venerdì 23 aprile 2010

CONFUSIONE SULLA COSIDETTA “RESISTENZA CONLE STELLETTE”

Riceviamo e pubblichiamo:



Lettera aperta al Dott. Bruno Vespa

Sono rimasto colpito dalla puntata del 22 aprile 2010 di “Porta a Porta”, dedicata ai militari delle Regie Forze Armate che, dopo l’8 settembre 1943, combatterono contro i Germanici.

Colpito da fatto che l’intera trasmissione mi è sembrata più una chiacchierata tra amici, che un serio dibattito storiografico. E gli “svarioni” che sono emersi durante gli interventi lo sottolineano.

Non entro nel merito di come condurre una trasmissione televisiva – ci mancherebbe altro! – ma mi si permettano delle precisazioni.

Per prima cosa, errato è pensare che l’8 settembre – il giorno successivo, casomai! – nacque la Resistenza. Erano giorni di confusione, di grande confusione. Tutti cercarono di difendere la propria vita, prima della propria dignità e dell’onore. Ciò comportò essenzialmente lo squagliamento di un intero Esercito, anche se alcuni – di fronte agli ordini perentori di disarmo dei Germanici – tentarono di opporsi, come uomini e come militari. La politica, la democrazia, la “libertà”, non c’entrarono davvero nulla. Tant’è vero che furono proprio gli Ufficiali di sentimenti fascisti a comportarsi meglio in quelle tristi giornate, come ha ben rilevato il Prof. Renzo De Felice. Quale antifascismo? Quale Resistenza?

Stupisce il fatto che si sia parlato ancora di Cefalonia, riproponendo le stesse “storielle” senza nessuna base di verità, senza interpellare il più importante studioso di quella tragedia, Massimo Filippini, che, naturalmente, non era stato invitato. Avrebbe smontato passo dopo passo quella ricostruzione, gettando nel panico più di qualche ospite gallonato.

Vogliamo, infine, parlare della lunga discussione sugli Internati Militari Italiani?

Come al solito, non si precisano le condizioni giuridiche in cui si trovarono i militari italiani dopo la proclamazione dell’armistizio, con il Re e Badoglio che li incitavano alla guerriglia, senza aver dichiarato guerra alla Germania. I Generali alleati, stupiti dal comportamento del Regio Governo, fecero presente che così procedendo tutti i soldati italiani erano passibili di fucilazione, in quanto considerati “franchi tiratori”. Il Governo Badoglio fece orecchie da mercante…

Una discussione storiografica dovrebbe partire da dati storici inconfutabili, invece si è assistito al valzer delle cifre: oltre 9.000 morti a Cefalonia; gli IMI che diventano un milione, poi 600 mila e poi 700 mila; gli IMI morti che sono prima indicati in 50 mila, poi addirittura in 80 mila; e così via.

Qualcosa non va, decisamente. C’è voluto Arrigo Petacco – l’antifascista e partigiano “alexandrino” Petacco – per riportare la questione in ambito storico, arrivando addirittura a difendere Mussolini accusato di aver abbandonato gli Internati italiani!

In realtà, i circa 700 mila IMI in Germania non furono affatto dei resistenti come si è voluto far credere. Con tutto rispetto per le loro sofferenze, falso è dire che i Tedeschi li avessero posti davanti alla scelta di arruolarsi nella RSI o restare nei Lager, e loro per spirito di sacrificio, per fedeltà al giuramento, per antifascismo, scelsero di morire come “schiavi”.

I Germanici non volevano più aver nulla a che fare coi soldati italiani, considerati tutti dei “perdenti”, degli “sconfitti” – prima nell’animo che militarmente – delle Badogliotruppen. Riportare al combattimento gli Italiani, per i Tedeschi era un non senso. Sarebbero stati pericolosi per se stessi e per gli altri, meglio mandarli a “zappare” o a fare gli operai. Lì avrebbero contribuito allo sforzo bellico del Reich e non avrebbero creato problemi. La guerra l’avrebbe fatta solo chi avrebbe avuto la volontà di farla. E i reduci del Regio Esercito, ormai, erano solo degli “sconfitti”, per giunta bollati di essere dei traditori. Quali arruolamenti, quali lusinghe?

Fu Mussolini, impegnato a far rientrare gli IMI, a chiedere di arruolare più prigionieri possibili nelle costituende Forze Armate Repubblicane.

Fu allestita un’importante Missione militare al comando del Gen. Umberto Morera per tutelare gli Internati. Una Missione che collaborò con il Servizio Assistenza Internati, con la Croce Rossa Italiana e con l’Associazione Nazionale Combattenti della RSI, visto che proprio la Repubblica Sociale Italiana era stata riconosciuta de iure come Schutzmacht – “potenza protettrice” – degli Italiani in Germania.

Le disastrose condizioni di lavoro e di vitto – che provocavano il diffondersi delle malattie come la tubercolosi – convinsero la RSI a tentare di giocare con il Governo del Reich la carta dell’arruolamento degli IMI nelle costituende Forze Armate Repubblicane.

Gli aderenti alla RSI – con le più svariate motivazioni – furono ben 200.000 (dato che, naturalmente, nessuno ha fornito), ma solo 40 mila di essi ottennero il “nulla osta” dai Tedeschi per l’arruolamento. Tutti gli altri rimasero nei campi. Si trattò, certamente, di una scelta importante, se si pensa alle voci che giravano sul prossimo invio in Russia dei volontari. Importante, anche perché tornare al combattimento in prima linea era pur sempre un rischio che pochi volevano correre. Probabilmente, meglio il Lager.

La RSI, comunque, non abbandonò chi non chiese l’arruolamento, anzi continuò la sua difficile opera per il miglioramento delle condizioni degli IMI ottenendo un inaspettato successo: dall’agosto 1944, gli Internati divennero Freiarbaiter, ossia “Lavoratori civili”. “Vennero trasferiti nei campi di lavoro e lì sottoposti alla vigilanza di forze civili. In effetti, la trasformazione in lavoratori civili significò per gli sventurati una maggior libertà personale ed un miglioramento materiale e il merito di ciò va attribuito senz’altro alla forte pressione esercitata dai diplomatici e dai funzionari fascisti”.

Per questa attività a sostegno dello sforzo bellico del Reich i Freiarbaiter italiani venivano pagati 4,5 Marchi al giorno; 6,5 Marchi se si trattava di operai specializzati.

Tutto questo, naturalmente, non è stato detto. Comunque sia, dov’è in tutto ciò la Resistenza?

Se di Resistenza si deve parlare, si può, forse, solo nel caso di quel 10% degli IMI che vollero restare tali, rifiutando di diventare “Lavoratori civili” al servizio dello sforzo bellico del Reich. Cosa che, tra l’altro, garantiva alle famiglie rimaste in Italia – nel territorio della Repubblica Sociale Italiana – di continuare a percepire i “sussidi” che il Governo di Mussolini dava ai famigliari degli Internati.

Infatti, le famiglie degli IMI ricevevano dalla RSI degli assegni famigliari più un terzo dello stipendio, che cessarono solo quando gli Internati scelsero di diventare “Lavoratori civili”, perdendo lo status di militari. Chi si negò al lavoro, conservò i “sussidi” alle proprie famiglie…

Alla fine, i morti tra gli ex-IMI furono 33.000 (non 50, né 80 mila come affermato). Molti di questi 33.000 caddero sotto i bombardamenti degli Angloamericani…

Per un termine di paragone: dei 100 mila Italiani che caddero in mano ai Rumeni, agli Ungheresi, agli Albanesi e agli Iugoslavi, ben 70 mila non fecero ritorno.

Mi si permetta un’ultima battuta. Si è affermato solennemente che, finalmente, oggi il “25 aprile” è la festa di tutti gli Italiani. Non ne sono convinto, assolutamente. Non solo perché per milioni e milioni di Italiani – probabilmente la maggioranza – il “25 aprile” è solo un giorno di vacanza, ma anche perché la cosiddetta “Festa della Liberazione” poggia su fragilissime basi storiche che certo non riescono a mascherare la panzana – rilevata, anche questa!, da Petacco – del “popolo insorto vittoriosamente contro i barbari tedeschi”. La guerra, in Italia, finì solo il 2 maggio 1945 e le strade si riempirono di un fiume di sangue come mai la storia del nostro Paese ha conosciuto. Per le vittime di quei giorni e di quelle settimane, per gli Istriani, per i Dalmati, per tanti Italiani, il “25 aprile” non può essere una “festa”. E se tanto bisogno si sente di “unione nazionale”, allora perché non pensare al “4 novembre”, che tutti i veri Italiani, senza distinzione di partito, unirebbe?

Ah! dimenticavo: la Resistenza, i partigiani, Cefalonia, gli IMI…

Pietro Cappellari

Ricercatore della Fondazione RSI – Istituto Storico

File:Heuberg 17 luglio 1944 con i bersaglieri divisione Italia Bandiera in primo piano.jpg

Bersaglieri della Divisione “Italia” della RSI in addestramento in Germania

1 commento:

  1. concordo a pieno con il dottor Cappellari e sono realmente stanco di vedere tanta TV spazzatura che ospita personaggi cone "Etichette" di "Storici" quando la storia l'hanno letta sui fumetti!!!!
    troppa presunzione ed ignoranza!
    uno storico, in quanto tale deve documentarsi e reperire informazioni che provengono da più punti di vista e non essere un servo fazioso di corrente e/o partito!!!
    La frase troppo spesso utilizzata a sproposito che la storia la fanno i vincitori e non i vinti sta a dimostrare che non di storia si tratta ma di autolusinghe di "Pavoni orgogliosi"
    Massimo Cesati

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