venerdì 10 aprile 2009

SI TORNA A PARLARE DELLA “FOSSA DI LEONESSA”

Nuova indagine del Ministero della Difesa

Il 26 agosto 2004, una missione archeologica guidata dal Gr. Uff. Prof. Mario Polia, nella zona di Fuscello di Leonessa (Rieti), ritrovò quella che sembrò essere una fossa comune. A poca distanza da alcune rovine medioevali vennero rinvenuti frammenti ossei di indiscutibile appartenenza umana.
Dopo aver smosso delle zolle di terra, fu riporta alla luce la parte inferiore di uno scheletro umano, la cui datazione approssimativa risultò essere di 50 anni. Della missione archeologica faceva parte anche il Cav. Uff. Dott. Pietro Cappellari, ricercatore della Fondazione della RSI – Istituto Storico, da anni impegnato nello studio della guerra civile sull’Appennino umbro-laziale.
L’approssimativa datazione faceva risalire i resti al periodo della seconda guerra mondiale, quando su queste montagne si verificarono stragi germaniche e non pochi omicidi compiuti dai partigiani.
Il ritrovamento di più ossa fece pensare che in quella fossa fossero presenti i resti di almeno due persone. Infine, il rinvenimento di un proiettile all’interno di un muro crivellato da colpi sembrò dipingere una classica scena di esecuzione sommaria.
Vennero allertati i Carabinieri e il tutto fu affidato alla Magistratura. Nessuno si sbilanciò nell’identificare il corpo – o i corpi – anche se, in quel vallone, nei primi mesi del 1944, avvennero episodi mai chiariti come la scomparsa del Comandante partigiano Mario Lupo – secondo alcuni ucciso dai comunisti a causa del suo moderatismo –; la scomparsa di una ragazza sequestrata dai ribelli a Polino (Terni) e mai più ritrovata; l’uccisione di due combattenti della RSI i cui corpi scomparvero nel nulla. Tutti episodi rimossi dalla memoria collettiva e su cui scese una ferrea cappa di silenzio ed omertà.
Nonostante le gravi ipotesi di reato quali strage, vilipendio ed occultamento di cadavere, la Magistratura reatina, nell’assoluta mancanza di indizi in grado di ricostruire i fatti, non poter far altro che archiviare l’inchiesta.
«Altro probabilmente non si poteva fare – commenta Pietro Cappellari, attualmente Vicepresidente della Delegazione di Roma della Fondazione della RSI – anche se stupisce il silenzio generale su una scoperta così inusuale. E’ come se nessuno volesse immischiarsi in questa faccenda, timoroso di scoperchiare chissà quale vaso di Pandora. Per il solo sospetto che quei resti potessero essere di caduti della RSI, oppure configurare crimini partigiani, tutti se ne sono lavate le mani. Eppure nulla è emerso con certezza, quei resti potevano essere di chiunque. L’unica consolazione è la comparsa sul luogo dei ritrovamenti di una croce posta da mani ignote. L’abbiamo ribattezzata “croce silente”, una croce in memoria di tutti i caduti della RSI a cui è stato negato il diritto alla memoria: essa rimane silenziosa in mezzo ai boschi ad indicare alle generazioni future chi ha sacrificato la propria vita per la Patria. Molto romantico, ma ciò non ci deve far dimenticare che, nel 2004, non tutte le ossa poterono essere recuperate. In virtù di ciò, nell’ottobre scorso, abbiamo presentato un esposto al Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra – che si occupa di tutelare anche le sepolture dei combattenti della RSI – segnalando quanto a suo tempo denunciammo alla Magistratura. Il 9 marzo 2009, il Commissario Generale Gen. C.A. CC Vittorio Barbato ci ha comunicato che ha interessato il Comando Provinciale dei Carabinieri di Rieti “affinché provveda ad effettuare gli opportuni ed approfonditi accertamenti volti a verificare la presenza nella zona di resti umani”. Così a quasi cinque anni dalla scoperta si torna a parlare della “fossa di Leonessa”. Speriamo che le indagini, nonostante il tempo trascorso, trovino una giusta conclusione e magari possano aiutare a comprendere cosa effettivamente accadde nel “vallone della morte” in quei primi mesi del 1944».



Lemmonio Boreo

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