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martedì 18 maggio 2010

Campo della Memoria

Riceviamo e pubblichiamo:


Il giorno 25 aprile, come da dodici anni a questa parte, siamo andati ad onorare i nostri caduti sul fronte di Anzio Nettuno, alla cerimonia hanno partecipato circa 800 persone tra cui moltissimi giovani.

La cerimonia è iniziata con il corteo di labari e bandiere, accompagnati dalle note dell’inno della X^, e la deposizione di una corona del Sen. Giuseppe Ciarrapico ed un cuscino di fiori della Città di Anzio rappresentata dal sindaco Bruschini in fascia tricolore accompagnato dal Sen. Candido De Angelis.

Il Vice Presidente vicario dell’Associazione Combattenti X Flottiglia MAS – RSI, Marò Amelio Boreani ha portato il saluto del Presidente Com. Ilariucci.

Dopo la S. Messa celebrata dal Cappellano dell’Ass. Campo della Memoria Don Fausto Buzi, della Fraternità San Pio X con rito latino, hanno preso la parola la Contessa Anna Teodorani, che ha ricordato commossa la figura e l’opera della nostra Raffaella Duelli, il Conte Fernando Crociani Baglioni con un partecipato intervento ha ripercorso i passaggi fondamentali della vita del Com. Bartolo Gallitto, tra la folla erano presenti i familiari dei fondatori del Campo.

Ha poi preso la parola Roberto Rosseti, vice direttore del Tg1, con un accorato discorso ha illuminato, attualizzandolo, il “nostro” 25 aprile, concludendo con un commosso saluto al padre, prigioniero non cooperatore e al milite della RSI, recentemente scomparso, Raimondo Vianello.

Ha concluso il Prof. Augusto Sinagra, consigliere della nostra Associazione, illustrando con la consueta arte oratoria l’attualità dei nostri ideali.

Numerosi erano i familiari dei combattenti della X, tra i quali Fiorella Cencetti, figlia del Comandante del Barbarigo e Claudio Tedeschi, figlio del Marò Mario del Barbarigo.

Conclusa con il rituale “Presente !” la cerimonia al Campo, ci siamo recati al Cippo di Campoverde, dove la figlia del milite Duino Colantoni ha ricordato la figura del padre che eresse il cippo nei primi anni 50, ha concluso Teodoro Buontempo ricordando l’imponente opera di bonifica dell’Agro Pontino teatro degli scontri contro l’invasore angloamericano.

ASSOCIAZIONE CAMPO DELLA MEMORIA

Alberto Indri

lunedì 26 aprile 2010

La ”resistenza” sul banco degli imputati

Riceviamo e pubblichiamo:


Di Fernando Riccardi, tratto da www.rinascita.eu

E così anche quest’anno l’italica Penisola celebra in pompa magna l’ennesima e anomala festa della liberazione. Anzi, ricorrendo quest’anno il 60esimo anniversario, ecco anche il tripudio svolazzante di bandiere con tanto di falce e martello, simboli che, pur costituendo un vero residuato bellico, in occasioni di tal guisa tornano sempre prepotentemente alla ribalta. Accompagnate dell’altrettanto solita parata giuliva degli invitti sodali dell’Anpi. Manipoli sgangherati di irriducibili giovanotti con il pugno chiuso rivolto verso il cielo i quali, pur non avendo conosciuto per ragioni eminentemente anagrafiche le vicende della guerra, tengono ben alto il gagliardetto del mito partigiano. Non fosse altro che per continuare ad incassare senza colpo ferire i contributi che lo Stato continua generosamente ad elargire a queste inutili conventicole. Quest’anno, però, anche chi si è sempre tenuto distante dalle vuote celebrazioni che inneggiano ad accadimenti storici per lo più inesistenti (se non ci fossero state le truppe dei cosiddetti “alleati” i nostri baldi e “coraggiosi” partigiani sarebbero stati in grado di combinare ben poco o, al massimo, avrebbero fatto come il “partigiano” Cariglia una razzia di pollame e verdura in Umbria) ha in certo qual modo un motivo, se non per esultare, almeno per essere moderatamente soddisfatto. La notizia è passata inosservata o quasi. E, del resto, a pensarci bene, non poteva che essere così, considerata la natura della nostra informazione. Sta di fatto, però, che qualche settimana fa, la corte penale internazionale dell’Aja, con il procuratore capo Luis Moreno Ocampo, ha accolto la domanda di Giuseppe Tiramani, figlio di Lodovico, milite scelto della Gnr, la Guardia Nazionale Repubblicana, che ha chiesto l’apertura di una inchiesta per la morte del padre assassinato brutalmente dai partigiani nell’estate del 1944 e per la morte di altri 400 appartenenti alla Repubblica Sociale che hanno fatto la stessa fine sempre per mano delle criminali bande comuniste. La tragica sorte del milite Tiramani è emblematica di ciò che accadde in quei drammatici mesi durante i quali, con la connivenza dei cosiddetti “alleati”, i criminali di rosso bardati imperversarono senza ritegno alcuno nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale. Lodovico fu prelevato nel luglio del 1944 a Rustigazzo, nel piacentino, dove abitava assieme alla famiglia, da un gruppo di partigiani della brigata “Stella Rossa”.
Quindi, in rapida successione, fu processato, condannato a morte e giustiziato senza pietà nei pressi del monte Moria. La sua unica colpa quella di militare nel versante “sbagliato”. Qualche giorno dopo la moglie rinvenne il suo corpo crivellato di colpi e provvide a dargli sepoltura. Quella che i “partigiani” gli avevano negato. Il figlio Giuseppe è deciso ad andare fino in fondo: “Chiedo che sia fatta giustizia per mio padre e per tutti gli altri combattenti della Repubblica Sociale uccisi in quegli anni nel piacentino”. Riuscirà nel suo intento? Riuscirà, soprattutto, l’International Criminal Court a dimostrare che si trattò di un vero e proprio genocidio che per anni è stato artatamente coperto, occultato e negato dalla imbarazzata storiografia ufficiale? Detto francamente non c’è da essere granché ottimisti. Però, il solo fatto che se ne cominci a parlare in maniera sempre più diffusa (si ricordino, sull’argomento, i tanti “libracci” revisionisti di Giampaolo Pansa, che infinite e rancorose fibrillazioni hanno provocato e continuano a suscitare tra le vestali dell’ortodossia partigiana, presidente “emerito” Scalfaro incluso) e che un organo di giustizia internazionale prenda in considerazione uno dei tanti episodi scabrosi che hanno contraddistinto il dopoguerra in Italia e l’atroce mattanza di vinti è sicuramente un segnale incoraggiante. La strada da percorrere è ancora lunga ma qualcosa finalmente inizia a muoversi.
Ah, una distensiva passeggiata al mare o in montagna non potrà che ritemprare alla grande sia il corpo che lo spirito.

sabato 24 aprile 2010

25 Aprile

Riceviamo e pubblichiamo:

PER COLORO CHE SI CREDONO DI FESTEGGIARE LA LIBERAZIONE, MENTRE IN REALTA' FU' UNA VERA OCCUPAZIONE:



Perdonatemi della foto che state visionando. E' presa dal cimitero Americano di Nettuno e in alto si legge una parola che molti italioti la confondono con liberazione. Si e' vero, state leggendo la parola "capture" che tradotta significa "cattura". Stesso discorso vale anche quando usano la parola "liberazione" che ancora questi individui si ostinano a definire, mentre sui libri di storia Anglo-Americani si legge la parola "occupazione". Non si rendono conto che non vennero per liberarci, ma per catturare citta' e occuparle come desideravano loro. Il manifesto celebrativo della provincia di Salerno, afferma che dobbiamo dare atto ai liberatori, Che, a costo di tante perdite ci liberarono. Belle parole per chi non conosce la realta'; per chi non conosce i massacri in Sicilia degli uomini di Patton, l'umiliazione delle citta' come Napoli e Bari che si vendettero a coloro che avevano ucciso i loro figli su vari fronti. L'altrettanta umiliazione delle monete d'occupazione che, rovinarono da quel momento l'Economia Italiana del dopoguerra. "Le marocchinate" del frusinate, i bombardamenti di paesi e citta' non militarmente in rilievo. Bombardamenti di strutture secolari come quella di Montecassino, senza dimenticare i bambini della scuola di Milano che trovarono morte tra le macerie per colpa delle fortezze volanti dei vostri liberatori. E per concludere la pulizia etnica che gente della Venezia Giulia subì dai titini, rei di essere italiani. Non mi dimentico dei partigiani: gente che come i comunisti, volevano liberare l'italia dal fascismo, ma allo stesso tempo introdurre la loro ideologia. Di partigiani che rimasero dietro alla finestra o in montagna in attesa che il nemico si dissolvesse non per merito loro, ma dalla potenza Anglo-Americana. Non mi dimentico della guerra civile che i partigiani rossi introdussero come strategia di tensione, consapevoli delle future ferocie rappresaglie a gente e antifascisti piu' tiepidi.
Di partigiani che illudono lo sciocco di turno di aver liberato questo e quello e di Associazioni di parte che per anni hanno preteso la loro storia e che subito bacchettano chi non si allinea alle loro storielle. Non sono Fascista, ma non sono un fesso in ambito storico e quindi non festeggio un bel niente.
Vi saluto e vi faccio riflettere con un estratto preso nel libro di Caduana-Assante dal titolo "Dal Regno del sud al vento del nord":

"Gli esponenti politici si fanno fiduciosamente incontro ai Comandanti Britannici, ma, con aperta diffidenza, rimangono delusi. Essi sembrano considerare la resa come la ratifica di un alleanza naturale; non si rendono conto che gli inglesi possono nutrire, nei nostri confronti, sentimenti privi di amicizia, o avere dei parenti uccisi dai nostri proiettili.
-Siamo alleati- proclama un Dirigente degli azionisti, porgendo la mano a un Maggiore.-Ora marceremo assieme contro la germania.....
La risposta e' agghiacciante, e la riferisce il corrispondente del Times:
-Avete marciato contro di noi per tre anni e mezzo, fino a oggi!
A un altro ufficiale gli viene presentato, con un compiacimento misto ad orgoglio, un giovane qualificato come un perseguitato politico. L'inglese, dal quale ci si attendeva ammirazione e simpatia, si limita a rispondere:
-Vedo: un perseguitato politico
Poi, comprendendo come si pretenda da lui qualcosa di piu', spiega, giustificando la sua ironica meraviglia:
-Mi scusi, e' la prima volta che vedo un perseguitato politico. Credo che il popolo Inglese non ne produca da circa due secoli...
E ancora, in un albergo appena requisito, dove alcune autorita' cittadine sono accorse a presentarsi e si affannano a spiegare che gli italiani non volevano la guerra, un Colonnello risponde seccamente:
-Questo avreste dovuto dirlo a Mussolini...."
A voi le conclusioni....

tratto da libridecimarsi.blogspot.com

sabato 25 aprile 2009

25 Aprile : Non possiamo dimenticarvi, camerati!

Come posso dimenticarvi camerati. Sono passati oltre sessant’ anni dalla vostra morte, e noi non possiamo lasciare la bandiera che ci avete consegnato, quella della continuità ideale e del ricordo. Non siete morti inutilmente. Quella goccia d’onore la portiamo nel sangue e nel cuore. Lo scrittore Henry de Montherlant scrisse: “I volti dei giovani in armi apparivano induriti. Tutto era nell’ordine. Così sia. Noi marceremo al posto degli altri se sarà necessario… Le madri in lutto guardavano quei ragazzi così cresciuti, così somiglianti ai loro figli. Quando la folla si allontanò restarono dietro esitanti, come affascinate da un foglio sul muro che splendeva come un sorriso. Prima di varcare la soglia per uscire si fermarono sotto il quadro dove erano scritti i nomi dei caduti del Collegio, per leggere ancora una volta quello che sapevano esserci, un nome che non si sarebbe più mischiato negli affari del mondo”. Sono stato allievo in un collegio ad Oderzo, dove alla fine della guerra, dopo aver consegnato le armi, vennero trucidati dai partigiani 126 ragazzi della Repubblica Sociale. Ma in quel collegio non c’è una lapide che li ricordi. I loro nomi non sono stati incisi sul freddo marmo con la data di nascita e il reggimento d’appartenenza, però i loro nomi sono stati scritti nei nostri cuori. Non c’è posto per chi ha indossato la camicia nera, non c’è posto per quelli come i ragazzi del Collegio Brandolini di Oderzo che sono caduti per la nostra patria. Avevano solo diciotto anni, ma indossavano con onore una divisa, quella della Repubblica Sociale. Furono a migliaia quelli che si arruolarono, a migliaia quelli che furono massacrati alla fine della guerra. Ma non preoccupatevi: quei nostri valori non passeranno mai sotto il segno dell’antifascismo e della resistenza e lasciateci almeno l’onore di ricordarli. Non chiediamo vendetta: la guerra è finita per tutti. A questi soldati non verranno mai dedicate strade, anche la chiesa ha il timore di celebrare delle messe per loro. Ma il silenzio imposto la condanna di chi un tempo li difendeva e li onorava, ora non può che aiutarci a capire che se il vostro cameratismo è morto, il nostro cuore arde ancora. Lasciateci ricordare i nostri martiri, lasciateci mettere dei fiori di campo sulle loro tombe, lasciateci fare il nostro saluto, le nostre radici non si sono ancora seccate, la nostra acqua è pura come quella dei fiumi non ancora inquinati, nei quali si vede il fondale. Non possiamo sopportare ciò che ora accade in Italia. La nostra patria sta soffrendo per una grande crisi, ma la crisi più grave è che stiamo dimenticando d’essere italiani. Stiamo dimenticando quello che hanno fatto i nostri padri, inseguiamo la fine, cerchiamo il precipizio. Lo scultore tedesco Arno Breker, alla fine della seconda guerra mondiale, venne perseguitato, perché aveva creato delle opere d’arte che celebravano quel periodo. Venne umiliato e i vincitori gli distrussero tutte le sue opere , ma lui non si piegò, non si arrese. La rivista Militia riportò queste sue affermazioni : “ … ma certi valori sono indistruttibili, nonostante tutto. E non si può essere colpevoli eternamente! Così a me non è dato di esporre perché io sono colpevole! Non posso lavorare come vorrei perché sono colpevole ! E se qualcuno mi attacca, mi offende sulla stampa o altrove, io non posso difendermi perché non troverei un giudice abbastanza coraggioso da rendermi giustizia. Io sono inesistente ! Io ho sempre torto ! Come il vinto! Io sono un vinto, è tutto!”. Quanti dovettero pagare questo tributo anche in Italia.

Gli storici affermano che ventimila persone vennero uccise dalle vendette partigiane, ventimila massacrati alla fine della guerra, non durante la guerra. Molti corpi non sono stati recuperati, molte donne uccise, molte violentate, e penso alle ausiliarie, il cui sacrificio mi è davanti. Ma a distanza di sessant’anni stiamo ancora discutendo e negando l’onore a quelli che vennero uccisi. Nei campi di battaglia si stanno riesumando un milione di soldati tedeschi caduti in guerra in Russia, Polonia, Ucraina, Bielorussia. Ho trovato questa notizia sul giornale “ La Stampa ”(7 gennaio 2008) .

David Keys scrive : “Un milione di soldati tedeschi caduti sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale nell’ Europa dell’Est saranno riesumati dopo sessant’anni e avranno finalmente degna sepoltura in cimiteri di guerra che la Germania sta rapidamente allestendo. Una decisone che però già suscita polemiche, perché tra quei corpi ci sono anche quelli di migliaia di Waffen SS reclutati nei paesi alleati e occupati dal Reich nazista”. Ma nel riesumare i corpi di questi soldati si fa una particolare attenzione nel dividere i buoni dai cattivi. Non bisogna che qualche Waffen SS finisca in un cimitero. Così continua il giornalista: “Tuttavia il progetto è costantemente accompagnato da polemiche e sospetti. In Polonia, le autorità controllano sistematicamente il nome di ogni soldato riesumato (per lo meno quelli identificabili dalle targhette metalliche o altro) e lo confrontano con le liste dei criminali di guerra per assicurarsi che nessuno di loro finisca per aver un posto e un nome nei nuovi cimiteri”.

Credo che non si dovrebbe fare questo: di fronte alla morte ci dovrebbe essere solo pietà. Ogni soldato che muore in guerra ha donato la sua vita. Non si potrebbe posare una pietra su questa drammatica vicenda, una pietra a forma di croce. Forse in questo modo la guerra e i suoi ricordi verrebbero sepolti, non lasciando posto all’odio. In Italia alla fine della guerra una madre raccoglieva i corpi dei soldati tedeschi che trovava nei campi di battaglia e non li giudicava dal grado o dall’uniforme, non le importava se erano stati soldati delle Waffen SS o soldati della Wehrmacht. Con le sue mani di madre pietosa li seppelliva in cimiteri di campagna, avendo cura di informare le rispettive famiglie. Tante madri tedesche l’hanno ringraziata perché grazie a lei hanno trovato i figli. Nessuno ricorda questo episodio. La donna ha dimostrato un grande cuore.

Alcuni giorni fa mi venne donata una gavetta e un elmetto tedesco custoditi da un contadino. Appartenevano a un soldato catturato dai partigiani nelle vicinanze di Motta di Livenza. Prima di massacrarlo, lo fecero dormire in una casa rurale. Il soldato chiedeva pietà. A casa lo attendevano tre figli e inutilmente ne aveva mostrato le foto ai suoi carnefici, ma non riuscì a impietosirli. Il tedesco fu massacrato e il corpo sepolto da qualche parte, non lontano da Motta di Livenza, accanto alle limpide acque del suo fiume. In quei giorni altri due tedeschi furono massacrati a colpi di accetta. Ho saputo di recente che una contadina conserva ancora quella scure. Fatti come questo ve ne sono molti.

Se uno scrittore valido e onesto come Giampaolo Pansa volesse descrivere ciò che accadde a tanti tedeschi in ritirata, ce ne sarebbero di pagine. In questi sessanta anni sono stati tanti e tanti episodi su quello che hanno fatto i tedeschi, ma non altrettanti sui tedeschi uccisi in Italia dai partigiani durante e dopo la fine della guerra. Tanti furono uccisi inutilmente solo per vendetta. Per loro non c’è mai stata una croce. Giovanni XXIII di cui sono usciti tutti i suoi diari su alcune vicende della seconda guerra mondiale scrive: “La caduta di Mussolini” “La notizia più grave del giorno è il ritiro di Mussolini dal potere . La accolgo con molta calma. Il gesto del Duce lo credo atto di saggezza che gli fa onore. No, io non gli getterò pietre contro di lui. Anche per lui sic transit gloria mundi. Ma il gran bene da lui fatto all’Italia resta: il ritirarsi così è espiazione di qualche suo errore. Dominus parcat illi. Ma il papa buono dell’umanità scrive ancora nel suo diario due considerazioni sull’Armistizio. “le notizie di ieri sera annunciavano l’armistizio Eisenhower! Badoglio ha firmato il 3. Certo è un grande dolore per l’Italia, ed io lo condivido: ma conseguenza ineluttabile della guerra andata male, e della violenza dei bombardamenti che non sono guerra ma soprafazione selvaggia”.

Non posso commentare le parole di un papa. Ma vorrei che i nostri capi leggessero il diario di questo papa, specialmente quelli che hanno preso le distanze dal fascismo, chiamandolo il male assoluto, dopo aver definito Benito Mussolini un grande statista. Il papa Giovanni XXIIII su Pizzale Loreto scrive: “30.4. 1945. Giornata triste nel pensiero della fine esecranda riservata dai partigiani – cosiddetti patrioti – a Mussolini con la Clara Petacci e ai suoi più vicini fascisti. Vangelo sanguinoso ed implacabile. Io ho invocato però misericordia e pace”. Il papa buono dell’umanità scriveva in data primo maggio del 1945: “impressioni disgustose circa il trattamento fatto al corpo di Mussolini al Largo Loreto di Milano”.

Non posso non essere d’accordo con quello che ha scritto Giovanni XXIII, il suo cuore ha avuto coraggio, non credo che i nostri politici che ci insegnano a sposare l’antifascismo e la resistenza la pensino come lui. Quante poltrone vacillerebbero e quanto coraggio troveremmo. Io penso che anche in tempi come questi bisogna saper tenere in alto i nostri cuori e il nostro saluto. Io morirò fascista, il mio ultimo respiro resterà fascista. E di Mussolini come dice il papa “il gran bene resta”.

Onore ai tutti i caduti della guerra senza distinzione, onore a chi immolò la sua vita per l’Italia. Non ho nessuna difficoltà a portare il mio saluto nei cimiteri italiani, dove sotto un cumulo di terra sono sepolti i nostri caduti. Io non andrò nelle piazze, lasciatemi marciare solitario tra i nostri ricordi. Ho un famigliare da onorare: un ragazzo di tredici anni. Sua madre tornando a casa dall’ospedale, abbracciando il marito urlava: maledetti partigiani me lo avete ucciso. Era il suo unico figlio credo che meriti pure lei un ricordo. E voi uomini, divenuti massime autorità, che un tempo avevate quella fiamma nel cuore, perché l’avete spenta? Noi pochi o molti saremo soli con il ricordo, il nostro ricordo che non passa attraverso le bandiere rosse, l’antifascismo, la resistenza. La nostra bandiera porta ancora l’aquila che vola verso la montagna come il nostro sguardo. “Il cedere e il rassegnarsi al fato non sono scritti nel libro della mia vita ; provo nella tenacia di questa lotta, che mi ghermisce, nella fierezza di non piegare mai la fronte, nel proposito incrollabile di morire in piedi, una soddisfazione, che il volgo non sa, non può intendere, e che somiglia a quella che la maggior parte degli uomini non sa attingere che solo dalla vittoria”. Gaetano Manfredi, gli oratori del giorno settembre /ottobre 1957 n 9-10

Emilio Del Bel Belluz


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