venerdì 31 luglio 2009

Commemorazione dell'eccidio di Bus de la Lum

PROGRAMMA DELLA COMMEMORAZIONE

DOMENICA 30 AGOSTO

MOMENTO DI RACCOGLIMENTO , RIFLESSIONE E RICORDO STORICO IN ONORE DEI MILITARI E CIVILI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA E TEDESCHI INFOIBATI E TRUCIDATI PER VILE MANO PARTIGIANA

• ORE 10:00 RITROVO PRESSO IL CIMITERO VECCHIO DI FARRA ALPAGO (BELLUNO) , A POCHE DECINE DI METRI DAL LAGO DI SANTA CROCE

• 10:30 COMMEMORAZIONE DEGLI UNDICI TRA UFFICIALI , SOTTUFFICIALI E MILITARI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA INFOIBATI A MONTE PRESE IL 27 E 28 APRILE 1945

• 11:30 COMMEMORAZIONE PRESSO IL CIMITERO DI LAMOSANO D’ALPAGO IN ONORE DEI 64 PRIGIONIERI DI GUERRA (63 RSI + UN SOTTUFFICIALE GERMANICO ) DEPREDATI , DENUDATI , SEVIZIATI E GETTATI IN UNA FORNACE DI CALCE IL 22 MARZO 1945 PRESSO MALGA VENAL VICINO A FUNES DI LAMOSANO

• 13:00 PRANZO SU PRENOTAZIONE PRESSO AGRITURISMO “CASERA LE ROTTE” AL PREZZO DI EURO VENTICINQUE A PERSONA

• 15:30 PRESSO LA FOIBA “BUS DE LA LUM” NELLA FORESTA DEL CANSIGLIO (AD UNA DECINA DI KM DA TAMBRE ) COMMEMORAZIONE IN ONORE DEI CIVILI E MILITARI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA E TEDESCHI INFOIBATI A CENTINAIA TRA IL 1944 E IL 1945 CON LA PRESENZA DI PADRE GIULIO “MITRA” TAM.

• SONO AMMESSE BANDIERE , LABARI , GAGLIARDETTI ET SIMILIA DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
• NON SONO ASSOLUTAMENTE AMMESSI BANDIERE E SIMBOLI DI PARTITO

X INFO : LUCIANO SONEGO 333 52 18 311 PRESIDENTE CONTINUITA IDEALE (TV )
ANNAMARIA GAVA 320 09 57 783 SEGRETARIA CONTINUITA IDEALE (TV)
LOVISETTO GIOVANNI 377 2058259 DIRETTORE LITTORIO
www.rsitreviso.it info@rsitreviso.it

Comitato organizzatore RNCR-RSI-CONTINUITA IDEALE sezione di Treviso

Deposta Lapide in memoria del'Eroe Barbadoro

Ad esattamente 76 anni dai fatti (22 luglio 1943), l'Ass. Culturale Il Covo ha inteso ricordare l'Eroe che difese Palermo dagli angloamericani, ponendo una lapide e un Tricolore nel luogo del suo Sacrificio.

Ecco i fatti:

"...Palermo, in codice "Difesa Porto "N"", è affidata al gen. Giuseppe Molinero. Non eccessivamente consistenti le forze a sua disposizione, cui tuttavia viene aggregato in rinforzo sin dai primi di luglio anche il I gruppo da 100/17 del 25° Rgt. art. "Assietta", inizialmente dislocato nella zona presieduta dall'omonima divisione tra Partanna e S. Ninfa(41). L'arco difensivo disposto intorno alla città è piuttosto vasto e comprende più paesi che, da est verso ovest, sono: Isola delle Femmine - Capaci - Carini - Monreale - Altofonte - Belmonte Mezzagno - Gibilrossa - Misilmeri - Altavilla Milicia. In questo marasma generale, il S. Ten. Barbadoro è comandato di predisporre un piccolo caposaldo(42) a Portella della Paglia, così da sbarrare per quanto più sia possibile il passaggio al nemico, che rapidamente giunge dall'entroterra. Così quel manipolo di soldati(43), come ordinato, prende posizione, pronto ad assolvere una disperata difesa dal sapore aristocraticamente antico.


Corre subito alla mente, infatti, il memorabile episodio in cui Leonida I, re di Sparta, con soltanto 300 dei suoi opliti nel 480 a.C. seppe infliggere notevoli perdite e frenare a lungo alle Termopili la soverchiante forza del temibile esercito persiano di Serse. Il cannone ippotrainato da 100/17 viene posizionato nel punto migliore. L'ufficiale sa bene usare l'arma affidatagli, ma è la responsabilità della vita dei suoi soldati che maggiormente lo preoccupa. Un occhio al sito. Il punto da presidiare è strategicamente ottimo per la difesa. Nel suo complesso la conformazione del territorio siciliano(44) è da sempre considerata, dal punto di vista militare, come un fattore assai poco agevolante le manovre offensive. Nello specifico, il teatro circostante è caratterizzato da una cruda vegetazione, due alte cime ai lati che fanno da cornice ad un'ampia vallata che si distende a perdita d'occhio. Fra le ripide pareti di questa gola rocciosa si snoda una piccola strada che, serpeggiando prima di passare per la strettoia della portella in direzione del capoluogo, si presta da quel punto ad un efficace tiro di artiglieria. Se a questi dati tecnici si aggiunge la fede che l'ufficiale deve aver evidentemente trasfuso nei suoi sottoposti, allora è facile concludere che in quei momenti qualcosa di grande deve essere accaduto, rendendo quel luogo come tempio munito, una fortezza mistica, una roccaforte armata da una comunione d'intenti, un incendio di spiriti. "Trasfondere la propria fede negli uomini - afferma un alto ufficiale ad un convegno sui fatti di cui parliamo - che la Patria ci affida, è il compito più nobile e forse più gratificante di un ufficiale. Un uomo sulle cui spalle pesano grandi responsabilità, come quella di chiedere, nei momenti difficili, l'obbedienza per atti che potrebbero comportare il più grande dei sacrifici."(45) Sono giorni difficili, ma in alto il sole continua a splendere. Il caldo è intenso, il cielo terso, d'un blu che lascia pensare alle cose più belle. Ma l'amenità del paesaggio non può certo cancellare quello assai più greve e contingente di carattere militare. Poco dopo il tramonto, mercoledì 21 luglio 1943, il magg. Francesco Morelli(46) riceve l'ordine dal gen. Molinero di compiere un'accurata ricognizione informativa lungo la linea predisposta a difesa della città in direzione sud. Presa dunque la via su di una camionetta con due soldati, l'ufficiale d'ispezione giunge al varco dove Sergio vigila con i suoi. Così Morelli scrive nel suo rapporto: "Raggiunta la linea predetta nella zona di Portella della Paglia trovai un pezzo anticarro sistemato a sbarramento delle provenienze da S. Giuseppe Jato. Detto pezzo era comandato dal sottotenente Barbadoro Sergio del I gruppo del 25° artiglieria "Assietta"(47). I due ufficiali si scambiano dei pareri e poi discutono di certe fondate notizie che danno gli Americani ormai prossimi all'arrivo. Il subalterno si mostra a tal proposito abbastanza sereno, pur essendo ben consapevole dell'imminente pericolo. Le sue perplessità sono d'ordine soprattutto tecnico, ovvero come rendere la vita impossibile al nemico. Il piccolo presidio dal punto di vista difensivo è ottimo, domina tutta la valle ed è l'unica strada da questo versante che possa consentire la discesa per Palermo. In più, la carreggiata è così stretta da costringere qualsiasi autocolonna a procedere in fila indiana e da rendere i mezzi in testa facile bersaglio. "Nella conversazione - continua la relazione di Morelli - avuta con l'ufficiale egli mi prospettò le sue apprensioni sull'efficacia della difesa e tra queste la non esistenza di un'interruzione stradale, che a motivo del particolare andamento del terreno della stretta e poi della Portella avrebbe certamente inchiodato il nemico. Dato che l'interruzione non era ormai più possibile costruirla per mancanza di materiali in rapporto all'entità del lavoro e del tempo necessario, rincuorai l'ufficiale ad avere fede nell'efficacia dell'arma di cui disponeva, piazzata in ottima posizione"( 48 ). Terminata questa tappa, l'ufficiale d'ispezione riprende il suo giro spingendosi ancora oltre. Incontrati tre sbandati chiede loro di che reparto siano. Sono fanti del deposito munizioni di Costaraia, che a bordo della loro carretta ripiegano verso la città. Da quel breve colloquio Morelli desume che il nemico sia già arrivato nei pressi di Camporeale. La perlustrazione prosegue, ma con crescente apprensione. È notte. È da poco passata l'una di giovedì 22 luglio 1943. Il maggiore arriva a S. Giuseppe Jato. Deserto, o quasi. Presentatosi presso la caserma dei Carabinieri l'ufficiale, da un colloquio assai scarso di notizie con il comandante di stazione, ha ormai la conferma indiretta che tutto si stia mettendo al peggio. Stravolgendo l'adagio, verrebbe d'aggiungere: "nessuna nuova, cattiva nuova". A Morelli non rimane che dirigersi nei pressi di Camporeale. Alle 2 del mattino in effetti vi trova accampati alla meglio in un uliveto circa 300 nostri soldati. Incontrato il loro comandante, Morelli ordina di ripiegare al più presto su Palermo. Terminata a questo punto la missione, non resta che tornare indietro. Lungo la strada del rientro, il maggiore ripassa per Portella della Paglia. Nuovo scambio di pareri, insieme ad altri ufficiali sopraggiunti. Alla fine dell'incontro viene deciso di minare alla meglio la stretta via che conduce al caposaldo e di provvedere alla sistemazione del reparto che sta per ripiegare giusto in questa direzione. Prima di andar via Morelli ha la conferma della stoffa di cui è fatto il Nostro. Così, colpito dalla fermezza del giovane ufficiale che ha dinanzi, questi annota nel suo resoconto: "Il sottotenente Barbadoro, con il quale mi soffermai cordialmente a parlare, mi sembrò molto rincuorato, e nello stesso tempo potetti scorgere dalle sue parole che aveva effettivamente del coraggio e possedeva nobili sentimenti di amor proprio". Non un cieco temerario dunque ha di fronte il Maggiore in quella notte, ma un uomo ben consapevole dell'effettivo pericolo e nonostante ciò pronto a tutto pur di eseguire quanto gli è stato ordinato. Il tempo passa, e sono già le 4 del mattino. "Assicuratomi - continua il rapporto - che tutti gli elementi della difesa erano perfettamente a posto, mi accinsi a partire. Il sottotenente mi si avvicinò e stringendomi la mano mi disse: "Signor Maggiore stia tranquillo che di qui non passeranno, farò io stesso il puntatore e con i miei soldati non molleremo"(49). Queste parole devono averlo certamente scosso nell'intimo, data la particolare gravità della situazione. Ma non sono gli eventi incombenti che animano profondamente il Nostro. Il convincimento è adesione alla consegna ricevuta già da giorni. "Conobbi Sergio Barbadoro - scrive Elio Moscato - in uno di quei giorni che precedettero l'invasione: avevo dieci anni, e nella mia mente il ricordo di lui è offuscato dal velo degli anni trascorsi. Rammento che i campagnoli - imbevuti della propaganda calossiana - lo scongiuravano di non resistere, di abbandonare la postazione, per salvare sé dalla morte e quei luoghi dalla devastazione. Ma egli aveva sorriso, con quel sorriso di fanciullone buono che non sa e non vuole piegarsi alla realtà delle miserie umane, dicendo che avrebbe eseguito gli ordini, affinché non venisse meno il suo onore di militare e di uomo"(50). L'etica del dovere è dote di pochi, merce assai rara, e per questo meritevole di lode. Soprattutto in questo contesto, ove parte della popolazione si mostrò gravemente indifferente, se non in rari casi apertamente ostile alle sorti dei propri soldati(51). Non ci è dato sapere con precisione cosa avvenne a Portella della Paglia in quelle cinque ore o poco più che separano la stretta di mano fra i due graduati dallo scontro. Tuttavia non occorrono sempre e comunque freddi documenti per intuire cosa potesse passare per la testa del Nostro in quel frangente. Raramente dalle carte sgorga con facilità il magma del cuore. Con uno sforzo d'immedesimazione nemmeno poi tanto improponibile, quindi, non è difficile cercare di porsi in parallelo coi pensieri d'un ragazzo poco più che ventenne, lontano da casa e in procinto di scontrarsi con forze preponderanti. Avrà probabilmente riletto l'ultima lettera(52), guardato qualche foto significativa, si sarà riposato un po', avrà ripensato ai momenti più belli della sua vita, e di certo si sarà chiesto se mai avrebbe rivisto i sui cari o la sua Elvira(53). Pensieri. Tristi e liberi come quelli di ogni eroe, superbamente intento nell'ascendere le cime dell'attimo che ne rende immortali i passi, l'azione, l'incedere. Senza ambasce. Cosciente. Sono le prime ore del 22 luglio, i nemici sono arrivati a S. Cipirello. Molti degli abitanti scendono per le strade e corrono per andarli a vedere. Fra loro anche una palermitana ventiduenne, sfollata a causa delle bombe "liberatrici". "Gli Americani - racconta la signora Gulizzi(54) - entrarono in paese intorno alle 8.30 del mattino. Tanta gente per strada; urla, e tante lenzuola bianche esposte in segno di resa facevano da ala alla colonna militare. Quasi tutti si erano riversati dalle loro case sulla strada principale. Non resistetti e così anch'io giunsi dalle nostre baracche, salendo per via Mazzini. Volevo vedere questi stranieri venuti da lontano. Ciò che più mi colpì furono le dimensioni dei loro carri armati. E poi erano tanti, tantissimi. Armati fino ai denti e prodighi di barre di cioccolata, sigarette e chissà quante altre cose ancora. La sfilata durò circa mezz'ora; poi, dopo più scene di strana frenesia, di Italiani ormai pressoché dimentichi della loro nazionalità, l'autocolonna uscì dal paese e si diresse lungo la strada che porta a Palermo. Non passarono molti minuti che udimmo ben chiari degli spari. Per primo, chiaro e distinto, un colpo di cannone. Poi iniziò una sparatoria. Si diffuse subito la notizia che i nostri avevano opposto resistenza al passo di Portella della Paglia. Ma cosa potevano mai contro quegli enormi corazzati? Tutto pensammo, ma mai che i nostri in realtà fossero così pochi.[…] Sono da poco passate le ore 9. Ben appostati e silenziosi i nostri attendono che il nemico si faccia avanti il più possibile, fino a quando non si offra nitidamente al congegno di puntamento dell'obice da 100/17. La tensione sale ai massimi livelli, la mente sgombra da pensieri superflui. Dopo aver percorso diversi chilometri ed occupato più paesi lungo il proprio cammino gli Americani sono quasi arrivati al punto d'impatto. Ma non è stata certo una passeggiata inerpicarsi fin lassù, "(…) perché la strada per Palermo - scrive un ufficiale italo-americano - attraversava uno dei terreni più tortuosi della Sicilia, dove le montagne raggiungevano i 1200 metri e oltre, e le pessime strade erano piene di vertiginose curve a zigzag e di ponti dove imboscate e sabotaggi potevano facilmente rallentare l'avanzata e infliggere considerevoli perdite"( 58 ). In effetti di lì a poco quella eventualità si realizzerà. Ci siamo. Da lontano si scorgono le prime imponenti sagome dei carri armati, terrificanti. Ma Sergio rimane fermo. Al suo posto. Niente e nessuno lo può distogliere dal restare sul suo pezzo. In piedi! Il nemico è arrivato, è lì, e deve sapere che c'è ancora qualcuno disposto a non cedere nemmeno di un passo. Tutta una vita scorre davanti, mentre all'avvicinarsi il metallico procedere dei cingoli avversari rumoreggia minacciosamente. Avanzano. Tutto pare come prossimo a scivolare via. Più vicina la morte, più potente il desiderio di vita. Attimi infiniti, fatti di ricordi, affetti, colori e odori che forse non torneranno più. Qualcosa di straziante e sublime al contempo si compie, non la paralisi ma l'ardimento s'impossessa di lui, sostenendolo, rincuorandolo, rinforzandolo, eccelsamente. In quei minuti che precedono l'inizio dello scontro l'ufficiale italiano sente il suo cuore palpitare come cento e più tamburi ritmicamente percossi ad una grande parata. Ogni cosa intorno appare straordinaria, nonostante tutto, e finanche lo scoramento per il fatto di sentirsi isolato, tagliato fuori dal resto delle nostre forze, si trasforma divenendo carica, concentrazione massima. In estate la Sicilia è tanto bella, l'aria è piacevole, familiarmente calda, i cieli folleggiano di un azzurro inebriante, i mille e più fiori sono dischiusi in uno splendido spettacolo senza posa per gli occhi. Quella terra che lui difende ed onora non gli è estranea: si sente siciliano, così come piemontese, pugliese, emiliano, sardo, molisano. Lui è Italiano. La Patria è in pericolo, il nemico l'ha invasa e lui, pur così giovane, già possiede un alto e chiaro senso del dovere. Quel principio morale che una volta sposato non lascia spazi per nessuna forma possibile di divorzio. Costi quel che costi bisogna restare sul posto e fermare il nemico. La canzone del Piave echeggia nelle sue orecchie, mentre i chiassosi avversari vengono avanti calpestando il suolo d'Italia. È il momento della verità. Gli occhi dei presenti, sgranati, si scrutano vicendevolmente. C'è timore ed orgoglio. La visione di quei mostri d'acciaio deve aver necessariamente suscitato assieme paura e fiera determinazione allo stesso tempo. Quella che interminabile e terrificante si profila all'attenta e silenziosa visione dei nostri è una grossa unità nemica, gran parte della 2ª Div. corazzata statunitense. Questa possente forza d'urto, composta da camionette, camion cingolati, cannoni d'assalto e carri armati Sherman, nonché centinaia di fanti, è al comando del gen. Truscott. Il suo compito è di penetrare nell'entroterra palermitano e giungere nel capoluogo siciliano entro le ore 12 del 22 luglio. L'appuntamento prefissato è con la 3ª Div. di fanteria americana che, dopo aver dato scacco alle unità italiane poste nei suoi pressi, è entrata in Palermo con sparute aliquote. Ma i loro progetti devono subire un'inaspettata quanto stridente battuta d'arresto. I bagordi sono rimandati. C'è un manipolo di Italiani ancora disposti a non cedere neppure di un metro. Fino allo stremo. Il dado è tratto. Tutto è pronto. Ognuno è al suo posto. Lo scenario di morte e gloria è allestito. Gli Americani procedono nella polvere, perfettamente incolonnati lungo la strada, circospetti ma ignari dell'imminente portata dell'ostacolo. Palermo è vicina, pensano. I primi mezzi vanno in ricognizione ed imboccano quindi l'ultima curva prima di trovarsi a diretta portata di tiro del cannone italiano. Fa da battistrada un carro pattuglia con sei uomini. Eccoli! Fuoco! Un sibilo. Colpito! Il veicolo avversario esplode fragorosamente con i suoi occupanti. Si spara con tutte le armi a disposizione, nel disorientamento degli Statunitensi. Tre mezzi corazzati nemici sono così inchiodati, due incendiati. Chi mai ancora resiste? Quanti saranno? La colonna nemica a questo punto è costretta a segnare il passo. Guai in vista. "Il cannone - scrive un reporter americano presente quella mattina - che stava fermando tutta la nostra armata era in una posizione peculiare intorno di un promontorio fuori dalla nostra vista, era piazzato attraverso la gola 500 jarde distante da noi, cosicché poteva sparare appena qualcosa si mostrava fuori del promontorio. Saremmo sicuramente morti se avessimo sporto la testa fuori della curva. Evidentemente i soldati che manovravano il cannone erano uomini decisi"(59). Il nemico prende le sue contromosse, lecite e non. Secondo fonti attendibili, infatti, come riporta il relatore nel suo memoriale, gli Americani hanno legato ai propri automezzi di prima linea dei prigionieri italiani, catturati mentre questi stavano minando la strada(60). Questo vile espediente avrebbe dovuto far sì che qualsiasi offensiva si sarebbe dovuta paralizzare sul nascere. Avranno pensato: gli Italiani sono troppo teneri di cuore per aprire il fuoco, col rischio di colpire i propri commilitoni. Errore. Un buon militare nei momenti critici deve saper prendere decisioni rapide ed anche freddamente porre tra parentesi il proprio senso umanitario che lo porterebbe istintivamente a salvare i malcapitati in ostaggio; ma è proprio la lucida moralità del soldato con gravose responsabilità che sprona all'adempimento del proprio compito, per necessità, perché così gli è stato insegnato, perché così è giusto che faccia. Gli ordini, soprattutto in guerra, non si discutono. Si eseguono. Lo scontro va avanti per ore. E altri, da entrambi gli schieramenti, cadono sul campo di battaglia. Belden racconta ancora: "Una volta un nostro soldato si affacciò sopra la collina. Un proiettile immediatamente gli portò via la testa. Il colonnello comandante la nostra guardia avanzata inviò un immediato ordine per un plotone di uomini in camionetta. Essi vennero avanti e smontarono sotto di noi. Mentre essi facevano questo, un rumore come un fischio di uccello passante si sentì basso sulla testa ed una falda di roccia cadde giù sulla strada. Fucilieri stavano sparandoci dalla collina dietro a noi. Dimenticando cosa stava accadendo nell'aria dietro a noi gli uomini salirono la collina per aprirsi la strada verso il cannone"(61). La faccenda sta diventando assai complicata per le truppe stelle e strisce. I nervi saltano. "Il colonnello - continua il giornalista - prese un fucile dalla camionetta e salì sulla collina anche lui dicendo "Dannato se non riesco a piantare un colpo in quella postazione"(62). Ma nulla pare riesca a far tacere la nostra difesa. Quel cannone e quei pochi soldati italiani non sloggiano. Lo scontro anzi aumenta d'intensità, costringendo persino un alto ufficiale americano a spingersi fino alla linea di fuoco per tentare di sciogliere il bandolo dell'intricata matassa: "Un brigadiere generale in uniforme di gabardine venne su guidando elegantemente la camionetta e dopo affrettato colloquio con l'ufficiale sul posto ordinò che un cannone d'assalto competesse con il mortifero 155 nemico"(63). Le cose volgono al peggio per Barbadoro e gli altri. Ma intanto si combatte. Dopo un po' di tempo, morti o feriti i serventi al pezzo, il nostro ufficiale ripone l'arma d'ordinanza e furioso nello sguardo ma intimamente sereno come chi è ormai al limite delle proprie forze continua da solo far fuoco col suo cannone. "Fu portato su un camion cingolato. Sul camion, che stava per competere con il pesante tedesco [evidentemente si credeva che l'arma fosse di fabbricazione germanica] c'erano il sergente Hatfield, il caporale Ruling, il caporale Edniger ed il soldato Shoemaker rapidamente prese un proiettile, lo mise nella bocca da fuoco e la chiuse. Ruling tirò la cordicella, vi fu un forte rumore ed il fianco della collina tremò. Avevano colpito al primo colpo. Attraverso alla pianura c'era un bruciare di fiamme e una nube di fumo. In rapida successione Ruling tirò la cordicella nove volte. Attraverso la polvere ed il fumo, attraverso la fiamma noi vedemmo delle figure rotolanti. Tutte furono subito avviluppate in una violenta nube di fiamme, mentre le munizioni del nemico saltarono e colpirono l'aria di acuti rumori"(64). Qualcuno ancora spara, ma la resistenza è spezzata. È la fine. I soldati di Patton(65) ora possono riprendere la loro marcia verso la grande città portuale, ma soltanto dopo diverse ore dall'inizio dello scontro. Sergio Barbadoro muore sul proprio pezzo, mantenendo alta l'antica tradizione dell'Artiglieria secondo cui l'ufficiale di quest'Arma, ove necessario, cada sul pezzo piuttosto che consegnarlo al nemico. Gli Statunitensi passano, facendo anche qualche prigioniero fra i superstiti. Sfilano dinanzi a quel soldato, ancora tenacemente aggrappato al congegno di puntamento. Il valico che per ore non erano riusciti a conquistare adesso è sgombro. La mancata esecuzione degli ordini di Guzzoni di rendere inutilizzabili le opere portuali, nonché ovviamente quello di difendere la città "ad oltranza" macchia ingiustamente l'operato di tanti altri che invece adempirono alle consegne ricevute(66). È una condanna senza appello per i responsabili di una simile defezione, che tuttavia rende, certo involontariamente, ancor più generoso il sacrificio dei nostri in quel di Portella della Paglia (così come in vari altri luoghi). Caduti, nell'errata convinzione di operare con il loro sforzo affinché l'importante città potesse essere meglio difesa con il tempo guadagnato ed altrettanto strenuamente tenuta come quell'isolato passo di montagna.


Cosa che non avvenne. L'indomani il corpo dell'ufficiale è ancora lì, lacero, esanime e privo degli stivali. Uno sciacallo senz'anima aveva sfruttato la circostanza e, come è uso fare ogni miserabile, aveva approfittato della notte per oltraggiarne la salma, frugandola, derubandola ed infine rompendole le ormai irrigidite articolazioni per sfilargli via i calzari(67). Esecrabile gesto che tutt'oggi a S. Giuseppe Jato e S. Cipirello è unanimemente ricordato e bollato come degno di un balordo. Mosso dalla pietas che non può non contraddistinguere ogni buon cristiano, fu un sacerdote di San Giuseppe Jato recentemente scomparso, don Antonino Cassata, a dargli il giorno seguente una sepoltura nel vicino campo santo, riconducendolo così, per usare un'espressione hegeliana, alla quiete dell'universale. Caduta Palermo, nella notte fra il 24 e il 25 luglio il capo del Governo viene "sfiduciato" dal Gran Consiglio del Fascismo, dando così via libera alla realizzazione di un "colpo di Stato"( 68 ) ordito a più mani. […] I mesi passano, lenti, e purtroppo nessuna lettera o telefonata giunge a ridare speranza in casa Barbadoro, già assai rattristata per la sorte di Mario (il fratello anch’egli morto in guerra). Ormai stanco di aspettare, Francesco ( il padre )decide di porre fine in qualche modo a quest'interminabile stato di ansia, che logora di giorno in giorno anche la moglie. Così, finita la guerra, verso la fine dell'estate del '45 parte alla volta dei luoghi da dove il figlio aveva dato le sue ultime notizie. Non passa molto quando, dopo essere stato in più località, questi riesce a sapere che l'ultimo posto dove Sergio è stato visto è nei pressi di S. Giuseppe Jato. E così vi si reca. In paese parecchi ricordano l'episodio del luglio di due anni prima, ma nessuno dice di conoscere l'identità di quei soldati. La ricerca inizialmente sembra non dare buoni esiti. Francesco è stanco, ma vuole tentare un'ultima volta. Un pomeriggio, mentre s'aggira per i piccoli viali del cimitero, quasi rassegnato, un vecchietto, il custode che di lì a qualche giorno sarebbe andato in pensione, gli si rivolge dicendogli chi cercasse. Saputo di chi si stesse trattando, l'omino gli confessa d'aver seppellito un paio di soldati anni addietro in un posto un po' defilato del campo santo. Non conosce i loro nomi, ma suggerisce di provare comunque a scavare. Imbracciate le vanghe, dopo un po' riemergono dal terreno i resti dei due. Il tempo ha ovviamente già fatto il suo naturale iter, tanto da renderli quasi del tutto irriconoscibili. Anche questo sforzo pare vano. Ma ecco che qualcosa fa brillare in un lampo gli occhi di Francesco, che esclama: "È lui!" Un coltellino ed una piccola tabacchiera in legno (di scarso valore, ma di certo personalmente regalatagli tempo addietro), nonché i brandelli della biancheria intima, sono gli indizi quasi inequivocabili che identificano quell'inerme mucchio di ossa. Sergio, o quel che ne rimane, giace dinanzi al genitore, che dolorosamente pago e rassegnato ne osserva in lacrime ed immobile le nude spoglie. Ridotto così, nella fredda terra, solo e senza nemmeno un fiore che ne adorni l'umida fossa. Pur rincuorato ed affranto dal rinvenimento, manca ancora un piccolo riscontro all'identificazione. Per cui scatta delle foto ai resti e le invia alla moglie. La pronta risposta di Pia è senza esitazioni: "Non c'è dubbio, è Sergio!". La conformazione del cranio e soprattutto la dentatura sono le sue, per non parlare, come già detto, dei piccoli oggetti personali rinvenuti. Avuta quindi anche la conferma da parte della moglie, a Francesco non rimane che comunicare alle autorità competenti l'avvenuto ritrovamento. Il 2 settembre 1945 Sergio viene quindi finalmente tumulato presso il cimitero monumentale del Verano in Roma(70). Per anni nessuno saprà con esattezza quale fu persino la sorte della sua salma(71). Pochi si sono interessati a vario titolo del Nostro; ancor meno di rendere noto il più possibile i fatti di Portella della Paglia. […] Appena tre anni dopo il suo decesso […] la Repubblica gli conferiva il 4 novembre 1946 la medaglia d'argento al valor militare (alla memoria). Questa la motivazione ufficiale: "Comandato a sbarrare, con un pezzo, un passo di montagna all'avanzata di una colonna corazzata nemica, animava i suoi uomini trasfondendo in loro la sua fede. Durante l'impari combattimento durato nove ore e reso più aspro dalla mancanza di ostacoli anticarro, senza collegamenti e senza speranza di aiuto infliggeva gravi perdite all'avversario, aggiungendo nuova gloria alle gesta degli artiglieri italiani. Caduti o feriti i serventi continuava da solo a far fuoco sino a quando colpito a morte cadeva sul pezzo assolvendo eroicamente il compito affidatogli. Luminoso esempio di dedizione al dovere. Portella della Paglia (Palermo) 22 luglio 1943".(72), […] Nell'esatto punto in cui egli perse la vita sorge un piccolo cippo. Su di esso si legge: "Qui eroicamente cadde il S. Ten. di complem. Barbadoro Sergio. Classe 1920 da Sesto Fiorentino".

mercoledì 29 luglio 2009

Novità libraria

Sarà presto disponibile, presso la sede della Delegazione Romana dell'Istituto Storico della Rsi, la seguente novità libraria da tempo attesa:

Pietro Cappellari

I LEGIONARI DI NETTUNIA
I CADUTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA DI ANZIO E NETTUNO (1943-1945)

Formato: 17x24

248 pagine

Prezzo: € 20.00



Nel corso della prima metà del Novecento, sia ad Anzio che a Nettuno, esistevano i “Legionari”: la prima guerra mondiale, la “pacificazione” della Libia, la conquista dell’Etiopia, la Cruzada spagnola e, naturalmente, la seconda guerra mondiale, avevano visto la massiccia partecipazione di nettunesi ed anziati che con il loro sangue avevano scritto le pagine più belle della storia d’Italia.
Con l’8 settembre 1943, con la firma della resa incondizionata, sembrò spezzarsi questo “continuum” e quel popolo che aveva dato alla storia “Santi, Eroi, Navigatori”, sembrò scomparire nell’anonimato più completo.
Invece no. Troppo superficiale e troppo comodo sarebbe sostenere questa tesi. Perché, mentre tutto un mondo crollava, mentre l’Italia cadeva nella più dolorosa e vergognosa resa che la storia ricordi, vi fu chi, pur sapendo di andare di fronte ad una sconfitta certa, prese le armi “per l’Onore d’Italia” e dimostrò che quel tipo umano, capace di miracoli ed eroismi, non era scomparso dalla nostra penisola. Questi ragazzi, i ragazzi della RSI, dimostrarono che l’Italia poteva ancora vantare i suoi… Legionari. Questo studio intende ricordare coloro che per questa scelta sacrificarono quello che di più caro un uomo può avere: gli affetti e la vita.
Si trattò della scelta più difficile, ma a questi uomini poco interessava la “convenienza”, poco interessava il “calcolo”. Furono coscienti artefici del loro destino e furono coscienti che quella scelta, quel loro volontarismo, avrebbe costituito un “punto di non ritorno” che li avrebbe condotti anche al sacrificio supremo. Di fronte ad una massa “grigia” e rassegnata, che passiva attendeva lo scorrere degli eventi, il loro esempio rifulge come un faro di luce nelle tenebre della notte. Per sessant’anni il loro sacrificio venne dimenticato perché un’apposita censura politica non ha mai permesso che si parlasse di loro. Questo lavoro vuole scardinare questo processo mentale di censura della memoria collettiva e ricordare chi – con delle scelte ben precise – fu artefice e protagonista della storia. Particolarmente interessante la ricostruzione delle storie dimenticate di tutti quei nettuniani che, arruolatisi nelle Forze Armate Repubblicane, non fecero più ritorno alle loro case.
Questo è stato l’aspetto più difficile di questa ricerca. Neanche i famigliari, infatti, hanno mai saputo nulla della loro storia.
Si è trattato di andare a ricostruire tassello dopo tassello dei mosaici di cui nessuno aveva mai visto l’aspetto. Fatti avvenuti in diverse località dell’Italia settentrionale dimenticati anche dalla stessa memoria collettiva locale, su cui mancava un qualsiasi studio o testimonianza.
È stato così possibile, per la prima volta, ricostruire il disarmo del Presidio di Trino (Vercelli) della VII Brigata Nera “Bruno Ponzecchi”; lo scontro di Monforte d’Alba (Cuneo) sostenuto dalla Compagnia OP della GNR di Imperia; il rastrellamento del Monte Genevris della Compagnia OP della GNR di Brescia; il rastrellamento di Pareto (Alessandria) della Divisione “San Marco”; gli ultimi combattimenti in difesa della Valle Padana della Divisione GNR “Etna”; le stragi partigiane del dopoguerra a Milano; ecc.
Tutti episodi dimenticati che vengono ora presentati per la prima volta al pubblico, attraverso una rigorosa ricostruzione storica dei fatti.
Dopo più di 60 anni, tornano ad Anzio e Nettuno le storie dei loro figli caduti per l’Onore d’Italia.


Il libro verrà presentato, durante un incontro con l'autore a Settembre presso la sede della Delegazione sita in Via Scirè 21/23.

Sono aperte le liste di prenotazione per il testo


In ricordo della Nascita di Benito Mussolini 29 Luglio 1883

Benito Mussolini dall'Aldilà

Italiane e Italiani, in camicia nera

Quando il 10 giugno 1940, a Roma in Piazza Venezia, annunciai
l'entrata in guerra dell'Italia, a fianco dell'alleata Germania, tutti
eravate d'accordo, tutti applaudenti e tutti in camicia nera.
Quella camicia nera era, ed è un simbolo per noi fascisti e quella
camicia nera ci ha accompagnato per vent'anni. Assieme abbiamo passato
momenti di dolore, sacrifici e entusiasmo per fare questa Italia
sempre migliore.
Ma taluni italiani sono solo una razza di schiavi, di scrivi e di
banderuole, mi ero illuso di gente priva di onore e di parola. Quando
poi i nemici li avete fatti diventare alleati e i vecchi alleati
diventare nemici, travolgendo tutti nella guerra civile. Trovandomi il
29 aprile 1945 appeso al traliccio di un distributore di benzina di
Piazzale Loreto a Milano.
Ero a testa in giù, con la folla urlante, sputante e ho notato che,
dalla camicia nera erano passati alle camicie di tutti i colori. Poi a
dissentire: chi aveva vinto e chi aveva perso la guerra.
Andiamo avanti.
A Predappio mia città natale, il neosindaco invita quanti mi sono
rimasti fedeli, quelle migliaia di persone che ad ogni ricorrenza
legata alla storia del fascismo, vengono alla mia tomba ad onorarmi e
i più sono in camicia nera, ripeto: sono invitati a restare a casa
loro, oppure vengano si, ma senza la camicia nera. Altrimenti chiama
la forza pubblica.
Questo non volere la camicia nera, mi riporta ad un episodio di tanti anni fa.
Dal mio eremo dove mi trovo quale cittadino onorario di Lovere (BG)
dal 21 maggio 1924; sul lungolago, nell'immediato dopo guerra, i
pestaggi ai fascisti non erano ancora finiti. Io vedevo un operaio
epurato dal posto di lavoro, un certo CAMILI' che, aveva la buona o
pessima abitudine di passeggiare in camicia nera e immancabilmente
erano legnate che si prendeva dai comunisti.
Gli volevano proibire di portare la camicia nera.
Ma il Camilì, testardo e convinto di quello che faceva, continuava a
portarla la sua camicia nera e a prendere bastonate. Quando per
l'ennesima volta fu visto passeggiare sul porto e sempre con quella
camicia nera, viene bloccato e la camicia strappata, quell'odiata
camicia nera è fatta a brandelli dai compagni ma, la sorpresa: il
Camilì aveva torace e schiena, tra i lividi delle legnate e il lucido
da scarpe, era tutto nero, come avesse un'altra camicia nera...
Ringrazio per gli auguri di compleanno ricevuti e romanamente vi saluto.

29 luglio 1883 – luglio 2009

dal fu: Benito Mussolini


Il Camilì (Camillo Capitanio classe 1909, milite della G.N.R. Comando
Provinciale 612ª Bergamo “Paolo Rosa”) per i postumi della prigionia e
il coraggio malgrado i continui maltrattamenti, avrà poco da vivere.
Muore il 13 dicembre 1948. Dopo pochi giorni dalla morte, la vedova
darà alla luce una bimba, verrà dato il nome di Camilla. A ricordo di
un papà che non poté conoscere per “colpa” della camicia nera.

Tratto da www.giulianofiorani.com

lunedì 27 luglio 2009

LA PUREZZA DELLE AUSILIARIE NELLA R.S.I. UN’ALTRA STORIA (SUBLIME) VERA



Riceviamo e pubblichiamo:

Alcuni lettori più attenti ricorderanno che pochi giorni fa pubblicai un articolo dal titolo “Roberta, sei dei nostri! – Storia di due donne tanto diverse”. Per i lettori che non dovessero ricordare l’argomento trattava di due eroine completamente diverse, una la Monica Lewinsky, l’eroina (si fa per dire) che fece i servizietti al Presidente Usa Clinton e l’altra Roberta, la quale in attesa di un figlio, nel corso della gestazione, apprese di essere malata di tumore. Di fronte a Roberta si presentavano due alternative: interrompere la gravidanza e curarsi, oppure diventare Mamma ma perdere la vita. Roberta scelse di dar vita a suo figlio, ma per questa scelta, morì.
A seguito di questo articolo un lettore B.V. (debbo indicare solo le iniziali non essendo stato espressamente autorizzato ad indicare il nome) mi ha spedito una nota elettronica che riporto integralmente.


Carissimo Signor Filippo, felice di risentirLa; ho letto la storia di Roberta… a proposito di EROI (la famosa frase fu detta da un letterato tedesco, ma non ricordo il nome). E’ inutile dire che mi trova d’accordissimo col suo pensiero, e a tal proposito vorrei cogliere l’occasione per proporLe la storia di un’altra EROINA.
Anche questa eroina (che si chiamava Franca) ha una storia molto diversa da quella di Roberta, ma a mio avviso, su due punti di essa è unita; tutte e due eroine, per aver voluto perseguire con grande fede e fino in fondo, un grande ideale, per questo tutte e due rimaste anonime e disconosciute, distanti da quella Monica, tutt’altro che eroina ma famosissima, celebre testimone di una società distrutta e disumanizzata da quello che Lei giustamente chiama “American way of living”.
Divulgare la storia di questa Ausiliaria della R.S.I. (che come tantissime altre, tanto onore diedero e tanto sacrificio offrirono alla nostra Patria) vuol dire fare un sentito omaggio al valore di questa donna, ma vuol dire anche e soprattutto inchinarsi di fronte ai VALORI che queste donne hanno scelto di mettere sul piatto della bilancia della loro vita… perché (e riprendo le Sue parole) POTESSE VIVERE UN PRINCIPIO!
Una divulgazione quindi, che vuole rendere più forte quella luce di cui Lei parla nella storia di Roberta, una luce che sporadicamente e con tanto affanno, affiora dalla melma in cui la società odierna (non a caso rappresentata dalle migliaia di “Monica”) sta affogando.
Vivissime cordialità
B.V.

Ecco il pezzo presentato sempre dal Sig. B.V..

In ricordo di tutte le Ausiliarie della R.S.I.

Pubblichiamo la lettera di una ausiliaria della RSI, condannata a morte dai partigiani.
E’ ovvio che, come per tutti gli omicidi decisi ed eseguiti dai partigiani, si tratta di un omicidio volontario. Infatti i partigiani non avevano alcuna autorità in nessun campo. Anche qui troviamo un grande esempio di fede e di eroismo, infatti questa ragazza mantenne un comportamento talmente fermo e dignitoso, da indurre i componenti del plotone di esecuzione ad astenersi nel fare fuoco. Venne barbaramente uccisa con un colpo alla testa dal capo plotone… un vero vigliacco.

Continua il Sig. B.V.

A questa ragazza, come a tutte le ausiliarie della RSI va il nostro vivo ricordo e la nostra più commossa ammirazione.
Franca Barbier, Ausiliaria dei servizi segreti della RSI, Medaglia d’Oro alla Memoria.
Per diretta volontà del Duce, all’eroica Ausiliaria venne conferita la Medaglia d’Oro alla memoria con la seguente motivazione:


Ecco la lettera scritta alla madre prima della sua fucilazione.

24-7-44. XXII

Mamma mia adorata,

Purtroppo è giunta la mia ultima ora. E’ stata decisa la mia fucilazione che sarà eseguita domani, 25 luglio. Sii calma e rassegnata a questa sorte che non
è certo quella che avevo sognato. Non mi è neppure concesso di riabbracciarti ancora una volta. Questo è il mio unico, immenso dolore. Il mio pensiero sarà fino all’ultimo rivolto a te e a Mirko. Digli che compia sempre il suo dovere di soldato e che si ricordi sempre di me. Io il mio dovere non ho potuto compierlo ed ho fatto soltanto sciocchezze, ma muoio per la nostra Causa e questo mi consola.
E’ terribile pensare che domani non sarò più; ancora non mi riesce di capacitarmi. Non chiedo di essere vendicata, non ne vale la pena, ma vorrei che la mia morte servisse di esempio a tutti quelli che si fanno chiamare fascisti e che la nostra Ca
usa non sanno che sacrificare parole.
Mi auguro che papà possa ritornare presso di te e che anche Mirko non ti venga a mancare. Vorrei dirti ancora tante cose, ma tu puoi ben immaginare il mio stato d’animo e come mi riesca difficile riunire i pensieri e le idee. Ricordami a tutti quanti mi sono stati vicini. Scrivi anche ad Adolfo, che mi attendeva proprio oggi da lui. La mia roba ti verrà recapitata ad Aosta. Io sarò sepolta qui, perché neppure il mio corpo vogliono restituire. Mamma, mia piccola Mucci adorata, non ti vedrò più, mai più e neppure il conforto di una tua ultima parola, né della tua immagine. Ho presso di me una piccola fotografia di Mirko: essa mi darà il coraggio di affrontare il passo estremo, la terrò con me. Addio mamma mia, cara povera Mucci; addio Mirko mio. Fa sempre innanzitutto il tuo dovere di soldato e di italiano. Vivete felici quando la felicità sarà riconcessa agli uomini e non crucciatevi tanto per me;
io non ho sofferto in questa prigionia e domani sarà tutto finito per sempre.
Della mia roba lascio a te, Mucci, arbitra di decidere. Vorrei che la mia piccola fede la portassi sempre tu per mio ricordo. Addio per sempre, Mucci!

Franca

Sin qui lo scritto e la testimonianza del Sig. B.V., ma dato che la mia stima e ammirazione per QUELLE RAGAZZE, le Ausiliarie è, per quanto possibile, ancora più elevata, mi riprometto in un prossimo articolo di rinnovarne la memoria e le motivazioni. Ricorderò la figura di una grande Donna, anch’essa insignita di un altissimo riconoscimento.
Anche se ben comprendo, che per la gioventù di oggi, questi ricordi smuovono incomprensione se non addirittura ilarità, a dispetto di ciò, come si usava dire: “me ne frego e vado avanti”.

domenica 26 luglio 2009

Riceviamo e pubblichiamo:

Apprendiamo che la Cassazione di Roma ha deciso di accogliere il ricorso di Elena Bentivegna, figlia di due tra i più noti artefici della strage di Via Rasella del marzo '44, che chiedeva di essere risarcita in seguito ad un articolo comparso sul quotidiano 'Il Tempo' nel quale si sosteneva che "la Cassazione da' la patente di eroi ai massacratori di civili in via Rasella". Ricorso indirizzato alla decisione della Corte d'Appello che nel maggio 2004 non aveva ritenuto diffamatorio l'epiteto utilizzato dal quotidiano ritenendolo "un legittimo giudizio storico negativo" che non trascendeva "in attacchi personali". Quali le motivazioni di cui si è avvalsa oggi la III Sezione civile per annullare la sentenza del maggio 2004? Ebbene, una vorticosa piroetta dialettica secondo cui "l'uso del termine 'massacratori' in innegabile sinergia con la parola 'civili', con evidente inequivoco effetto di accostare l'atto di guerra compiuto dai partigiani all'eccidio di connazionali inermi assume senz'altro aspetti contenutistici né metaforici in punto di immediate evocazione non già di negativi giudizi storici, ma di vere e proprie affermazioni lesive della dignità e dell'onore dei destinatari". Fortunatamente la lingua italiana continua a confortarci, nonostante i tentativi di imbarbarimento perpetrati a suo danno: stando a quanto ci suggerisce un qualsiasi dizionario definendo il termine massacro un sinonimo di "Strage, macello di molte persone, che non si difendono o che si difendono male (da
www.etimo.it)", non possiamo che ritenere l'attribuzione adatta a quanti attuarono l'esplosione che provocò il decesso di 41 militari in marcia di rientro in caserma e di tre civili malcapitati, in un numero totale di 44 morti a causa dell'atto dinamitardo dei partigiani.

E’ bene ricordare, provocatoriamente, che i tre civili erano tutti italiani ed inermi; dunque, secondo i requisiti addotti dalla Corte di Cassazione quest’oggi (rileggasi, a tal proposito, la sopracitata motivazione) - a meno che non si ponga importanza al rischio di incappare in incongruenze - i crismi per poter considerare massacro quell’evento sembrerebbero esserci tutti. Evidentemente di diverso avviso la Magistratura italiana, che ha così perso occasione di vedersi emancipata da una soggezione verso la retorica resistenziale che prosegue incessante un suo percorso smaccatamente ideologico di lettura degli eventi storici. Dal canto nostro, continuiamo ad attenerci al significato racchiuso nelle parole: strage è sinonimo di massacro, ne consegue che chi perpetra un massacro è un massacratore.


Tratto da http://assculturalezenit.spaces.live.com/

venerdì 24 luglio 2009

24 Luglio 1943...24 Luglio 2009

24/25 Luglio 1943

Italiane e Italiani

due parole su uno dei tanti della congiura del 24 Luglio 1943. Il Conte Mordano, quello che presentò l'ordine del giorno al Gran Consiglio del Fascismo, dove chiedeva la mia sfiducia, dopo aver "esaminata la situazione interna ed internazionale e la condotta politica e militare della guerra". Ora che l'Italia viene umiliata da incapacità e tradimenti, e chi hai più alti livelli, ha approvato questa guerra, adesso diffonde menzogne e falsificazioni per coprire le proprie responsabilità. L'unico responsabile sarà Mussolini. Il Conte di Mordano, al secolo Dino Grandi, la mattina del 25 luglio, con l'approvazione del suo ordine del giorno con 19 si, 8 no e 1 astenuto, preferì rendersi irreperibile. Venne cercato alla Camera, cercato nella sua lussuosa villa di Frascati dove, si disse che era partito in auto diretto a Bologna, vana la telefonata per rintracciarlo al Resto del Carlino a Bologna. Nessuno degli interpellati seppe dare la minima notizia. In realtà era rimasto a Roma, in attesa degli eventi. Io nel frattempo alle quattro del mattino rientrato a Villa Torlonia, la mia Rachele mentre le raccontavo l'esito della seduta del Gran Consiglio, mi preparò una camomilla e mi chiese "li hai almeno fatti arrestare?" Risposi che lo avrei fatto il giorno dopo. "Domani sarà troppo tardi, Grandi a quest'ora sarà già in viaggio per l'estero" disse Rachele, e aveva ragione. Dopo la votazione, Grandi si reca da Acquarone e lo mette al corrente del risultato della seduta, Acquarone riferisce a Vittorio Emanuele III e preparano un decreto che nomina Badoglio Capo del Governo. E' il primo passo della congiura che la monarchia stava preparando da tempo, completata con il mio arresto mentre mi trovo in udienza dal Re. Ero giunto alle 17.00 a Villa Ada, tranquillo, sulla porta vengo ricevuto dal Re, vestito da Maresciallo, ma in stato di anomala agitazione, coi tratti del viso sconvolti e con parole mozze mi dice "Caro Duce, le cose non vanno più. L'Italia è in tocchi, l'esercito è moralmente a terra. Ho pensato che l'uomo della situazione è in questo momento il Maresciallo Badoglio". Io replicai che si stava prendendo una decisione di una gravità estrema, ad ogni modo auguravo la buona fortuna all'uomo che prendeva in mano la situazione. In tutto l'udienza durò 20 minuti, poi il Re mi accompagnò all'uscita, era livido e sembrava ancor più piccolo, mi strinse la mano e rientrò. Come mi diressi verso la mia automobile, un Capitano dei Carabinieri mi ferma e "Sua Maestà mi incarica di proteggere la vostra persona". Poi venni arrestato, nel modo più vergognoso che, verrà più volte dalla Regina Elena rinfacciato al consorte, per il gesto di slealtà inconcepibile per un Sovrano. Dino Grandi rimasto a Roma, nei giorni successivi dopo aver appreso la composizione del Governo Badoglio, si complimenta e che "si trattava di un Ministero solido e la scelta degli uomini non avrebbe potuto essere migliore". Ora che la sua parte della congiura era terminata, non gli rimase che la fuga in aereo, con passaporti badoglieschi intestati all'avvocato Domenico Galli si diresse in Spagna, trovando ospitalità presso il Console di Siviglia, poi nel Portogallo nelle vicinanze di Lisbona. Ricordo che il Grandi era stato da me nominato Sottosegretario all'Interno, poi Sottosegretario agli Esteri, successivamente Ministro degli Esteri, poi Ambasciatore a Londra, Ministro della Giustizia e Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Ma, la sera del 24 luglio 1943 ebbe il coraggio, dopo aver presentato l'ordine del giorno con la sfiducia al sottoscritto, volle spiegare che era nell'interesse mio e lo faceva per "sollevare parte del pesante fardello che attualmente pesava su di me". Dopo la chiamata dei presenti, visto l'esito della votazione mi alzai e togliendo la seduta, dissi loro che avevano provocato la crisi del Regime. Andiamo avanti. Significative erano state le parole di Monsignor Roncalli, delegato apostolico in Turchia e Grecia. Il futuro Papa Giovanni XXIII, di quel luglio 1943 annotava sul suo diario "La notizia più grave del giorno è il ritiro di Mussolini dal potere. L'accolgo con molta calma. Il gesto del Duce lo credo atto di saggezza, che gli fà onore. No, io non getterò pietre contro di lui. Anche per lui SIC TRANSIT GLORIA MUNDI. Ma il gran bene che lui ha fatto all'Italia resta".

Italiane e Italiani, Meditate.

Dal fu : Benito Mussolini

Lovere (BG), dal suo eremo dove si trova quale cittadino onorario dal 21 maggio 1924
Fiorani Giuliano
Tratto da: http://giulianofiorani.com/

giovedì 23 luglio 2009

Storia di una foto...



Un altro frammento di storia salvato dall'oblio:

"...Si tratta della fotografia di gruppo, con il Duce e Pavolini, degli ufficiali e comandanti della 8^ Brigata Nera “Aldo Resega” di Milano chiamati a rapporto il 14 ottobre 1944 a Villa Orsoline di Gargnano (BS). A destra di Mussolini, nella foto, è Vincenzo Costa, fondatore e comandante della “Resega” e ultimo Federale di Milano. Buona parte dei componenti del gruppo furono poi fucilati a guerra finita. La fotografia ci è stata donata da un nostro Amico del Centro, Norberto Bergna, che a sua volta l'ha ricevuta dallo scomparso avv. Attilio Molteni, secondo da destra nella prima fila in basso, suo compaesano, reduce di Russia con il Btg. Alpini Sciatori Monte Cervino, capitano e comandante della Compagnia di Seregno (MI) nonché stimato Commissario Prefettizio locale.

Un grazie al signor Bergna per la sua disponibilità.
..."


Tratto da www.centrorsi.it

Seminario del 5 Settembre


Ricordiamo che sabato 5 settembre 2009 si terrà, presso la sede dell'istituto storico della RSI a Terranuova Bracciolini (Ar), il primo dei tre incontri dedicati allo studio della storia della Repubblica sociale Italiana, attraverso il racconto delle eseprienze di chi ha vissuto quei momenti.
Riteniamo superfluo sottolineare quanto sia di fondamentale importanza la partecipazione a questi incontri, nel puro spirito della tramandazione, non solo di nozioni storiche, ma di valori che si incarnano nello stile di vita; trasmissione che nessun libro, per quanto sia ottimamente scritto, potrà mai dare.

Il programma di massima è il seguente, presto avremmo notizie più dettagliate:

Mattino: MARO’ X MAS lezione di Emilio Maluta
Pomeriggio: SOTTOTENENTE GNR lezione Giuseppe Domenico Jannaci

mercoledì 22 luglio 2009

Appuntamento del 24 luglio ad Ostia (Roma)

Riceviamo e pubblichiamo:




VENERDI' 24 LUGLIO, ALLE ORE 17,00 - NELLA SALA-BIBLIOTECA "ELSA MORANTE", VIA ADOLFO COZZA, 7 OSTIA, SARA' PRESENTATO L'ULTIMO LIBRO DI FILIPPO GIANNINI

"GLI EBREI NEL VENTENNIO FASCISTA"

INTERVERRANNO, OLTRE L'AUTORE: L'AVVOCATO LUCIANO RANDAZZO, L'ING. DIEGO BALESTRERI, IL DOTT. DANTE FIAMMERI
MODERATORE: LUCIANO LUCARINI

Resoconto della commemorazione tenutasi a Bergamo il 19 Luglio



Qui di seguito riportiamo il resoconto della cerimonia tenutasi a Bergamo il 19 Luglio scorso per onorare i martiri lì uccisi dai partigiani.

Commemorazione stamattina a Bergamo per i tre Legionari assassinati per mano dei partigiani. Tutti e tre crocefissi come Nostro Signore Gesù Cristo per non voler rinnegare la propria fede. Alla cerimonia ha partecipato circa un centinaio di persone, dagli ex combattenti alle ausiliarie per finire ai molti giovani. Raduno fuori dal cimitero per poi raggiungere il campo dove sono sepolti i caduti della R.S.I di Bergamo. Qui un gruppetto di ragazzi di buona volontà ha montato un gazebo per permettere a Don Giulio di celebrare la S. Messa al riparo dal sole cocente. Santa Messa come al solito commovente e impreziozita dall'omelia di Padre Tam che come al solito non ha avuto peli sulla lingua. Poi, il gruppo di persone in corteo si è spostato di poche decine di metri per posare una corona di fiori sulla tomba del Tenente Gino Lorenzi alla presenza della sorella e del fratello. Questa cerimonia si è svolta in passato a Bienno presso il santuario di Cristo Re dove, nel Ventennio, fu eretta una gigantesca statua del Cristo per ricordare i "Patti Lateranensi" tra Vaticano e Benito Mussolini. Il signor sindaco e il parroco del bellissimo paese camuno ci proibirono di continuare a ricordare i 3 legionari in quel luogo che era il più adatto.... La sede del cimitero di Bergamo è comunque adatta alla commemorazione ospitando la tomba di Gino Lorenzi, ma si conta di tornare al più presto al sacrario di Bienno.

Sintesi dei fatti:

“ A guerra finita il S. Tenente Gino Lorenzi aveva deposto le armi nella cittadina di Oderzo e, con alcuni camerati, si era incamminato verso casa a Bergamo. Giunto a Ponte di Piave, il gruppo fu catturato da una banda di partigiani comunisti e rinchiuso nelle carceri di Breda di Piave. Di qui, nella notte fra il 3 ed il 4 maggio, i prigionieri vennero portati alla Cartiera Burgo di Mignagola ove, dopo aver subito durissime percosse e sevizie inaudite, furono fucilati. Tutti ma non Gino Lorenzi. Ostentava infatti una medaglia religiosa al collo ed alla richiesta di rinnegare la Sua Fede oppose netto rifiuto. Fu approntata una rozza croce legando due tronchi d'albero e i gloriosi "patrioti" Gli dissero che, se non avesse rinnegato la Sua Fede, quella sarebbe stata la Sua fine.Il giovane Ufficiale del Battaglione "M" d'Assalto "Romagna" non tremò né implorò salvezza: "La Croce che Gesù Cristo ha portato non può far paura ad un Cristiano" si limitò a pronunciare prima che lo inchiodassero. ”


(Testo e foto tratti dal sito:http://giulianofiorani.com)

sabato 11 luglio 2009

Ricordiamo che....

Ricordiamo che :

Il 19 luglio alle ore 11 al Cimitero di Bergamo, dove è sepolto il nostro Martire GINO LORENZI,

Padre Giulio Tam celebrerà la S. Messa per ricordare il sacrificio dei tre Ufficiali Martiri, crocifissi dai partigiani:

. Cap. G.N.R. MARIO CORTICELLI, crocifisso su un tavolo d’osteria a Stellane (Sv.) dopo il 25/04/1945

. S.Ten. G.N.R. WALTER TAVONI, crocifisso sulla porta di un cascinale a Cavezzo il 19.04.1945

. S.Ten. GINO LORENZI, crocifisso su una rudimentale croce a Mignagola (Tv.) nella notte tra il 3 e 4 Maggio 1945


L’Italia ufficiale, come sai, ‘volutamente’ non ricorda i nostri Caduti, ma non importa: è sufficiente il ‘nostro’ ricordo.

Noi non li abbandoneremo mai: saremo sempre degni dei nostri morti, che seguitano a vivere nella nostra memoria.

Vi aspettiamo numerosi. Non mancate! Contiamo sulla presenza di tutto i Camerati che erano e sono, con orgoglio, dalla ‘parte sbagliata’.


Novità libraria

Un amico ci segnala un testo fondamentale per lo studio della seconda guerra mondiale in italia:

Il libro bianco sui bombardamenti anglo-americani in italia, la cui devastante brutalità abbiamo potuto vedere su alcuni combat film, riprese dalle cinemitragliatrici dei Thundrbolt, proiettati anni fa dalla RAI.
disponibile su ordinazione presso la delegazione Romana dell'Istituto storico della Rsi, presso l'associazione culturale Raido Via Scirè 21/23 Roma.
Per contatti chiamare il 06/86217334.

martedì 7 luglio 2009

Primo campo "Bir El Gobi"

Riceviamo dagli amici dell'Associazione Nazionale Volontari "Bir el Gobi" il seguente invito al quale la delegazione Romana dell'istituto Storico della RSI parteciperà senz'altro:

I CAMPO “BIR EL GOBI”


Formazione, lavoro e canto per creare la Continuità ideale

Piccola Caprera- Ponti sul Mincio (Mantova)
11 - 12 - 13 settembre 2009


Nel Cinquantesimo anniversario della morte del Maggiore Fulvio Balisti

SCOPO:

Il Campo è finalizzato a favorire la crescita culturale, ideale e morale dei giovani, nel solco della
continuità ideale di un patrimonio di valori naturali e tradizionali; approfondendone le conoscenze storiche e accentuandone i vincoli comunitari.

PARTECIPANTI:

Possono accedere al Campo tutti i giovani, di ambo i sessi, purché maggiorenni (per i minorenni è richiesta l’autorizzazione dei genitori), singoli o associati, solo se espressamente invitati o comunque accreditati e autorizzati dai responsabili della Piccola Caprera.

PROGRAMMA:

Venerdì 11 settembre
Dalle ore 14 - arrivo dei partecipanti
Pomeriggio – organizzazione del Campo, provvigioni, divisione dei gruppi operativi
Ore 19,30 – orario massimo di arrivo al Campo – APPELLO
Ore 20 – Cena comunitaria
Ore 21 – Riunione generale, assegnazione dei ruoli e delle responsabilità – momento comunitario con canti
Ore 23 – Silenzio

Sabato 12 settenbre

Ore 7 – Sveglia
Ore 7,30 – Colazione
Ore 8 – Alzabandiera
Ore 8,15 / 9,30 – Visita guidata alla Piccola Caprera e al Museo (solo per chi non c’è mai stato)
Ore 8,15 / 10,30 – Lavoro
Ore 11 / 13 – Formazione
Ore 13 – Rancio all’aperto
Ore 14,30 / 16,30 – Lavoro
Ore 17 / 19 – Formazione
Ore 20 – Cena comunitaria
Ore 21 – Ammaina bandiera e Canti.
Ore 23 – Silenzio

Domenica 13 settembre

Ore 7 – Sveglia
Ore 7,30 – Colazione
Ore 8 – Alzabandiera
Ore 8,15 / 10,30 – Lavoro
Ore 11 / 13 – Formazione
Ore 13 – Rancio
Dalle ore 15 – Operazioni di smobilitazione del campo, pulizie generali
Dalle ore 17 partenze
Ore 18 – Ammaina bandiera

CONTENUTI DELLA PARTE FORMATIVA

“Dalla Comunità militante alla Continuità ideale”
Verranno organizzati interventi sul tema del “passaggio del testimone” storico e ideale tra la generazione dei reduci e quella odierna, cercando di sanare alcune delle molte lacune esistenti e di trovare spunti di riflessione e occasioni di lavoro per i singoli militanti e per le associazioni presenti. Sarà possibile, non solo incontrare i reduci del Battaglione “Giovani Fascisti” e ascoltare i loro racconti ma, insieme a loro e ai responsabili di Continuità ideale, valutare la prospettiva futura della “Piccola Caprera”, con la sua storia e il suo Museo.
Saranno poi invitati storici per approfondire altre questioni “aperte” sul fronte della Continuità
ideale (da Campo 10 a Rovetta, dall’Istituto Storico al Campo di Nettuno) con testimonianze dirette di quanto si sta costruendo e di quanto ancora c’è da fare.
Verrà sempre lasciato spazio per le domande dei partecipanti e per un ordinato dibattito che si spera continui con incontri e scambi d’idee ed esperienze anche fuori dall’orario formativo.

CONTENUTI DEL LAVORO

Divisi per gruppi e guidati da responsabili, i partecipanti svolgeranno lavori di pulizia e riordino
degli spazi della Piccola Caprera; sia esterni (prati, viali, Sacrario) sia interni (museo, biblioteca,
locali vari). Verranno anche designati i turni delle corvée: per la cucina (preparare e servire) e per la pulizia e il riordino dei locali comuni (servizi igienici compresi).

IL CANTO

«Per poter cantare occorre uno stato particolare dell’anima, un’armonia interiore. Chi va a rubare non può cantare, nemmeno chi ha l’anima priva di fede». Così insegnava Codreanu. Ci ritroveremospesso, dunque, a cantare: durante il lavoro o alla fine dei pasti. Intoneremo con i “Giovani Fascisti” i loro inni e faremo loro ascoltare le nostre canzoni alternative, la sera, attorno al fuoco.

NORME DI COMPORTAMENTO

La Piccola Caprera è un Sacrario militare, un Museo reggimentale ma, soprattutto, un’oasi di
italianità, dove vengono custodi i ricordi, i cimeli e i corpi di chi ha sacrificato la sua giovinezza (in guerra) e la sua vita (in pace) per l’Onore e per la Patria.
Nel rispetto del valore sacro di questo luogo i singoli partecipanti devono garantire il pieno rispettodella disciplina organizzativa. Le associazioni presenti devono indicare i loro responsabili che, aloro volta, indicheranno le persone delegate ai diversi turni di lavoro. Ogni singolo deve comunque sentirsi responsabile del suo comportamento e del suo aspetto.
È, infatti, richiesta la massima serietà non solo nel comportamento, ma anche nell’abbigliamento. Durante le attività di lavoro è consentita una tenuta più leggera e libera, durante le ore di formazione, la cena e le cerimonie è preferibile indossare magliette associative o, comunque, un abbigliamento sobrio e pulito.
Gli orari di arrivo e di partenza, così come quelli del silenzio (ore 23) e della sveglia (ore 7) devono essere tassativamente rispettati da tutti, senza deroghe né ritardi.
Ogni attività e spazio comune (mensa, bagni, ecc.) deve essere fruito con educazione, nel pieno rispetto dei turni e dei tempi indicati. I responsabili della Piccola Caprera si riservano, a loro insindacabile giudizio, di allontanare dal Campo chiunque non si comporti in maniera consona.

ALLOGGIO

Verrà allestito uno spazio adibito al montaggio delle tende personali. Sono tuttavia a disposizione (per specifiche e motivate necessità che vanno indicate all’atto della domanda) alcuni posti in branda all’interno della Piccola Caprera, sia per uomini che per donne, in stanze separate. Chi lo desiderasse può anche dormire negli alberghi dei dintorni, purché rispetti tassativamente i tempi del Campo (ritirandosi alle 23 e ripresentandosi alle 7,30).

ATTREZZATURA PERSONALE

Ogni partecipante deve essere autosufficiente, dotato quindi di: tenda, sacco a pelo, indumenti da lavoro, ricambio per le riunioni, felpa o maglioni per la sera, tuta per la notte; prodotti per l’igiene personale; scarpe da ginnastica o scarponcini per il lavoro, eventuale copertura impermeabile.

QUOTA DI PARTECIPAZIONE

Euro 50,00. Nella quota sono compresi: 2 colazioni (sabato e domenica) – 2 cene (venerdì e sabato) – 2 pranzi (sabato e domenica), 1 maglietta del Campo, l’attestato di partecipazione.

NOTE


L’accettazione dell’iscrizione è sempre subordinata all’approvazione dei responsabili della Piccola Caprera.
Il numero dei partecipanti a questo I Campo è fissato da un minimo di 20 persone a un MASSIMO DI 50 PERSONE. Al raggiungimento di questa quota le iscrizioni verranno sospese e le ulteriori richieste accettate solo come eventuali sostituzioni.
Il Campo si terrà anche in caso di maltempo. Esistono infatti possibilità di lavoro anche al coperto (biblioteca, riordino, pulizie del Museo, ecc.) e locali per ospitare tutti i momenti comuni.

ISCRIZIONI


L’adesione può essere effettuata da singoli o, cumulativamente, dalle associazioni invitate.
L’iscrizione deve essere attuata TASSATIVAMENTE entro e non oltre venerdì 7 agosto attraverso il versamento della/delle quote direttamente sul c/c postale 54575360, intestato alla ASSOCIAZIONE NAZIONALE VOLONTARI BIR EL GOBI, accompagnato da comunicazione dei nomi e dei dati completi dei partecipanti iscritti da comunicare a:

- Nicola Bosi - tel 340 1750118 – info@piccolacaprera.it
- Guido Giraudo – tel 335 6361865 – guidogiraudo@libero.it - fax 02 6080677

Che sono a disposizione per ogni ulteriore informazione.

Potete visitare anche il sito www.piccolacaprera.it