lunedì 8 marzo 2010

L’IMPROBABILE GIUSTIFICAZIONE DELLE FOIBE

Quando l'ideologia distorce la realtà dei fatti



Quest’anno non avevo ritenuto opportuno soffermarmi sul “Giorno del ricordo”, la giornata che questa smemorata Repubblichetta democratica dedica all’olocausto del popolo italiano d’Istria e Dalmazia. Tuttavia, un “improvviso” articolo comparso sul settimanale “Il Granchio” del 5 marzo 2010, a firma del Sig. Fiorenzo Testa dell’Associazione culturale “Acquadolce”, mi ha convinto a intervenire direttamente sulla questione del “giustificazionismo” delle foibe.

L’articolo su citato inizia con un attacco, davvero campato in aria, alla redazione de “Il Granchio”, colpevole di non dare una “vera informazione”, dando spazio, invece, alle testimonianze di “ex-repubblichini” (?), “ignorando completamente le ricerche provenienti dal mondo accademico”, ecc.

Tutta questa indignazione è stata provocata dalle pagine – di semplice cronaca – che il giornale ha dato alle celebrazioni della “Giornata del ricordo”, in cui si asseriva che erano stati diecimila gli Italiani infoibati dai partizan slavo-comunisti. Effettivamente, gli infoibati erano stati circa cinquemila e il dato diecimila era forse più da riferirsi al totale degli Italiani “scomparsi” durante una delle più feroci opere di pulizia etnica che la storia ricordi. Un refuso che, però, è servito per impiantare il solito discorso “giustificazionista” delle foibe.

Molto strano che il Sig. Testa non sia intervenuto con un articolo di protesta dopo i più gravi svarioni che si sono dovuti registrare durante i giorni dedicati al ricordo dell’Olocausto degli ebrei. Come mai lo zelo è scattato solamente quando si è parlato delle foibe? Quando le vittime erano gli Italiani e i carnefici i comunisti?

Il dramma che colpì il popolo italiano d’Istria e Dalmazia sul finire della Seconda Guerra Mondiale è stato espulso dalla storia del nostro Paese. Per decenni, sul più grave lutto che ha colpito la nostra comunità nazionale, nessuno ha mai proferito una parola. Solo negli ultimi anni, si è aperta quell’immensa fossa comune della memoria in cui era stata gettata la nostra storia. E ciò ha dato, comprensibilmente, fastidio a più di qualcuno che complice morale con quegli eccidi era.

Quegli studi di “illustri” accademici e storici che vengono astrattamente chiamati in causa, sono forse gli studi di coloro che per anni hanno ignorato le foibe, magari preferendo scrivere liriche al Maresciallo Tito? Oppure sono gli studi degli istituti della Resistenza? O sono gli studi degli “illustri accademici” slavi come Joze Pirievic, cui ha risposto il Prof. Giuseppe Parlato evidenziando la partigianeria del “collega” sloveno?

Bella storia. Davvero bella, quella partorita dalla fantasia.

Si sostiene che le celebrazioni del 10 febbraio sono state volute dal Governo Berlusconi per utilizzarle politicamente in chiave anticomunista. Nel 2010, ancora si parla di anticomunismo? Ma dove è il comunismo? La “Giornata del ricordo” ha ben altre radici, è il classico contentino “soporifero” dato agli esuli per non protestare più e, nel contempo, permettere ai Governi di centro-destra di rinunciare vilmente ai legittimi interessi italiani nell’Adriatico nord-orientale.

Probabilmente sono ben altre le “ricorrenze” che in Italia vengono utilizzate per fini politici, vero?

Dove si giunge al paradosso è quando si afferma che l’olocausto del popolo istriano-dalmata è “una diretta eredità del Ventennio fascista, dell’occupazione italiana dei Balcani, della Seconda Guerra Mondiale”. Ma certo! Nessuno ci aveva pensato.

Questa affermazione è il tipico “scudo difensivo” usato dagli apologeti del movimento di resistenza per giustificare un crimine senza precedenti. E’ il “giustificazionismo” che molti usano quando si sentono piccati nel proprio intimo. Perché deve essere chiaro, anche il PCI fu responsabile diretto di quella tragedia.

La discussione si dovrebbe allora chiudere qui. I “Gendarmi della memoria” hanno prima condiviso quelle scelte, poi le hanno nascoste, adesso le giustificano. E’ il solito “filo rosso” dell’egemonia culturale di gramsciana memoria. Per costoro un massacro di Italiani è un massacro sempre giustificato.

Tuttavia, nell’articolo si citano “dati storici” e allora ci è parso giusto fare delle precisazioni.

Si comprende benissimo come l’autore non abbia mai studiato attentamente il problema del confine orientale italiano, molto più complesso di quello che si accenna e, comunque, di molto antecedente al 1918 e, soprattutto, della costituzione del Regime fascista.

Secondo quanto si vuol far credere, con la vittoria nella Prima Guerra Mondiale, il Regno d’Italia si trovò ad amministrare “territorio sloveno”. Quale?

Certo, si ignora palesemente la composizione etnica dell’Istria riunita all’Italia. Basterebbe citare il censimento del 1921 per aver un quadro esatto di ciò, ma si salta ad altro, cercando di dipingere come “forzata e brutale” l’italianizzazione delle comunità slovene e croate che vivevano, dopo un processo migratorio, in quelle regioni.

Avremmo preferito dati concreti più che dichiarazioni di principio. Basterebbe pensare a quello che accadeva alla comunità italiana prima della scomparsa dell’Impero austro-ungarico. Ma anche ciò non viene detto.

Si accenna, immancabilmente, come da manuale, al famoso incendio del 1920 del “Darodni Dom” (?) di Trieste, indignandosi contro quel “criminale” attacco fascista e solidarizzando con i poveri amici sloveni perseguitati.

Come al solito, il fatto viene decontestualizzato e usato per sostenere argomenti che non stanno in piedi.

Il “Darodni Dom” – in realtà, era il Narodni dom, la “Casa del popolo (sloveno)” – rappresentava, nell’italianissma Trieste, la crescente pressione immigratoria slovena. Costoro, abbandonando le loro terre, si stavano riversando sui centri urbani italiani entrando, naturalmente, in conflitto con le preesistenti – da secoli! – comunità italiane.

La situazione era al limite del collasso e forti tensioni si registravano tra Italiani e Sloveni. La miccia che fece divampare l’incendio s’accese quando a Spalato, durante una manifestazione anti-italiana, vennero uccisi due militari del Regno d’Italia: il Comandante Tommaso Gulli – decorato poi di Medaglia d’Oro – e il motorista Rossi. Lo sdegno fu enorme e in tutte le città d’Istria vennero organizzati dei comizi di protesta. Durante uno di questi, a Trieste fu accoltellato mortalmente dagli Sloveni il cuoco Giovanni Nini. Un altro Italiano.

I fascisti reagirono attaccando i negozi sloveni in città e le sedi delle organizzazioni socialiste che, come loro tradizione, patteggiavano per tutti i popoli, tranne che per il loro.

Gli squadristi arrivarono di fronte al Narodni dom, difeso da circa quattrocento soldati del Regio Esercito contro i quali i fascisti non avrebbero mai iniziato le ostilità. Ci pensarono gli Slavi, che lanciarono dalle finestre della loro “Casa del popolo” due bombe a mano, iniziando a sparare non solo sugli squadristi, ma anche sui soldati italiani. Fu così che venne ucciso l’Ufficiale dei Carabinieri Reali Luigi Casciana. Di fronte a tutto ciò, i soldati del Regio Esercito risposero al fuoco e, poco dopo, fu incendiato l’edifico che esplose, in quanto i “pacifici e perseguitati” Sloveni lo avevano trasformato in un arsenale… Morì un solo Slavo, perché si gettò da una finestra per evitare le fiamme.

Come mai si è “sparlato” dell’incendio del Narodni dom e non si è mai accennato ai precedenti incendi degli edifici della Lega Nazionale (italiana) e delle altre associazioni culturali o sportive italiane a opera dei “poveri” Slavi?

Come mai si difende con tanto cuore l’identità nazionale dei Croati e degli Sloveni (che mai avevano avuto una loro nazione!) e non si spende una sola parola sull’identità nazionale italiana?

Dove si giunge al paradosso è quando si citano i crimini commessi dalle truppe del Regio Esercito durante la guerra nei Balcani, ignorando – anche questa volta! – i ben più gravi massacri dei partizan contro i nostri soldati. Ricordiamo che la guerriglia era una forma di lotta vietata da tutte le convenzioni internazionali, tant’è vero che la rappresaglia era una legittima forma di ritorsione usata da uno Stato belligerante costretto a confrontarsi con questa forma di guerra irregolare. I nostri Bersaglieri a cui erano strappati gli occhi dai partigiani slavo-comunisti, del resto, non hanno mai fatto pietà a nessuno.

Ci si lamenta anche del fatto che i Comandanti italiani accusati di crimini di guerra nei Balcani non sono stati estradati come chiedeva il Maresciallo Tito. Certo. Si sarebbe garantito loro un equo processo? O sarebbero finiti impiccati come prevedeva la prassi – e non la legge! – dei regimi comunisti? Si parla tanto di garantismo, di diritti umani, ma si sarebbero mandati al macello i nostri connazionali per crimini di guerra che non era neanche necessario provare. !

Che diritto avevano i comunisti slavi di condannare i Generali italiani – tra cui anche gli “eroi” della “Guerra di liberazione” – avendo nello stesso tempo le mani lorde di sangue di decine di migliaia di innocenti? Dov’è la tanto sbandierata “superiorità morale” della Resistenza?

Si citano i campi di concentramento italiani, senza nessun riferimento ai peggiori campi iugoslavi allestiti dopo la guerra – ripetiamo: dopo la guerra! – dal Maresciallo Tito, così amante della giustizia, della pace e della libertà dei popoli, da far scomparire nel nulla – senza nessun tipo di processo – migliaia di Italiani colpevoli solo di essere tali. Ma, si precisa, il 90% erano fascisti. Davvero sconfortante è dover rispondere ancora a queste affermazioni, dopo anni di studi e ricerche che hanno ben evidenziato i caratteri della pulizia etnica effettuata in Istria e Dalmazia dagli Slavo-comunisti con la complicità del PCI.

Del resto, questo è quello che sempre è stato sostenuto dalla vulgata: “Erano tutti fascisti e, in fondo, se la erano cercata”. E così, a Bologna, quando arrivò uno dei tanti treni merci che trasportava gli Italiani d’Istria e Dalmazia in fuga dall’inferno comunista iugoslavo, affamati, abbandonati a stessi, i bolscevichi bolognesi impedirono che fosse dato loro da mangiare e gettarono il latte destinato ai bambini sui binari. Bell’esempio di solidarietà operaia-internazionalista!

Non credo che sia necessario andare oltre.

In democrazia, mi dicono, il confronto e lo scambio di idee è una prassi. Allora invito il Sig. Testa a un pubblico confronto davanti a un giornalista de “Il Granchio”, dove sarò felice di visionare i suoi studi e suoi documenti. So bene la risposta, visto che questi inviti cadono sempre nel vuoto. Per i democratici, la democrazia serve solo quando fa comodo a loro.

Alla fine di questo articolo una cosa deve essere affermata. La più importante. Che l’Istria e la Dalmazia sono terre italiane contro cui, sul finire della Seconda Guerra Mondiale, si abbatté la pulizia etnica dei partigiani comunisti avente il fine di cancellare la millenaria civiltà italiana nell’Adriatico nord-orientale. Chi nega tutto ciò, preferisce ignorare la storia dell’Istria e della Dalmazia. Ma si difetta anche in geografia e architettura. Sarebbe bastato solamente visitare Capodistria, Rovigno, Pola, Fiume, Traù, Zara, Ragusa “la bella”, ecc. e non parrebbe strano che lì “anche le pietre parlano italiano”. Con buona pace di chi, una volta l’anno, il 10 febbraio, dovrà convivere con il mal di pancia.

Pietro Cappellari


Ricercatore della Fondazione Istituto storico RSI

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