giovedì 28 gennaio 2010

mercoledì 27 gennaio 2010

Presentazione editoriale

Riceviamo e pubblichiamo:

Presentazione del volume di Marcello Marcellini "I Giustizieri" - Associazione organizzatrice "Ternani per la libertà" .

Breve descrizione del libro.

Tra l'inverno e la primavera del 1944, la zona dell'Appennino compresa tra le province di Terni e di Rieti vide impegnata la brigata partigiana «Gramsci» contro i reparti tedeschi e della RSI. In questo periodo, e prima dell'arrivo delle forze alleate in lenta e difficile avanzata da sud, esponenti fascisti, o presunti tali, e civili inermi, furono uccisi, non in combattimento. I partigiani riconosciuti responsabili di tali delitti e processati dopo il 1945 vennero tutti assolti perché le loro furono considerate «azioni di guerra o di lotta contro il fascismo» e quindi legittime o da amnistiare, in base alle leggi allora in vigore.
L'Autore, attraverso un accurato lavoro di ricerca tra documenti ufficiali e testimonianze, ricostruisce alcuni tragici episodi che hanno lasciato traccia negli archivi dei tribunali. Analizzando quanto avvenuto, mette in luce, fra l'altro, come le tesi difensive degli accusati («erano spie dei nazifascisti... ci è stato ordinato... non ricordo...») abbiano molti elementi in comune con altri processi celebrati in altre regioni d'Italia contro esponenti delle forze partigiane accusati di omicidio, spesso con l'aggravante della crudeltà.

L'autore

Marcello Marcellini è nato a Terni nel 1938 dove ha esercitato per oltre quarant'anni anni la professione di avvocato. È socio del Centro studi storici di Terni e collabora a «Memoria Storica», la rivista scientifica dell'associazione. Ha pubblicato anche opere di narrativa, tra cui Ritorno a Dubrovnik, I motociclisti tedeschi e Selva dei Pini.
(fonte sito web Mursia)

La prefazione

Merita una nota la prefazione scritta da Vincenzo Pirro, per la sua eleganza
e il suo equilibrio.


Presentano il libro:

L'autore Avv. Marcello Marcellini
Il Prof. Dario Guardalben
Il Prof. Stefano Fabei

Data:
venerdì 5 febbraio 2010
Ora:
17.00 - 20.00
Luogo:
Palazzo Gazzoli
Indirizzo:
Via del Teatro Romano
Città/Paese:
Terni, Italy

Raduno veterani della Decima MAS A Gorizia

Riceviamo e pubblichiamo il resoconto inviatoci da un partecipante al raduno dei combattenti della Decima Mas a Gorizia il 22, 23, 24 gennaio 2010

VENERDI 22
dopo aver visto il primo raduno all'incirca un anno fa',decido di bissare provvedendo a fornirmi biglietti e prenotazioni vari per arrivare senza problemi a gorizia.in pieno pomeriggio,arrivo alla stazione dove mi attende il nostro fabiano e con sorpresa il caro degli innocenti che appassionato come me,parte da solo dalla toscana per non perdere il raduno di quest'anno.la giornata di venerdì,la passo tra i primi saluti,le mie "incursioni" nelle librerie goriziane e una cena sul versante sloveno con fabiano e degli innocenti.
SABATO 23

di buon ora mattutina, dopo aver fatto colazione, alcuni vanno al comune e altri a Tarnova della selva-casal nemci a rivivere quei momenti storici, che pochi in italia sanno. A Tarnova tra visite e memorie lette dai libri, iniziamo sul serio a confrontare le foto del passato di Tarnova e riscontrarle con quello che è oggi. Da sottolineare e' quando un abitante del paese, ha preso il libro sul battaglione fulmine di maculan-gamberini che avevamo, aiutandoci a ricordare alcune cose di quei momenti.tappa obbligatoria anche la visita a casal nemci,dove ci accoglie un signore anziano,che a quell'epoca era una staffetta partigiana, ma era ben voluto dai maro' del sagittario. Scendendo giu' per Gorizia e dopo aver consumato il rancio,assistiamo una messa particolare a ricordo della difesa di gorizia,officiata da padre rocco tomei.nella serata il veterano minelli,ci presenta il suo libro dedicato al battaglione sagittario e dopo chi rimane all'albergo e chi va a farsi una pizza.

DOMENICA 24

l'ultimo giorno,triste per tutti ma felici per l'arricchimento del bagaglio culturale.nel parco della rimembranza assistiamo ad una bella e toccante cerimonia.subito dopo al cimitero per una ricorrenza annuale,che porta tanta emozione nel ossequiare i caduti della decima e di altri reparti della repubblica sociale.la cerimonia termina al ristorante dell'albergo,dove tra risate,saluti e canti ognuno va per la propria strada,ma camminando tutti insieme per portare avanti la storia e l'onore della decima flottiglia mas.

RINGRAZIO....

fabiano per la sua disponibilita'.riccardo,michele,ermes,reduci e tanti altri ancora che mi scuso se non mi ricordo il nome.i veterani della decima....gente davvero tosta.serenella e valentino quintana,cui mi ha dato il suo libro che leggero' con piacere.ringrazio il mio collega antonio che non vedevo da oltre otto anni.ringrazio riccardo maculan che mi ha dato l'occasione di essere puntuale all'aereoporto e dispiace per quelli che non sono potuti venire.grazie a tutti,per aver condiviso davvero una emozione intensa,malgrado che quest'anno ci fossero stati meno reduci dell'anno scorso.


Tratto da libridecimarsi.blogspot.com per gentile concessione dell'autore.

sabato 23 gennaio 2010

Prossimo appuntamento



Venerdì 22 gennaio 2010

ore 10.30

presso la Scuola Elementare di Campo di Carne (Aprilia)

in Via del Genio Civile

si terrà una conferenza del Dott. Pietro Cappellari

sullo sbarco di Nettunia.
Interverrà l’Assessore alla Cultura del Comune di Aprilia

Lettera di un caduto della RSI

lunedì 18 gennaio 2010

Storia di una foto



Riceviamo e pubblichiamo:

La foto che ripropongo in alto e di particolare importanza.Ritrae una messa fatta dal cappellano don Renzo Pio,servito dal maro' Alfio Pizzocarro,al battaglione NP della decima mas nella piazza di Valdobbiadene (Treviso),prima che il reparto partisse per il fronte sud.Tutto puo' sembrare normale,ma se voi guardate dove ho cerchiato i maro' con il giallo,vi renderete conto che tutti guardavano in alto verso i bombardieri nemici.Notate che nessuno scappava o si muoveva,rimanendo sul posto a sentire la messa officiata dal cappellano del battaglione.La scoperta e' fatta dal conosciuto Marino Perissinotto e articolata sul sito dell'associazione culturale Decima Mas.Per maggiori info visionare direttamente il sito dell'associazione.
http://www.decima-mas.net/apps/index.php?pid=80
il libro in questione e' il famoso I NUOTATORI PARACADUTISTI di Armando Zarotti-edizioni Auriga.Uno dei piu' completi sul famoso battaglione di Nino Buttazzoni.

tratto da www.libridecimarsi.blogspot.com

martedì 12 gennaio 2010

Cefalonia: non ci resta che piangere.

Riceviamo pubblichiamo:


Cefalonia: non ci resta che piangere. Indagine su nazisti in pannoloni

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Scritto da Massimo Filippini
martedì 12 gennaio 2010

Image
Nel pomeriggio di oggi 11 gennaio l’ANSA ha diramato la notizia – ripresa poco dopo dai principali quotidiani e mezzi d’informazione – dell’apertura di una nuova istruttoria della procura Militare di Roma contro due ex militari tedeschi 86enni per l’omicidio di nostri militari a Cefalonia. Prima di entrare nel merito devo adempiere ad un duplice obbligo: il primo è di complimentarmi con l’estensore della nota che ha evidentemente letto, se non il mio ultimo libro, almeno la pag. 30 della Perizia del dr. Carlo Gentile allegata agli atti del processo ‘Muhlhauser’ e, in sintonia con essa, ha indicato il numero delle vittime in circa 2300, dato ancora superiore ma di poco a quello reale essendo stati i Caduti in combattimento e dopo la resa circa 1700 – come dai dati dell’Ufficio dell’Albo d’Oro del Ministero Difesa, che li conteggia in 1.639 unità, concordando pienamente con quelli da me riportati nel mio terzo libro I Caduti di Cefalonia. Fine di un mito di quattro anni orsono, che hanno smentito la menzogna dei 9/10.000 morti narrata per decenni dai contorsionisti avvicendatisi nella ricostruzione ‘ideologico-resistenziale’ della vicenda.
Non posso però esimermi dal criticarlo aspramente per l’enorme castroneria scritta in merito alla genesi della vicenda da lui narrata in modo analogo a quello dei tanti pinocchi volteggianti su di essa i quali amano citare – per puri fini ideologici – le parole di Ciampi come ‘motore unico’ dei fatti, anziché l’ordine di resistere che il Comando Supremo inviò al povero gen. Gandin intimandogli di sparare contro l’ex alleato al quale il nostro Governo fuggiasco si era – tra l’altro – dimenticato di dichiarare guerra!

Di seguito la sequela di sciocchezze di cui l’ANSA si è resa autrice dimostrando una non comune ‘ignoranza’ in materia atteso che alla favoletta del ‘referendum’ dei soldati – che volevano combattere e morire – non credono più neanche i suoi principali sostenitori cioè i ‘Pinocchi marxisti’ in via di estinzione ma duri a mollare la presa:

«Le trattative con i tedeschi proseguirono così fino alla notte del 14 settembre quando Gandin, con una sorta di 'referendum', chiese direttamente ai militari della Divisione cosa volessero fare. Scelsero di "combattere, piuttosto di subire l'onta della cessione delle armì", come disse nel 2001 Carlo Azeglio Ciampi, secondo cui Cefalonia fu "il primo atto della Resistenza, di un'Italia libera dal fascismo"».

Detto questo mi rifiuto di credere che il dott. Antonino Intelisano, che conosco e stimo – anche a seguito di conversari con lui avuti –, possa aver dato eccessivo credito ad una ‘notitia criminis’ contenuta (sic!) in due righe di una Relazione scritta dal cappellano militare don Luigi Ghilardini nel 1945 quando le informazioni sui fatti erano ancora – se si eccettua il gran parlare di un eccezionale numero di vittime poi da me scoperto infondato – frammentarie e non pienamente conoscibili a tutti, compreso lui che se ne era stato durante i combattimenti rinchiuso nel 37° Ospedale da campo dal quale – malgrado sia stato fatto passare per ‘eroe’ – non riuscì nemmeno a salvare gli Ufficiali – tra cui mio Padre – che vennero prelevati dai tedeschi il 25 settembre e assassinati per ritorsione della fuga nella notte precedente di due colleghi anch’essi ricoverati.

Ecco quanto il Ghirardini scrisse a pag. 8 della Relazione – esistente nel mio Archivio – in data 5/1/1945 e da lui presentata al Servizio Informazioni Militari (SIM) dopo il suo rientro con altri superstiti da Cefalonia a Taranto il 13/11/1944:

«I soldati STEFAN Gregor e WERNER, già nostri ex prigionieri, proclamavano il merito grandissimo di aver ammazzato nel tratto LA KHITRA FARAO’ ben 170 soldati inermi e sgomenti».

Tutto qui il racconto di Ghilardini integrante la notizia di reato per il quale si è mossa la Procura Militare di Roma, come confermato dall’agenzia AGI secondo cui il Procuratore capo militare di Roma Antonino Intelisano avrebbe precisato: «ci sono due nuovi indagati nelle indagini e stiamo verificando l'effettivo loro coinvolgimento nella drammatica vicenda di Cefalonia».

Che dire a questo punto se non che tale vicenda sembra sia stata impostata come una sorta di rivincita per l’esito negativo del precedente processo ‘Muhlhauser’ e che una provvida ‘manina’ sia andata a ricercare nella montagna di carte e scartoffie esistenti nell’Archivio dell’Ufficio Storico proprio la Relazione (di 65 anni fa!) di don Ghilardini per portare alla ribalta, attraverso le due righe riguardanti gli ultra ottuagenari ex militari tedeschi, tutta la questione di Cefalonia vista ovviamente con gli occhi dei taroccatori in servizio permanente effettivo – leggasi ‘Pinocchi marxisti’ – ai quali guarda caso sono sempre sfuggite le magagne di natura penale commesse da alcuni ‘fasulli’ eroi di Cefalonia che ad esempio dettero armi ai partigiani greci all’indomani dell’armistizio, come i ben noti capiani Apollonio e Pampaloni?

Il dr. Antonino Intelisano è persona troppo seria, preparata ed integerrima; e certamente nell’esercizio della sua delicata funzione non può non aver avuto il mio stesso pensiero per cui sa certamente cosa deve fare di fronte ad una notizia di reato che ‘ictu oculi’ appare molto debole e quasi inesistente essendo chiara la quasi assoluta impossibilità di avere riscontri alle parole del Ghilardini a distanza di 65 anni. E quindi potrebbe darsi che chiuda la questione con un decreto di archiviazione essendo tra l’altro al tramonto l’epoca della caccia al nazista ‘in pannoloni’ e non sembrando, per di più la miglior soluzione, la prosecuzione di un’iniziativa basata su labili e quasi impercettibili indizi.

Il mio non vuole e non può essere un suggerimento a chi, rivestendo un così delicato incarico, è talvolta sollecitato ad agire da denunzie aventi fini diversi da quelli dichiarati che nel caso in questione potrebbero essere quelli di riportare alla ribalta nell’opinione pubblica il solito ‘revival’ di menzogne su Cefalonia che già ha cominciato a scatenarsi oggi ad opera di pochi giornalisti ‘marpioni’ agevolati dall’ignoranza abissale di tutti gli altri come risulta da questo link infarcito di inesattezze, luoghi comuni e macroscopici errori che riportano al tempo in cui la ‘vulgata’ canonica di Cefalonia era un dogma propinato all’ignara opinione pubblica.

Per concludere che si prosegua nell’istruttoria contro i nazisti ‘in pannoloni’ è cosa che – anche sotto il profilo dell’opportunità – riguarda la Procura e il sottoscritto non ritiene di doversi esprimere in merito, tanto più che le ‘indagini’ sono in corso ma, comunque vada, i “Pinocchi marxisti” e gli utili idioti che li favoriscono sappiano che lo scrivente sarà sempre in prima fila a rispondere colpo su colpo ai loro eventuali ritorni di fiamma.

giovedì 7 gennaio 2010

Sangue pazzo, recensione cinematografica

SANGUE PAZZO” E LA STORIA TRAVISATA

Cinema e passato all’inizio del secondo millennio


Già in altre occasioni c’eravamo occupati di quel filone del cinema nostrano che, guardando ai fatti del passato, ha tentato di “interpretarlo” alla luce del “nuovo” atteggiamento politico sorto sulle ceneri del sistema partitocratico della Prima Repubblica italiana.

Caduto il muro di gomma dell’antifascismo di Stato di ciellenistica memoria, si sono aperti spazi interpretativi del nostro recente passato fino a qualche anno fa impensabili. Il lungometraggio sulle foibe – che tanti ingenui applausi ha suscitato tra i “mezzo-colonnelli” della destra di Governo – e altre piccole “attenzioni” al tragico ed eroico periodo della Seconda Guerra Mondiale, sono il frutto di questo nuovo “vento”. Un “vento” che, lontano da nuove interpretazioni, ha solo riproposto in chiave “democratica” la stessa pastoia di disinformazione storica a cui siamo abituati da quasi settant’anni.

Proprio per questo, non abbiamo voluto commentare le “Serie TV” ambientate durante il Regime o la RSI, come abbiamo sorvolato di interessarci ai lungometraggi come Vincere di Marco Bellocchio – che passerà alla storia per la splendida “pelliccia” inguinale esibita dalla bellissima Giovanna Mezzogiorno – o come Il Sangue dei Vinti di Michele Soavi, un buon romanzo televisivo, lontano anni luce dal giornalistico – ma reale – libro di Pansa, che ha avuto la funzione di trasmettere un messaggio qualunquistico: non solo i fascisti della RSI erano dei criminali, anche i partigiani lo erano. Per questo, chi non si schierò, chi rimase in casa ad aspettare gli eventi – o i “liberatori” che dir si voglia – chi assistette impassibile alla tragedia che seppellì l’Italia, ebbene costoro – in fin dei conti – erano coloro che avevano fatto la “non-scelta” giusta. Ci avevano visto lungo. E, in democrazia, si sa, il proprio tornaconto personale è quello che vale…

Per fortuna italica, un non-democratico come Dante pensò bene di giudicare gli ignavi per quello che sono.

In una piovosa serata di gennaio, abbiamo avuto la malaugurata sorte di vedere Sangue Pazzo di Marco Tullio Giordana, un lungometraggio finanziato – tra gli altri – dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con 1.400.000 Euri…

Sangue Pazzo dovrebbe raccontare la storia di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, i due attori fucilati dai partigiani il 30 aprile 1945, a Milano, per odio politico.

Un lavoro che ha destato qualche malumore a sinistra, i cui “gendarmi” non hanno compreso come mai il “compagno” Giordana si sia interessato di quei due “fascisti”, semplici “balordi”, “giustiziati” dagli eroici partigiani. Che bisogno c’era di ricordare le fucilazioni delle “radiose giornate”?

Comunque sia, il fatto che nessun consulente storico è stato chiamato a “sorreggere” scientificamente questo lungometraggio, la dice lunga sull’intera storia propinataci da Giordana.

In questa sede non vogliamo criticare Sangue pazzo dal punto di vista del “prodotto finale” – non siamo esperti di cinema e non ci interessa farlo – anche se la dozzina di analessi che spezzano grossolanamente il racconto pregiudicano tutto il lavoro.

Quello su cui vogliamo far riflettere è come la vita di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida è stata presentata e quanta “fantasia” è stata ab-usata per intrecciare una storia che di storico ha solo i corpi sventrati dai mitra partigiani dei due attori.

Un lungometraggio di fantasia, un “romanzo” verrebbe da dire. Ma no, non siamo tipi del genere. “Romanzo di fantasia” è stato bollato dagli antifascisti il lavoro di Pansa. Noi vogliamo invece sapere perché sono stati inventati personaggi – di primo piano – che con la storia, quella vera, non c’entrano nulla. E’ pur vero che per trovare antifascisti nel Ventennio bisognava inventarli. E Tullio Giordana lo fa, con stile sessantottino. Ed ecco il “bel” Golfiero: regista antifascista, naturalmente con tendenze omo-progressiste; Conte “illuminato” cui il Regime, chissà perché, non finanzia i progetti; che finisce – nessuno sa perché – al confino; che, immancabilmente, diventa partigiano e del quale – grossolanamente – si innamora la Ferida!

Nulla di tutto ciò è vero. Ma che importa? La Resistenza non è, prima di tutto, un mito?

Valenti è presentato come un uomo degradato, un cocainomane perso, un giullare di corte. Nulla più. La Ferida come un’ingenua illusa d’amore, che si degrada progressivamente più si va avanti con la storiella.

Ma dove ci si sbizzarrisce è, naturalmente, nell’ambito sessuale, una costante di tutto il lungometraggio: il sesso pervertito, di stile pasoliniano si direbbe!

Le scene dell’“impacco” vaginale di cocaina e quelle della Ferida che si diletta in un rapporto lesbo con l’amante di Pietro Koch per procurare morfina a Valenti, lasciano davvero di stucco.

Fino a tanto si doveva scendere?

Scene che ricordano più la modernità che quel lontano passato. Scene che sembrano tratte dalle vite dei politici attuali, quelli democratici per intenderci, non dalle vite di personaggi del Ventennio.

Sembra un mondo popolato da maniaci sessuali, con il Direttore generale della cinematografia del Regime che, secondo il copione, s’innamora della Ferida e fa registrare gli amplessi della “regina del cinema”, manco fossimo nella DDR!

Vogliamo parlare di Valenti che, sempre secondo Giordana, avrebbe accettato di visitare i feriti militari della RSI solamente per sottrarre loro la morfina di cui avevano bisogno?

Che personaggio è questo? Il “male assoluto” finiano, certamente.

Non poteva mancare Pietro Koch, dipinto come un impotente schizzofrenico, libidinoso, che entra nella storia assassinando con freddezza folle un infermiere che spacciava in privato – senza rendergli conto – della morfina. Tutto falso, ma verosimile e ciò basta.

“Dilettevoli” le critiche al cinema della RSI – da che pulpito viene la predica! – e le lodi all’opera dell’ex-regista del Regime Rossellini, poi virtuoso antifascista, per il suo Roma città aperta – questo sì, lungometraggio di propaganda! – che uscì, però, nel settembre 1945 ed ebbe scarsissimo successo, fin quando non fu pompato dagli agit-prop comunisti per mere esigenze politiche: soffiare sull’odio, speculare sui morti.

Immancabile la scena dell’uccisione da parte delle Brigate Nere di alcuni civili, tra cui una giovane promessa sposa cui viene rubata – naturalmente – la collanina. Una scena del tutto decontestualizzata dalla storia, che ha solo il fine di indicare, ancora una volta, il “male assoluto”.

Perché vengono assassinati quei civili? Nessuno lo sa, ma non importa. I fascisti uccidevano per uccidere, senza un motivo. Una scena che serve. Serve a far vedere l’eroismo di due partigiani che, solitari ma indomiti, intervengono eroicamente uccidendo tutti i brigatisti neri. Chissà perché nella storia della Resistenza scene del genere non si sono mai verificate. Ma non importa tutto ciò. Ciò che importa, ancora una volta, è il messaggio.

Che cosa dire di Valenti che, una volta consegnatosi ai ribelli, collabora con essi?

Non vogliamo qui fare la vera storia di Valenti e Ferida. Sappiano i denigratori che entrambi aderirono alla RSI con convinzione di fare il bene della Patria. Sarebbe bastato leggere il fascicolo di Luigi Cazzadori, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Gloria, processo e morte dei due divi dal Fascismo alla RSI (NovAntico Editrice, 1998) per avere un’altra considerazione dei due sventurati attori italiani. Per scrivere tutt’altra storia. Dove la diffamazione non avrebbe avuto posto.

Vogliamo, in questa sede, ricordare le parole del Comandante partigiano Giuseppe Marozin, alla cui banda Valenti e Ferida si consegnarono consapevoli che nulla poteva essere loro imputato. Il responsabile dell’esecuzione della Ferida dichiarò, nel corso del procedimento penale a suo carico per quell’episodio: «La Ferida non aveva fatto niente, veramente niente». Marozin affermò anche in sede processuale che il futuro Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini aveva avuto pesanti responsabilità morali nell’uccisione della Ferida e di Valenti: «Quel giorno – 30 aprile 1945 – Pertini mi telefonò tre volte dicendomi: “Fucilali, e non perdere tempo!”».

Tanto vi sarebbe ancora da approfondire. Quelli dei due attori furono solo due delle centinaia e centinaia di corpi che transitarono, in quei giorni di maggio, per l’obitorio di Milano. Vittime di una barbara follia politica. Di un’orgia di sangue senza precedenti nella storia d’Italia. Di una vergogna, questa sì “assoluta”.

Di fronte alla miscela di sesso e cocaina propinataci dal cinema – degna, ripetiamo, più di un lungometraggio sui politici attuali – il sacrificio di Valenti e Ferida si erge come un monumento sulle macerie morali degli uomini.

I due attori italiani andarono incontro alla morte “a causa della loro natura romantica” e Valenti – come disse il Comandante Marozin, che di morti se ne intendeva – morì «da coraggioso», riscattando con l’esempio di una scelta le debolezze borghesi.

Un lungometraggio su Valenti e su Ferida deve essere ancora fatto. E sarà fatto. Avrà per titolo, caro Giordana, Per l’onore d’Italia!

Pietro Cappellari

Ricercatore Fondazione RSI – Istituto Storico (Terranuova Bracciolini)

Membro del Comitato scientifico del Centro Studi Militari della RSI (Latina)

mercoledì 6 gennaio 2010

Un altro Legionario ha raggiunto i suoi commilitoni nei cieli

Riceviamo e pubblichiamo:

CI HA LASCIATO IL LEGIONARIO
ETTORE VALLE


Il Legionario Ettore Valle fa l’Appello ai Caduti di Rovetta, presso la loro Tomba di Roma. 2009


Con profondo cordoglio, ma anche con grande Fede nella divina volontà, annunciamo la scomparsa di Ettore Valle, Legionario della 1^ Legione ‘M’ d’Assalto Tagliamento e, come Lui con orgoglio ricordava, Guardia del Duce e Volontario Combattente per l’Onore d’Italia.
Egli, com’ebbe di suo pugno a scrivere iniziando in vita il proprio necrologio, ‘ha raggiunto i Suoi Cari e i Camerati che in Guerra e in Pace lo hanno preceduto’, il 2 Gennaio 2010 alle ore 22,00, all’età di ottantatre anni presso l’Azienda Ospedaliera ‘Santa Sofia’ in Palermo dove era stato prontamente ricoverato il 24 Dicembre 2009 per la rottura del femore causatagli da una caduta, e dove il ritardato soccorso, ulteriore vergogna di un sistema sanitario degno d’un’Italia che ama ostentarsi antifascista, gli è stato fatale.
Ettore Valle, figura adamantina di italiano amata e nota, tra le più rappresentative rimaste della eroica quanto gloriosa Repubblica Sociale Italiana, impersonava mirabilmente anche nel portamento eretto, nel volto accigliato e nella parola secca e decisa lo spirito militaresco del Combattente Volontario purosangue che, giovanissimo, accorse a difendere il suolo e l’onore della Patria tradita e invasa.
Era nato a Palermo il 19 Febbraio 1927. Il 17 Settembre 1943, all’età di sedici anni, si era arruolato come ‘volontario’ nella “Guardia Nazionale Repubblicana’ 1^ Legione ‘M’ Camilluccia”, ed a tal proposito è commovente, e altamente significativo dell’entusiasmo giovanile di allora, ricordare il fatto che egli, per poter rientrare nei termini dell’arruolamento, si attribuì due anni in più dichiarando come anno di nascita il 1925.
Il 13 Giugno 1943, col gruppo di giovani coi quali fu arruolato, abbandonò gli abiti civili e, come Lui stesso ricorda nel ‘Memoriale’ scritto per il 1° Btg. M. d’Assalto “Camilluccia”, ‘avemmo l’alto onore di indossare le Divise, e, soprattutto, la Camicia Nera’, che, ancora oggi, gelosamente custodiamo’. Egli ebbe anche l’onore della qualifica di ‘Camicia nera Scelta’.
Fece parte di quello che in un primo momento fu denominato ‘1° Battaglione Giovanile Legionario’, e dopo un’azione audace, il Comando della Milizia autorizzò il suo Reparto a fregiarsi della ‘M Rossa’ al posto dei vecchi ‘fascetti’, mentre di conseguenza il Reparto assunse la denominazione di ‘1° Btg. D’Assalto ‘M’ Camilluccia’.
Esso si distinse ovunque venne impiegato, fino al suo scioglimento il 5 Maggio 1945. Svolse incarichi a Roma, nel Gennaio 1944 operò a Vercelli nella Caserma ‘L’Aravecchia’, fu impiegato in Milano. Durante queste azioni il Valle, il 22 Maggio 1944 è stato promosso, per la disciplina e l’efficienza militari, Capo Squadra.
Trasferito il 20 Ottobre 1944 alla Scuola Allievi Ufficiali di Roma da dove tornò al Reparto di provenienza il 6 Novembre 1944, il 24 Dicembre 1944 fu trasferito alla Legione ‘M’ Guardia del Duce.
Emblematico della purezza dell’amore di quei giovani per la patria e del loro talento di combattenti, è un passo del suo Memoriale, dove si ricorda come il Comando Generale, di fronte alla volontà degli allievi di voler più che andare a Scuola, ‘combattere’, fine per cui s’erano arruolati, esaminò l’opportunità di aggregazione del loro Battaglione con il 63° Btg. ‘Tagliamento’, accorpamento dei due Battaglioni da cui poteva ricostituirsi la “1^ Legione ‘M’ d’Assalto Tagliamento”.
Tale passo, dal Valle prediletto, dice: “Il Col. Merico Zuccari, comandante del 63° Btg. e prossimo Comandante della Legione, ritenne doveroso conoscere prima dell’aggressione, sia pure in incognito, quel Reparto. Ciò fatto ebbe a dire ai suoi Ufficiali: ‘Se questi Ragazzi combattono così come cantano saranno dei magnifici combattenti’.
Dopo l’accorpamento, e l’impiego in combattimento dei Reparti, venne a visitare il Battaglione Camilluccia e con sua dirittura morale volle personalmente dichiararci: ‘Quando volli conoscervi ebbi a dire ai miei Ufficiali che se avreste combattuto come cantavate sarei stato felice di avervi nella mia Legione. Oggi a Voi debbo dire che combattete meglio di come cantate”.
Il Memoriale, documento prezioso della sua vita di soldato, è firmato ‘C. M. Ettore Valle’; infatti, le sue qualità di ‘obbedienza’ e nel contempo di capacità di ‘comando’ manifestate sul campo nella rigorosa adempienza di ogni incarico ricevuto, gli valsero la promozione a Caporale Maggiore e la decorazione con la Croce di Guerra.
Questi fu Ettore Valle, che tale rimase anche dopo la fine del II Conflitto mondiale, durante il grigio sessantennio e oltre di questa Repubblica Italiana nata dal tradimento e prosperante sul vantato suo ‘antifascismo’ in cui, persi i Valori di allora, tocca il fondo di ogni crisi.
Egli, in tale sfacelo morale, economico e patriottico, si è sempre dichiarato orgoglioso di essere appartenuto alla parte cosiddetta ‘sbagliata’, accorrendo alle Manifestazioni indette per la Memoria, che si vorrebbe ‘dimenticata’, dei valorosi Caduti della R.S.I., mai indietreggianti di fronte alla morte certa ma da loro, affrontata per amore della Patria, chiamata anche ‘bella’!
Egli, come ha scritto il figlio Lorenzo proseguendo il necrologio iniziato dal padre, è stato vero ‘soldato di Mussolini quando non parve più opportuno esserlo, coerente fino all’ultimo quando sarebbe stato opportuno abbandonare Verità e Valori e Convinzioni, cambiando Bandiera per il proprio interesse’.
Lo ricordiamo, da ultimo, il nostro Valle, eretto davanti alla Tomba dei 43 Caduti di Rovetta al Verano di Roma durante la 2^ Visita celebrativa del Comitato Onoranze del Settembre 2008, in cui oltre ad assistere il Sacerdote celebrante la Santa Messa in loro suffragio, ha, invitato del Comiitato stesso, chiamato all’Appello i 43 Martiri, ma non prima aver comandato ai numerosi Camerati presenti, col piglio militaresco che lo contraddistingueva, e con voce imperiosa, il ‘Presentat Arm!’.
Ed è questo il comando al quale ci porremo sull’attenti rispondendo ‘Presente!’ al suo Nome nelle nostre Manifestazioni a venire ricordando la sua Figura esemplare indimenticabile ai nostri futuri giovani.

Paolo Piovaticci

lunedì 4 gennaio 2010

sui campi di concentramento prigionieri in America

Riceviamo e pubblichiamo:


Ci sono due libri,che sono identici,ma hanno vissuto guerre diverse.Hanno combattuto per due patrie diverse.Ma sia uno che e’ stato catturato prima dell’otto settembre,in africa e con le stellette regie e sia l’altro,che da volontario diciassettenne,partì arruolandosi nella folgore RSI,portando i gladi e venendo catturato nella difesa di roma,avevano una cosa in comune…il ripudio di quella data triste e l’onore di non collaborare con gli angloamericani.Mantenendo quel principio di fede,dettato non sul fanatismo,ma per una questione morale di aver combattuto per la patria.Sono due libri che raccontano momenti di guerra in periodi diversi,ma li accomuna la prigionia ad Hereford, nel Texas degli stati uniti d’America.Il primo era prigioniero,prima dell’otto settembre,il secondo dopo.


Li ho uniti per un semplice episodio:il primo vedeva per la prima volta i prigionieri della repubblica sociale,varcare i cancelli del campo.Il secondo entrava condividendo quei momenti con gente che ha combattuto nel deserto dell’Africa.Tutti e due ricordano i tratti di quel momento,con l’inno della decima flottiglia mas,cantato dai nuovi arrivati.Inizio con il libro di Roberto Mieville dal titolo “Fascist criminal camp”,che oggi e’ in vendita in qualche libreria specializzata ed edito da "Associazione uno dicembre 1943",ma che e’ la riproduzione del libro edito da edizioni Corso di Roma nel 1948.L'autore che nell'immediato dopo guerra sara'uno dei padri fondatori del movimento sociale italiano,narra' le sue vicende dell'ultimo conflitto.Prima come bersagliere combattente in africa,poi prigioniero ad Hereford.


Ce un particolare che vorrei condividere con voi,che e’ molto toccante.Ve lo inserisco come e’ riportato sul libro:

"I nuovi arrivati scendevano e si mettevano in fila.Poi un primo gruppo prese ad avanzare verso i recinti.
Tre squilli di tromba echeggiarono.Tre squilli:l'allarmi!e i quattro campisti s'irrigidivano sull'attenti.
E nel silenzio divenuto fantastico una voce tremante lancio il saluto.
Il campo hereford vi saluta!w la repubblica!
Per qualche tempo vi fu ancora silenzio.E nel silenzio s'udiva il passo cadenzato del gruppo che si avvicinava.
Poi una voce che rivelava nel cuore lo stesso tremito di tutti,disse:
viva l'italia fratelli!
il cuore batteva tanto forte che pareva rompersi dentro.E dalla colonna che si andava sempre piu' ingrossando,cominciarono a cantare.
E per ascoltare quel canto si fece silenzio
era un canto nuovo e pieno di passione.
Era il canto della x mas.
Con il cuore sospeso,si ascoltavano quelle parole.Gli occhi gia' umidi per quel commovimento intimo,determinato da tanta passione e da tanti ricordi,non seppero trattenere le lacrime.
Quel canto disse:
"nostri fratelli prigionieri o morti
noi vi facciamo questo giuramento
noi vi giuriamo che combatteremo...."
la patria non aveva dimenticato,dunque.
E mentre il cielo si riempiva di stelle,tutti con i nuovi,presero
a cantare:..."quando l'ignobile 8 di settembre"
i riflettori si accesero e infine gli mp.Spalancarono il cancello
e al passo,perfetta,entro' la colonna che cantava.
E dalla testa della colonna uno corse in avanti e grido:
vi portiamo l'abbraccio della patria!
E tutti vi corsero a braccia aperte.E mai quell’abbraccio fu piu forte e tenace.
A lungo durarono quei canti,quella sera indimenticabile del 44.E fino all’alba attorno ai fratelli a chiedere,a chiedere all’infinito.
- e in patria?dimmi in patria….- in patria,lassu’ nella repubblica…..”

Così termina quel capitolo,quel momento visto da Mieville.Capitolo che troverete nelle pagine del libro edito di recente a pagina 75-76-77.Ce da dire che la prima edizione,ha un costo maggiore dell’ultimo.Basta vedere su siti specializzati in vendita di libri rari per rendersi di persona.L’altro libro in questione e del paracadutista mario tavella,dal titolo “io prigioniero in texas ed edito da “lo scarabeo”,nell’anno 2005.Come gia’ ho parlato precedentemente sul Tavella,adesso osserveremo cosa lui ha scritto,in merito a quel giorno emozionante per i vecchi e nuovi prigionieri di Hereford:

“Lasciato il villaggio,a bordo di camion raggiungiamo dopo una decima di chilometri il campo di prigionia,per la precisione il “Fascist criminals camp”.Sembra un grosso animale accovacciato nella prateria.Baracche in legno,i soliti fili spinati,le solite garitte per sentinelle.Svetta da torre dall’acqua.Il cancello del compound n° 3 e’ spalancato e ci sta aspettando.
Il campo e’ suddiviso in quattro settori.Il nostro e’ il settore di smistamento,del quale saremo destinati,a seconda del grado,ad uno dei tre campi per ufficiali,sottufficiali e soldati.All’ingresso,in fila per cinque,c’è la conta.Segue il “rompete le righe”.Nessuno si muove.Il sergente Anselmi prende il comando del reparto.Si marcia verso il reticolato del campo degli ufficiali.Il passo e’ cadenzato.
Anselmi urla:”una canzone”.Tutti rispondono con un urlo:”una canzone”.Si intona l’inno della x mas:
“Navi d’italia che ci foste tolte non in battaglia ma con il tradimento
Nostri fratelli prigionieri o morti noi vi facciamo questo giuramento
/………/
Noi vi giuriamo che combatteremo fin quando avremo pace con onore.”
Aldila’ del reticolato una siepe umana di ufficiali.La canzone e’ nuova,post 8 settembre,sconosciuta ai vecchi prigionieri.E’ un trionfo:applausi,grida di gioia,commozione.Le parole “nostri prigionieri….” Hanno colto nel segno.Non sono stati dimenticati.Padri e figli si sono ritrovati,si sono riconosciuti.I ragazzi di anzio,della difesa di roma,sono tra le braccia di padri e fratelli maggiori,i mitici soldati di Giarabub e Bir e Gobi,di Tobruk ed el Alamein.Una comunanza di spiriti e ideali.
E’ difficile far capire a chi non ha vissuto momenti simili,che queste parole non sono retorica.I vecchi vogliono sapere notizie fresche dai nuovi arrivati,delle loro citta’,cercano conoscenti e compaesani.Io,alessandrino vissuto ad asti,incontro un maggiore ed un console della milizia che conoscono mio padre.Sono molto sollevati quando apprendono che quelle citta’ non sono state bombardate.”

alla prossima novita'.

tratto da www.libridecimarsi.blogspot.com

i testi sono disponibili presso la sede della elegazione romana prego contattarci allo 06/86217334

sabato 2 gennaio 2010

In onore ai franchi tiratori che resistettero all'invasore anglo-americano

Riceviamo e pubblichiamo:

Curzio malaparte nell'ultimo momenti di vita dei "franchi tiratori" Fiorentini

" non trattero' la storia di Malaparte,ma da una sua testimonianza,dedichero' l'eroismo di alcuni giovani franchi tiratori di Mussolini,che catturati dalle formazioni partigiane ed esposti davanti alla folla fiorentina,sbeffeggiarono i loro catturandi,la folla e la morte che avveniva all'istante.Malaparte si trovo' lì,come corrispondente di guerra a seguito delle truppe anglo-americane,lasciando la sua testimonianza in un libro famoso dal titolo "la pelle".Infine si ringrazia F.Enrico accolla che grazie al suo libro "lotta su tre fronti" ne riporta l'eroismo di questi giovani fascisti.

Così Malaparte descriveva quella giornata fiorentina:
"I ragazzi seduti sui gradini di santa Maria novella,la piccola folla di curiosi raccolta intorno all'obelisco,l'ufficiale partigiano a cavalcioni dello sgabello ai piedi della scalinata della chiesa,coi gomiti appoggiati sul tavolino di ferro preso a qualche caffe' della piazza,la squadra di giovani partigiani della divisione comunista armati di mitra ed allineati sul sagrato davanti ai cadaveri distesi alla rinfusa l'uno sull'altro,parevano dipinti di masaccio nell'intonaco dell'aria grigia.Illuminati a picco dalla luce di gesso sporco che cadeva dal cielo nuvoloso,tutti tacevano,immoti,il viso rivolto tutti dalla stessa parte.
un filo di sangue colava giu' dagli scalini di marmo.


i fascisti seduti sulla gradinata della chiesa erano ragazzi di quindici o sedici anni,dai capelli liberi sulla fronte alta,gli occhi neri e vivaci nel lungo volto pallido.Il piu' giovane,vestito di una maglia nera e di un paio di calzoncini corti che gli lasciavano nude le gambe degli stinchi magri,era quasi un bambino.
C'era anche una ragazza tra loro:giovanissima,nera d'occhi e dai capelli,sciolti sulle spalle,di quel biondo scuro che s'incontra spesso in toscana tra le donne del popolo,sedeva con il viso riverso,mirando le nuvole d'estate sui tetti di Firenze lustri di pioggia,quel cielo pesante e generoso di qua e la' screpolato,simile ai cieli di masaccio sugli affreschi del Carmine...
l'ufficiale partigiano...tese il dito verso uno di quei ragazzi e disse:"tocca a te,come ti chiami?"."oggi tocca a me"-disse il ragazzo alzandosi,"ma un giorno o l'altro tocchera' a lei",-"come ti chiami?"-"mi chiamo come mi pare"-rispose il ragazzo-"o gli rispondi a fare a quel muso di bischero?" gli disse il suo compagno seduto accanto a lui.
"Gli rispondo per insegnarli l'educazione a quel coso!"-rispose il ragazzo,asciugandosi con il dorso della mano la fronte matida di sudore.Era pallido e gli tremavano le labbra.Ma rideva con aria spavalda guardando fisso l'ufficiale partigiano.
L'ufficiale abbasso la testa e si mise a giocherellare con una matita.Ad un tratto tutti i ragazzi presero a parlare fra di loro ridendo,parlavano con accento popolano di san Frediano,santa Croce,di Palazzolo.
"E quei bigherelloni che stanno a guardare?o non hanno mai visto ammazzare un cristiano?"-"e come si divertono quei mammalucchi!"-"li vorrei vedere vedere al nostro posto sicche' farebbero quei finocchiacci!"-"scommetto che si butterebbero' in ginocchio"-"li sentiresti strillare come maiali,poverini".
I ragazzi ridevano pallidissimi fissando le mani dell'ufficiale partigiano.
"Guardalo bellino,con quel fazzoletto rosso al collo"."o che gli e'?"-"o chi ha da essere:gli e' Garibaldi"-"quel che mi dispiace"-disse il ragazzo-"gli e' d'essere ammazzato da quei bucaioli!"-"un la far tanto lunga,moccione"-grido' uno dalla folla."se l'ha furia venga al mio posto"- ribatte' il ragazzo ficcandosi le mani in tasca.
L'ufficale partigiano alzo' la testa e disse:
"Fa presto!non mi far perdere tempo.Tocca a te.".-"se gli e' per non farle perdere tempo"-disse il ragazzo con voce di scerno-"mi sbrigo subito" e scavalcati i compagni ando' a mettersi davanti ai partigiani armati di mitra,accanto al mucchio di cadaveri,proprio in mezzo alla pozza di sangue che si allargava sul pavimento di marmo del sagrato.
"Bada di non sporcarti le scarpe!"-gli grido' uno dei suoi compagni;e tutti si misero a ridere...
il ragazzo grido':"viva Mussolini!" e cadde crivellato di colpi"
F.Enrico accolla conclude...
"la storia e' grata a Curzio Malaparte,antifascista,al seguito delle armate anglo-americane,per la testimonianza di tanto sprezzante coraggio da parte di quei "repubblichini".
anche io rimango impressionato per tanto coraggio,fierezza e affronto di questi giovani ragazzi,che Firenze non li volle piu’ in vita perche' erano dei vinti."

Tratto da www.libridecimrsi.blogspot.com