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lunedì 2 maggio 2011

Novità editoriale

E' disponibile presso la sede della Delegazione Romana il nuovo lavoro di Pietro cappellari ( per ordinazioni prego contattare il 06/86217334) :



I BOMBARDAMENTI ANGLOAMERICANI SULLA SANTA SEDE

Finalmente chiarezza su un episodio vergognoso della Seconda Guerra Mondiale

Dopo alcune settimane di attesa è finalmente uscito il nuovo studio del Prof. Pietro Cappellari della Fondazione della RSI – Istituto Storico di Terranuova Bracciolini (AR).

Il titolo, provocatorio, è eloquente: Santità, chi è stato? Bombe angloamericane sul Vaticano 1943-1944.

Si tratta di un libro edito dalla Fondazione della RSI, che getta luce su un fatto del Secondo conflitto mondiale che è sempre stato avvolto dalla “nebbia artificiale” della vulgata antifascista e anti-italiana, per poter essere meglio sfruttato a livello di bassa propaganda politica.

Attraverso un’analisi minuziosa delle fonti e dei documenti, il Prof. Cappellari ha ribadito le responsabilità angloamericane in merito ai due bombardamenti che colpirono la Santa Sede nel 1943 e nel 1944 e smascherato i “gendarmi della memoria” che, nel corso degli anni, hanno manipolato la storia per “esigenze” partigiane.

Nella notte del 5 novembre 1943, un aereo lasciò cadere delle bombe all’interno del perimetro della Città del Vaticano.

Per la prima volta, la Sede pontificia veniva colpita direttamente. L’aereo era di nazionalità statunitense e nessuno ha mai saputo il perché di quell’insano e inutile gesto. Tuttavia, le diplomazie angloamericane negarono ogni responsabilità, arrivando addirittura ad accusare i Germanici di aver volutamente bombardato il Vaticano, per far ricadere la colpa sugli Alleati.

La maldestra operazione di propaganda di guerra venne subito smascherata, ma la realtà dei fatti venne subito oscurata da una serie di “voci” che nacquero all’interno dei circoli antifascisti della Capitale, in affannosa ricerca di una qualche legittimazione.

Fu così che nacque la leggenda che a bombardare la Santa Sede fossero stati i fascisti della Repubblica Sociale Italiana. Una tesi priva di ogni fondamento, che trovò un’eco vastissima, che superò le “Mura Aureliane” e rimase per interi decenni sui libri di storia.

Negli anni ’70, la pubblicazione di atti ufficiali da parte del Vaticano fece finalmente chiarezza sui fatti, affossando definitivamente tali grossolane ricostruzioni dettate per semplice odio politico.

Tuttavia, ancor oggi, c’è chi crede che fu un aereo della RSI a colpire la Santa Sede in quella lontana sera del 1943, arrivando a sostenere che anche il secondo bombardamento, quello del marzo 1944, fu senza dubbio opera dei fascisti.

Questo studio ripercorre le traversie di questa “bufala” epocale che ha fatto storia, smascherando la maldestra opera di mistificazione compiuta per fini politici.

Un’opera che aiuterà a capire come è stata scritta la storia del Novecento italiano.

Lemmonio Boreo


venerdì 2 ottobre 2009

Uno risultati del Tradimento dell'otto settembre 1943: L'affondamento della Corazzata Roma

Riceviamo e pubblichiamo:
Sabato 26 settembre scorso stavo distrattamente ascoltando la trasmissione su RAI/3 “Ulisse: il piacere della scoperta”, trasmissione condotta dal pur bravo Alberto Angela. Il “poverino” (“poverino” perché così gli hanno insegnato la storia) ha iniziato con delle abominevoli mostruosità storiche. La prima, quando ha affermato che Mussolini il 25 luglio 1943 “si sarebbe dimesso”; ma quando mai, è da tutti riconosciuto (anche da ampi stralci storiografia “anti”) che quello messo in atto quell’8 (3 settembre) fu un vero e proprio COLPO DI STATO. Altre mostruosità, o perlomeno gravi inesattezze, quando Alberto Angela ha descritto il “viaggio” della nostra Flotta verso porti… Sì, caro Angela: “quali porti?”. Il “povero Angela” così descrivendo “quel viaggio” getta una luce infamante sul grande Ammiraglio Carlo Bergamini. La verità storica e la dirittura morale e militare di Bergamini è riportata nel testo che segue.

(…). Un discorso a parte a parte va fatto per il “caso Bergamini”.
Bergamini fu certamente il più battagliero fra gli ammiragli della Regia Marina. Nei precedenti volumi abbiamo ricordato i suoi tentativi tutti tesi per indurre “Supermarina”ad un’azione più decisa.
scrive Mattesini sul “Bollettino d’Archivio”, pag. 92 .
Al contrario di quanto la storiografia ufficiale sostiene, l’ammiraglio Bergamini, stando anche agli ordini impartiti, mai avrebbe consegnato le proprie navi in mani inglesi. Rimane l’interrogativo sulla seconda ipotesi:. Si potrebbe non capire questa differenzazione fra i due ordini, ma più avanti, sulla base di alcuni documenti proveremo a dare una spiegazione.
Alle 23,00 Bergamini telefonò all’ammiraglio De Courten per informarlo che la Squadra partirà al più presto per La Maddalena con tutte le unità presenti a La Spezia e a Genova, comprese quelle ai lavori in condizione di muovere. Bergamini non fece innalzare sull’albero maestro il drappo nero, né verniciare i due grandi cerchi neri sulle fiancate delle sue navi.
Alle ore 07,00 del 9 settembre, forse per vincere le ultime resistenze degli equipaggi, “Supermarina” inviò un altro telegramma: .
Alle 09,46 del 9, mentre la Flotta era in navigazione verso La Maddalena, suonò l’allarme, per l’avvistamento di un aereo da ricognizione britannico che cominciò a girare intorno alla formazione navale. Contro il velivolo, che fu riconosciuto per un bimotore del tipo “Glen Martin” , le navi aprirono il fuoco .
Alle 10,29 fu avvistato un aereo da ricognizione tedesco, riconosciuto del tipo “Ju.88”. Contro di esso non fu aperto il fuoco.
Alle 13,45 “Supermarina” trasmise un nuovo telecifrato: . Anche in questa occasione Bergamini non dette corso all’ordine.
Alle 14,00 vennero avvistati alcuni aerei in volo a circa cinquemila metri che sganciarono qualche bomba, ma nessuna nave venne colpita. (Santi Corvaja, “Storia Illustrata”, settembre 1973).
Alle 14,24 “Supermarina” trasmise la notizia: . Di conseguenza la Flotta di Bergamini invertì la rotta puntando, probabilmente, su Minorca.
Alle 15,10 scattò l’allarme e alle 15,37 ebbe inizio l’attacco aereo da parte .
Da un’intervista rilasciata a “Storia Illustrata” del settembre 1973 dall’affondatore del “Roma”, Bernhard Jope, questi così risponde a Mario Lombardo circa la domanda di cosa sapesse della bomba radiocomandata “FX1400”. Jope disse: Della bomba conoscevamo soltanto gli effetti teorici, e il metodo di puntamento radioguidato mediante un piccolo congegno nella coda dell’ordigno, che serviva a dirigere la bomba stessa fino al bersaglio, con una certa approssimazione e che veniva usata per la prima volta contro un nemico proprio in occasione del bombardamento della Flotta italiana>.
Ebbene, queste bombe, che dovevano essere destinate per l’attacco previsto contro gli angloamericani nella baia di Salerno, se non si fosse verificato nel frattempo l’armistizio, queste bombe, ripetiamo, poco più che prototipi, centrarono, perforandolo il ponte corazzato della “Roma” determinando l’affondamento della nave. La prima bomba, lanciata alle 15,45, esplose sotto lo scafo, causando l’arresto delle caldaie. (“Bollettino d’Archivio”, pag. 120).
si trascinò per sempre in fondo al mare due ammiragli, 86 ufficiali e 1.264 uomini d’equipaggio
scrive Santi Corvaja . Infatti il comando venne assunto dall’ammiraglio Romeo Oliva, il quale, lascia sul posto tre unità per raccogliere i superstiti della “Roma”, dopo che (Santi Corvaja, op. cit., pag. 61).
Nel dopoguerra, per motivi facilmente intuibili, si è sostenuto che Bergamini avrebbe diretto comunque le navi a lui affidate a Malta, come ordinato. Non crediamo a questa tesi, oltre che per i motivi sopra riportati – il più importante dei quali il non aver inalberato i segnali della resa – ma anche per altri che andiamo a trascrivere.
1) Il primo a essere convinto della ribellione era proprio l’ammiraglio Sansonetti. Egli sapeva che (Santi Corvaja, op. cit., pag. 54-55).
2) Anche il figlio di Bergamini, solleva dubbi sulle tesi sostenute nel dopoguerra. Egli ha scritto su “Il Messaggero” del 3/8/94: “Mio padre ebbe conoscenza dell’armistizio alle 19,45 dell’8 settembre attraverso il radio giornale: ne ricevette un colpo gravissimo, immeritato, inatteso. Per telefono comunicò al ministro De Courten la sua indignazione e manifestò l’intenzione di non condurre in porti nemici quelle stesse navi che fino a poche ore prima erano pronte a salpare per dare battaglia>. Recentemente Pier Paolo Bergamini, figlio dell’ammiraglio in un suo saggio “Le Forze navali da battaglia e l’armistizio” edito dalla “Rivista marittima”, scrive che il padre, alla fine, avrebbe obbedito . Non poteva che scrivere ciò Pier Paolo Bergamini essendo tutt’ora ufficiale in servizio della Marina militare.
3) Abbiamo anche una testimonianza diretta. Si tratta di una lettera a firma del dott. Giovanni De Simone di Nettuno. Tale lettera è stata pubblicata anche su “Il Giornale d’Italia” dell’11 marzo 1998. La riportiamo integralmente:.
E’ una testimonianza interessante aperta ad alcune considerazioni per raggiungere la verità. Per prima cosa è accertata l’appartenenza del dott. De Simone al SIM nel periodo bellico; questa viene sancita da Carlo De Risio nel suo libro “La Storia non scritta”, ove a pag. 170, elencando riporta:<(…) Atene: sergente maggiore Giuseppe De Simone>.
Un altro punto sembra dar ragione al dott. De Simone e cioè quando, come poco sopra riportato, all’attacco degli aerei tedeschi le navi italiane aprirono il fuoco “dopo qualche esitazione”. Nel dopoguerra la “Commissione d’inchiesta speciale” si preoccupò anche di stabilire se da parte del Comando di bordo della “Roma” vi fosse stata qualche responsabilità nella tardiva apertura del fuoco contro gli aerei tedeschi (…). Invece meno intensa risultò la reazione della “Roma” al delinearsi del successivo attacco aereo che portò la corazzata ad essere colpita dalla seconda bomba. In definitiva l’inchiesta si concluse con un nulla di fatto. Si accennò ad una “sorpresa tecnica”, dall’altezza degli attaccanti e nulla più, lasciando, pertanto, aperta la validità della testimonianza del Dottor De Simone (“Bollettino”, pag. 162).
Ancora: l’ammiraglio Oliva (“Bollettino”, pag. 20) scrisse a De Courten il 2 maggio 1946 questa lettera: <(…). L’ammiraglio Bergamini a nessuno disse di aver accettato il sacrificio richiestogli (…), cosicché, dopo la sua scomparsa con la Nave Ammiraglia, io mi trovai a dover decidere tra il trasferimento della Flotta in un porto alleato e l’autoaffondamento di essa che poteva essere da me disposto con la semplice trasmissione di una frase convenzionale stabilita dall’Ammiraglio Bergamini stesso e nota a tutti i Comandanti. Ma, poiché la Bandiera non sarebbe stata ammainata e poiché tu, Ministro, in nome del Re, ordinavi di attenersi lealmente alle clausole dell’armistizio, decisi di obbedire a tale ordine (…)>.
E’ una lettera che denota chiaramente la vergogna di un alto ufficiale che, conscio di aver infranto un “codice d’onore”. cerca giustificazioni girando le sue responsabilità su un ministro che, probabilmente, anche lui fu ingannato (57).
Così, a un campionario di imprevidenze, ambiguità, menzogne, si venne ad aggiungere la fatalità: perché quelle due bombe probabilmente hanno alterato, se non il corso della storia, almeno una sua sfaccettatura.
Vennero consegnate agli alleati ben 173 navi per 268.227 tonnellate; 7 navi per 11.017 tonnellate si trasferirono in porti neutrali; 12 per 41.096 tonnellate furono perdute in combattimento nei giorni dell’armistizio; 124 per 100.614 tonnellate vennero o autoaffondate o catturate dai tedeschi o aderirono alla RSI; 3 navi per 3.079 tonnellate rimasero in porti sotto controllo giapponese.
Churchill non potè che esclamare:"una bella preda".
L’umiliazione degli ammiragli italiani a Malta si frammischia alla convinzione di essere stati ingannati. Ricorda Trizzino op. cit.:. it.:nCunningham non perde altro tempo e impartisce a Da Zara le prescrizioni per il “disarmo e la messa sotto controllo” di tutte le navi italiane. L’ammiraglio italiano obietta che queste disposizioni contrastano con quelle ricevute dall’Alto Comando Navale di Roma, secondo cui le navi rimarrebbero sotto la piena sovranità italiana; ma Cunningham legge a Da Zara il testo dell’armistizio e gliene dà persino una copia dattiloscritta. Non c’è dubbio: al comma quattro si prescrive che le navi debbono essere disarmate. A pag. 25 del “Bollettino” si legge: Ricevuto l’ordine di uscire dai porti e di dirigersi verso Malta, la Forza Navale da Battaglia obbedì, con la disciplina e uno spirito di sacrificio che destarono negli Alleati incondizionata ammirazione. Forse è un po’ troppo; e della stessa opinione era Winston Churchill che, a pag. 126 dell’op. cit., con l’abituale sarcasmo britannico e con una forte dose di disprezzo ha scritto:Il grosso della flotta italiana lasciò Genova e La Spezia, per un “audace” viaggio di resa a Malta.

Per gentile concessione di Filippo Giannini