is.I.A.O.
Dopo la licenza liceale classica presso l’Istituto de Mérode a Roma, nel 1939 si iscrisse alla Facoltà di Lettere della Reale Università degli Studi di Roma, dove oltre ai corsi d’obbligo in umanità greche e latine seguì quelli specialistici in Religioni dell’Oriente, ottenendo in tutti i massimi voti. Apprese Sanscrito, Persiano, Arabo, Turco, oltre al Pali, Tibetano ed Avestico. Allo scoppio della seconda guerra mondiale si arruolò tra gli "Arditi" e dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana come volontario nel battaglione “Degli Oddi” della "Legione ϟϟ Italiana", meritandosi una Croce di Ferro di II classe germanica durante i combattimenti nella battaglia per Roma.
Si laureò con lode nel marzo 1949, presentando una tesi su “Le Molteplici condizioni di coscienza nel sistema Vedanta”.
Nel 1953, in seguito ad una borsa di studio conferitagli dall’Imperiale Governo Iranico, si iscrisse all’Università di Teheran, dove seguì con profitto corsi superiori di Letteratura persiana ed araba, Sufismo e Storia dell’Iran antico. Si specializzò in Ismaelismo, argomento sul quale avrebbe scritto alcuni libri e monografie.
Nel corso dei suoi studi accademici coltivò in modo particolare le ricerche sulle sette gnostiche in India e Tibet (particolarmente Scivaismo settentrionale e Buddhismo Vajrayana), nonché sui movimenti mistici ed eterodossi nell’Islam orientale, specialmente in Persia. Allievo dei professori Formichi per il Sanscrito, Tucci per le Religioni dell’India e del Tibet, e Corbin per la mistica islamico-persiana, si interessò fondamentalmente della fenomenologia religiosa, dello Yoga e dello Sciamanesimo, argomenti sui quali ha pubblicato varii scritti. Partecipò alla spedizione in Marocco, realizzata dalla Fondazione Ludwig Keimer che portò alla scoperta dell’antica città di Sigilmassa.
La sua bibliografia si era recentemente arricchita della pubblicazione di “Zarathustra ed il Mazeismo” (ed. Irradiazioni).


mercoledì 10 febbraio 2010

Giornata del ricordo

Dalle ore 18,30 alle 20 di oggi verranno proiettati alcuni video sul tema delle Foibe, presso la sede della delegazione Romana: libreria Raido (via Scirè 21-23, Roma) per onorare il ricordo dei martiri di un eccidio da non tutti dimenticato.

Ingresso Gratuito

Un minuto di silenzio

Mentre i clamori di un altro giorno della memoria si vanno lentamente spegnendo, proponiamo un minuto di silenzio che interrompa il normale svolgere della nostra giornata quotidiana e ci ricolleghi spiritualmente a quanti vennero ingiustamente e barbaramente uccisi durante la pulizia etnica in Istria e Dalmazia e successivamente volontariamente dimenticati ed infamati dalla classe politica Italiana.

lunedì 1 febbraio 2010

Novità editoriale

Presto disponibile presso la sede della delegazione romana della Fondazione Istituto storico RSI, per ordini contattare il 06/86217334


Zibaldone d’un secolo baro vissuto dalla parte dei vinti

Avviso alle anime belle. È meglio che questo libro non lo leggiate. Non troverete il buonismo, il solidarismo mellifluo, gli atteggiamenti tartufescamente «super partes», la fatidica «memoria condivisa». Alla soglia delle sue ottanta stagioni, Piero Buscaroli con Dalla parte dei vinti - Memorie e verità del mio Novecento (Mondadori, pagg. 505, euro 24, nelle librerie domani) riscrive la storia della propria vita e della vita italiana del secolo scorso. È un libro caparbio, sincero, che non teme di essere sgradevole, fatto di tante staffilate e di poche, pochissime carezze. Un libro di parte? Sì, la parte dei vinti. Brillante inviato del Borghese, commentatore del Giornale, direttore del Roma di Napoli, coltissimo musicologo, autore di opere biografiche su Bach, Mozart e Beethoven che sono altrettante pietre miliari, Piero Buscaroli ricompone in questo libro la trama dei ricordi e delle migliaia di carte, articoli, appunti, taccuini, lettere che hanno intessuto la sua esistenza per dare alle stampe quello che a qualcuno potrebbe apparire un raffinato Zibaldone fra storia e memoria, musica e letteratura, e che invece è una dichiarazione di guerra. Lo ebbe a dire lui stesso comparendo in televisione nel 2005 accanto a Giuliano Ferrara nel sessantennio del 25 aprile. Alla solita domanda sulla sua appartenenza politica rispose: «Non mi considero un “reduce”, un “orfano di Salò”, sono un superstite della Repubblica Sociale Italiana in territorio nemico». Aveva tredici anni, Piero Buscaroli, quando prese le armi sull’esempio del padre, il professor Corso Buscaroli, colto latinista, che ritenne giusto schierarsi dopo lo sfacelo dell’8 settembre, divenne reggente del fascio repubblicano di Imola e per questo scontò, a Liberazione avvenuta, anni di carcere antifascista. Prese le armi (idealmente perché l’età non gli consentiva ancora di indossare la divisa della Rsi) dopo che il 4 novembre 1943 era stato ucciso il primo fra gli assassinati della guerra comunista, il seniore della Milizia Gernando Barani, fulminato con tre colpi di pistola a Imola, mentre tornava a casa in bicicletta. Primo di una lunga serie. Le armi Buscaroli non le ha mai deposte: ha visto cadere uccisi negli anni orribili 1943-1945 giovanissimi amici e persone della sua famiglia, ha visto il padre morire precocemente per le sofferenze patite in carcere, ha vissuto il dopoguerra e il nascere e consolidarsi della lunga menzogna resistenziale. Non si è mai riconciliato con i vincitori e in questo spirito dichiara ora le ragioni delle sue scelte politiche, culturali, morali «senza pentimenti, senza sospiri, senza lagrime». Nel libro si intrecciano le memorie della guerra europea, i sussulti del morente fascismo, gli spasimi dei Paesi prigionieri della Cortina di ferro dopo la spartizione, la tragedia vietnamita (conosciuti e narrati da inviato del Borghese), la denuncia dei crimini dei vincitori, le tante Norimberga, lo sterminio dei Cosacchi arruolati nella Wehrmacht e coscientemente sacrificati dagli inglesi. E quello che lui definisce «l’olocausto dell’aria», la distruzione delle città italiane e tedesche, il sacrificio dei civili. «Tra la resa dell’8 settembre e la fine della guerra - scrive Buscaroli - i civili italiani che persero la vita per rappresaglie tedesche furono diecimila; i morti nei bombardamenti inglesi e americani, sessantaquattromila». Forse qualcuno più informato di noi potrà anche contestargli le cifre, ma non il dato oggettivo che già Paolo Monelli aveva commentato in Roma 1943: «Il flagello distrusse in quel terribile mese (agosto ndr) più di quanto non guastarono assedi, incendi, sacchi e terremoti in mille anni». Nei documenti che costituiscono l’ossatura del suo memoriale, Buscaroli cita preziosi inediti trascurati anche da storici di fama quali Renzo De Felice (che lui taccia di superficialità), come i documenti di Franz Pagliani, nel 1943 vicesegretario del Pnf, sul doppio gioco dell’ex capo del Sim generale Giacomo Carboni, che il 23 luglio di quell’anno, due giorni prima della fatidica seduta del Gran Consiglio, cercò «di “vendere” il colpo di Stato militare a Mussolini che non credé nella sua esistenza». Quello stesso Carboni che nel periodo badogliano ebbe pesanti responsabilità nell’eliminazione dell’eroe di guerra Ettore Muti, «misteriosamente» ucciso dai carabinieri il 24 agosto 1943. La «riscrittura» del 25 luglio 1943 occupa i capitoli centrali del libro dedicati ai soggiorni dell’autore nel Giappone degli anni Sessanta e ai lunghi colloqui con l’amico barone Shinokuro Hidaka, ambasciatore a Roma e poi a Salò, l’unico che parlò con Mussolini la mattina del 25 luglio, l’unico a conoscenza della nota che lo stesso Mussolini aveva intenzione di consegnare a Hitler per ottenere uno sganciamento dell’Italia stremata dalla guerra ormai perduta. Affetto e rispetto porta Buscaroli alla memoria di Hidaka, come a quella del grande direttore d’orchestra Wilhelm Furtwaengler, del grande giornalista Leo Longanesi, di Giuseppe Prezzolini, dell’arguta Emmy Sonnemann, vedova (ohibò) di Hermann Goering. Per molti altri sono sciabolate, da Dino Grandi al cugino Massimo Cacciari, da Indro Montanelli a Giorgio Almirante che non gli volle credere quando nel 1974 gli riferì le rivelazioni del ministro dell’Interno Taviani sulla paternità governativa degli attentati di destra e di sinistra. Gli ultimi due, bellissimi, capitoli del libro sono dedicati a Ezra Pound, conosciuto a Ravenna nel 1966: «il viso ... seghettato, lavorato, benissimo inciso come gli anni non potrebbero soli, senza la mola del pensiero, il trapano della curiosità, il rovello dell’ira, del dolore». E sono anche l’unico luogo del libro in cui Buscaroli si concede una divagazione aneddotica raccontando di come il poeta cucinasse eccellenti frittate. Per il resto, lo scrittore aborrisce il «lato umano», la conversazione conviviale «in cui il genio riesce sovente banale e brilla lo stupido di spirito». Crede solo «alla pagina, alla statua, alla tela, alla musica scritta». Ma per Ezra fa un’eccezione, quasi un delicato gesto di tenerezza, da vinto al grande vinto che «venne a vivere con noi le ultime abiezioni. Due, tre volte con noi. Gli sono grato di aver diviso con noi la discesa».

Redazione 31 gennaio 2010